Gabriele Beccaria, Tutto Scienze - La Stampa 29/5/2013, 29 maggio 2013
«MILLE COSE CHE EUCLIDE NON VI HA MAI DETTO»
Quanta fatica, a scuola, per mandare a mente le elucubrazioni di Euclide. E che delusione accorgersi adesso che ci sarebbe stato moltissimo altro da scoprire (e decisamente più eccitante). La geometria che ci portiamo dietro dai tempi dei banchi è una ruota di pietra buttata nell’epoca dei chips. Un reperto illustre e necessario per capire gli albori dell’avventura nell’astrazione, ma pur sempre un pezzo d’archeologia. Ecco cosa si scopre a immergersi in «Abbasso Euclide!» di Piergiorgio Odifreddi.
Se il titolo del suo ultimo saggio suona come una delle tante provocazioni che l’hanno reso famoso, in realtà il professore ci ammonisce subito che quell’urlo - quasi un’imprecazione - risuona già a partire dall’Ottocento, quando a un signore di nome Johann Carl Friedrich Gauss i celebrati «a priori» del maestro greco iniziano a diventare troppo angusti. L’universo matematico, infatti, non riesce più a contenere i nuovi mondi immaginati da tante ondate di geni (noti e meno noti, come Listing e Peano o Mandelbrot e Godel) e a descrivere realtà parallele e invisibili, dalle acrobazie delle proteine fino alle dimensioni multiple della Teoria delle Stringhe. Senza dimenticare che le geometrie non euclidee esercitano un potere così intenso sull’immaginazione da aver terremotato anche l’arte.
Professor Odifreddi, se Euclide rinascesse, lei lo rimanderebbe subito a scuola?
«Sì. Dovrebbe. Le geometrie di oggi non fanno più alcun riferimento a Euclide. Se ancora a inizio Ottocento erano in aperta contrapposizione a lui, nel Novecento e nel XXI secolo sono cambiate ancora. Pensiamo alla topologia, alla teoria dei nodi o ai frattali. Sono realtà completamente diverse. Ecco perché l’Abbasso! E’ un modo necessario di rinnegare ciò che è stato».
Passiamo a un esempio: si dice che la fisica contemporanea non sarebbe possibile senza questegeometrienuovedizec ca. Giusto?
«E’ così. Un esempio è la Relatività di Einstein, le cui equazioni sono impensabili senza le geometrie non euclidee, in cui le diverse discipline matematiche si uniscono e si contaminano a vicenda: lo spazio cambia da punto a punto, come una gigantesca coperta patchwork, composta di pezzi differenti l’uno dall’altro. La Teoria delle Stringhe, poi, fa un salto ulteriore, con una realtà multipla a 11 dimensioni, che possono diventare ancora più numerose. Come già era avvenuto con la meccanica quantistica gli scienziati si sono liberati dai vincoli delle tre dimensioni classiche, entrando in mondi che sono sempre più difficilmente immaginabili, visto che il cervello e i sensi sono stati programmati per percezioni e per pensieri solo tridimensionali».
Una rivoluzione globale che, però, è ancora per addetti ai la vori. O no?
«Non è percepita per due tipi di motivi. Primo, perché per passare oltre bisogna passare attraverso e quindi, ovviamente, prima della geometria non euclidea si deve capire bene quella euclidea. Secondo, perché si tratta di teorie in continua evoluzione, che a scuola richiederebbero tipi diversi di libri di testo e professori più aggiornati. Però si potrebbe cominciare dalle geometrie finite, quelle a cui ho dedicato un capitolo del libro: il mondo finito dovrebbe essere più facile da afferrare dell’infinito. E poi, secondo me, si dovrebbero spiegare ai ragazzi gli stretti collegamenti tra la geometria e l’arte, dando così un’idea della cultura come un vasto insieme integrato».
Lei analizza il quadro di Manet «Il bar delle FoliesBergère»: bollato come un errore pro spettico, per l’apparente im possibilità di conciliare la posi zione della barista e del cliente con il loro riflesso laterale, in re altà secondo uno studio re cente è impeccabile, dato che rappresenta una scena osser vata di lato.
«Manet ci ha giocato un bel tiro. Barista e cliente non si guardano a vicenda, ma si rivolgono verso lo spettatore. E, come se non bastasse, le bottiglie sul bancone non sono le stesse riflesse nello specchio. Sono però disposte in modo tale da dare l’impressione di esserlo, rafforzando la falsa illusione di un punto d’osservazione frontale. Ci voleva proprio la geometria per smascherare Manet!».