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 2013  maggio 30 Giovedì calendario

GIACHETTI, DEMOCRATICO ALLEVATO DAI RADICALI E FISSATO CON LE REGOLE

Al culmine di centonovantasei giorni di sciopero della fame, assommati in tre fasi e per tre cause diverse - prima per la nomina dei giudici della Corte costituzionale, poi per la fissazione della data dell’Assemblea costituente del Pd, infine l’anno passato per la riforma della legge elettorale - il deputato Roberto Giachetti ha deciso di andare alla guerra con sistemi meno gandhiani. La polverizzazione del Porcellum, dice ora con un senso delle sue capacità solo all’apparenza modesto, è «lo scopo della mia vita politica». Lo scorso autunno, il digiuno di centoventisei giorni per convincere i colleghi a mettere mano alla legge si interruppe per l’altissimo rischio di una devastante emorragia interna. Nell’occasione Giachetti ricevette una lettera da Giorgio Napolitano «colma di parole persino più dure di quelle spese nel discorso del giuramento».

Ieri hanno provato in ogni modo, quelli del Pd, a fargli ritirare la mozione che impegna il Parlamento a reintrodurre il Mattarellum in attesa di sviluppi più futuribili. Dimostrando di aver capito poco di questo cinquantunenne scravattato e ostinato, non per niente venuto su alla scuola di quel testone di Marco Pannella. E «piena di pannellate», secondo le brevi biografie online, è la carriera politica di Giachetti, che sfiorò il sacrilegio spogliandosi della giacca in aula. «Non sopporto le cose ingiuste», disse. E così non ha sopportato che ieri la collega di partito, Anna Finocchiaro, giudicasse intempestiva e provocatoria la sua mozione: «Sono sette anni che aspettiamo di cambiare questa legge, e l’intempestivo sono io?». Gli pareva l’occasione giusta di regalare alla casta un’occasione per non dimostrarsi tale: «Io mi auguro che le riforme si facciano, ma se non ci si riesce, e si pone la formazione della nuove legge elettorale alla fine del processo costituente, rischiamo di tornare alla urne per la millesima volta col Porcellum», e per di più dopo che il rap degli ultimi sei mesi ha per titolo «Col Porcellum mai più».

Allevato in quella fucina di matti talentuosi che è il partito radicale (fu redattore alla radio), Giachetti ha poi seguito un percorso rutelliano, nel senso che è arrivato al Partito democratico tramite la Margherita e prima ancora fu nei Verdi, proprio come l’ex sindaco di Roma del quale è stato capo di gabinetto in Campidoglio. Chi frequenta la Camera, lo conosce come un chirurgico segretario d’aula (quello che conosce e sfrutta tutti i regolamenti); chi frequenta l’Olimpico, scopre il dissennato tifoso giallorosso: «E’ vero, vado allo stadio con mio figlio. Tribuna Tevere, e a spese mia, sia chiaro». Ieri sera, quando hanno respinto la sua mozione (e del Pd l’ha votata solo lui), l’indole ultras ha rischiato di prevalere su quella istituzionale. «Ma non finisce qui», ha detto. Prima di filare a casa a leggersi l’amato Elias Canetti: «Ah sì, ne sono un maniaco: posso recitare La provincia dell’uomo a memoria». Basterebbe guardarsi attorno.