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 2013  maggio 29 Mercoledì calendario

IL DIO DENARO E’ L’OSSESSIONE DI TUTTI NEL GRAN TEATRO DELLA PERFORMANCE —

Il denaro è l’ossessione della Biennale, nel padiglione russo una pioggia di monete cade sui visitatori cui viene fornito un ombrello, nel padiglione del Comune di Venezia c’è il video della donna nuda coperta di banconote, in quello greco il video dei bigliettoni portati al macero, nel padiglione inglese un murale mostra un gigante esasperato che afferra il Luna, lo yacht di Abramovich, e lo scaraventa in fondo al mare; ma la migliore metafora dell’arte contemporanea restano gli yacht, quelli veri, ormeggiati alla Punta della Dogana, luogo magico amato dai veneziani e privatizzato da Pinault, che mostra ai suoi facoltosi amici gli artisti della sua collezione poi rivenduti dalla sua casa d’aste.
Da sempre l’arte ha bisogno di denaro, l’artista di un committente, e da sempre il denaro produce bellezza; ma ora il denaro è divenuto il fine ultimo, non ci sono mecenati ma mercanti, e l’arte produce denaro.
Non bellezza, però; dalla bellezza l’arte ha divorziato da tempo e non pensa affatto di riconciliarsi, infatti per la prima volta nella storia l’arte non fa parte della vita, non entra nelle piazze se non per suscitare scandalo, non esce dal circuito in cui ognuno, artista collezionista gallerista critico, recita il proprio ruolo. Dagli yacht scendono oligarchi russi e un gruppo di sceicchi che brindano al successo del padiglione degli Emirati Arabi bevendo come diavoli. La Biennale è una bolla. I veneziani di Dorsoduro e di Castello, il sestiere popolare, osservano i foresti con occhi stralunati. Incede una principessa indiana, passano correndo le girls del padiglione americano, un gruppo di operai al lavoro su una chiatta all’Arsenale canticchia un vecchio ritornello dei Pitura Freska («Quanta mona che ghe xé a la Bienal…»).
Alla Biennale si è sempre venuti anche per la mondanità, ma un tempo si inseguivano Peggy Guggenheim e Palma Bucarelli, ora ci si affanna per Leonardo Di Caprio e Naomi Campbell, attesi da Pinault. Oggi il lunch per gli intimi, stasera la cena: grandi manovre per essere invitati o almeno per imbucarsi. Annunciati il gallerista Gagosian ed Elton John, forse ci sarà anche Bernard-Henri Lévy, che l’altra volta affittava un motoscafo da cui si sbracciava per salutare con la camicia bianca aperta veneziani ignari («ma chi xé queo là?»).
Venerdì sul Canal Grande la cena per l’artista boliviana Sonia Falcone: cucina Cracco. Alajmo invece si esibisce per Richard Gere e Lady Goga. Il vero segno di distinzione però è essere ammessi al breakfast sul leggendario yacht di Anita Zabludowicz. A bordo del Carinthia 7 invece si battono direttamente le aste.
Questa edizione, spiegano i critici, è molto riuscita. Lo riconosce persino Sgarbi, alla sua maniera: «Non è una mostra, è un museo. Inattaccabile. Gli artisti esposti sono quasi tutti morti. Come si fa a parlare male dei morti? Sono molto deluso. La Biennale dovrebbe essere brutta, sudaticcia, affollata. Questa invece è bella, rinfrescata dalla brezza, frequentata solo da addetti ai lavori e miliardari. Mi annoio». A Venezia in effetti c’è posto nelle pensioni ma non nei grandi alberghi, il ceto medio non è previsto, non c’è fila ai vaporetti ma non si trova un motoscafo, osterie di solito affollate restano vuote mentre la terrazza del ristorante sulla Riva è riservata da 34 magnati turchi. Passa di fronte a San Marco la gigantesca «Carnival Legend» battente bandiera panamense.
Maurizio Cattelan dribbla le telecamere. Nel padiglione del Vaticano Gillo Dorfles, 103 anni, fotografato dai passanti, tocca le figure dei sordomuti che nel video di Studio Azzurro si animano e raccontano a gesti la loro storia, e dei carcerati che si avvicinano come per una confessione. Scandinavi in maglietta, sudamericani col cappotto. Lo scrittore Tiziano Scarpa, Rosita Missoni più forte del dolore, le performer berlinesi Eva&Adele come di consueto rasate a zero con i pizzi e gli ombrellini bianchi. Il curatore Massimiliano Gioni, enfant prodige di Busto Arsizio, salta qua e là in scarpe da ginnastica parlando solo inglese.
Dice Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, la grande collezionista, che si va avanti al ritmo di dieci cene a sera, e la scelta si fa complicata. Oggi ad esempio ci sarebbero in contemporanea il lunch di Prada e quello di Franca Coin. Alla Giudecca David Tremlett bravo e silenzioso affresca l’ex birreria, davanti al ferry dove l’oligarca Leonid Mikhelson darà il suo party venerdì, contraccambiando l’invito di Pinault, ospite d’onore Jeff Koons ex marito di Cicciolina. Al padiglione Italia un barbiere pettina una ragazza in cima a un albero, al padiglione russo un performer in doppiopetto a cavallo di una trave mangia arachidi e getta le bucce ai visitatori, dietro una scritta che dice: «Signori, è arrivato il tempo di confessare il nostro narcisismo, la nostra demagogia, la nostra banalità». Folla al padiglione inglese davanti al video del barbagianni che atterra al rallenty su un tronco, tipo Olimpia l’aquila della Lazio.
Fuori dalle Corderie c’è Cattelan, finalmente solo: «A me questa Biennale è piaciuta. Molto. È vero, sembra un museo, non un allestimento temporaneo: buon segno, vuol dire che sono artisti destinati a restare. Gioni è bravo, lo stimo. Ci sono opere sorprendenti al punto che non le ho riconosciute, e anche questo è un buon segno. Ho visto un lavoro interessante che mi pareva di un cinese, invece era di Roberto Cuoghi, un mio amico. Ho visto artisti correre sul binario della follia, che è un binario parallelo al nostro ma capace di scarti improvvisi, di farci vedere le cose da un’altra parte. Si fidi: è una grande Biennale».
Di sicuro è un grande teatro, scandito dal passaggio delle grandi navi. Ora alle spalle di Cattelan si intravede come un grattacielo, è la «Nieuw Amsterdam» in partenza verso i mari del Sud. Alla Punta della Dogana si accende il vecchio lampione messo dal Comune al posto del «Ragazzo con la rana» per marcare il territorio del magnate Pinault. Venerdì il party della Swatch, sponsor della Biennale.
Sabato si inaugura, è atteso il ministro della Cultura Massimo Bray, andranno a prenderlo con il cartello perché nessuno qui sa chi sia né che faccia abbia. Al Bauer si è liberata una doppia a 1.200 euro.
Aldo Cazzullo