Amedeo Balbi, Tutto Scienze - La Stampa 29/5/2013, 29 maggio 2013
LA CACCIA AL 96% DEL COSMO CHE ANCORA CI SFUGGE
Edwin Hubble, uno dei più grandi astronomi del XX secolo, diceva che la storia dell’astronomia è una storia di orizzonti che arretrano. Hubble fu il primo a provare che esistono altre galassie oltre alla nostra Via Lattea, e in seguito mostrò che esse appaiono allontanarsi da noi con una velocità proporzionale alla loro distanza. Due scoperte che gettarono le basi per la cosmologia moderna, mostrando non solo che l’Universo era molto più grande di quanto si fosse sempre pensato, ma anche che si espandeva col passare del tempo.
Dalle scoperte di Hubble è passato quasi un secolo e da allora gli orizzonti della nostra conoscenza si sono spinti molto più in là. Oggi abbiamo un quadro accurato dell’intero Universo osservabile e dei meccanismi fisici che lo hanno plasmato e siamo in grado di risalire a ritroso nella storia del cosmo verso le sue fasi primordiali, fino a un evento, avvenuto circa 14 miliardi di anni fa, che comunemente chiamiamo «Big Bang».
Tuttavia, ci sono ancora molte domande sull’Universo a cui la ricerca non ha trovato una risposta. Passarle in rassegna può aiutarci a capire quale potrebbe essere la nostra mappa dell’Universo nel prossimo futuro o, se non altro, in che direzione potrebbero arretrare i suoi orizzonti.
Una delle questioni aperte riguarda la composizione stessa del cosmo. Negli ultimi decenni siamo riusciti a fare un inventario di tutta la materia ed energia presenti nell’Universo osservabile. Il risultato è stato sorprendente. Tutti i dati sembrano indicare che solo il 4% circa del contenuto dell’Universo è fatto di atomi: la materia che ci è più familiare, dunque, non è che una piccola frazione di ciò che esiste. Il cosmo sembra fatto per la maggior parte di materia ed energia, la cui natura è ancora poco compresa. Questa componente dominante sfugge a una osservazione diretta. È oscura: non emette o assorbe radiazione elettromagnetica e interagisce con la materia visibile solo attraverso la gravità. Ed è proprio grazie a questa interazione che siamo riusciti, indirettamente, ad accorgerci della sua esistenza.
Una parte della componente oscura del cosmo (il 25% circa) si presenta aggregata in una vasta rete, una complessa impalcatura che innerva l’intero Universo e su cui si innestano le più grandi strutture visibili: dalle singole galassie, fino agli immensi ammassi che ne contengono diverse migliaia. La materia oscura che forma il collante gravitazionale dell’architettura cosmica è presumibilmente composta da particelle elementari massicce, ma estremamente elusive, che finora non è stato possibile osservare nei laboratori terrestri. Ma è plausibile che ciò avvenga in un futuro non troppo lontano.
Molto più complesso il discorso sul restante 70% della componente oscura. Nel 1998 due diversi gruppi di astronomi hanno scoperto che l’espansione dell’Universo accelera (e nel 2011 sono stati premiati, per questo, con il Nobel per la fisica). Questo risultato è stato inaspettato e controintuitivo: l’interazione gravitazionale della materia, infatti, dovrebbe far rallentare l’espansione. Dopo aver scartato tutte le alternative, la spiegazione rimasta in piedi per spiegare l’accelerazione dell’Universo è che esista una misteriosa forma di energia oscura, diffusa omogeneamente in tutto lo spazio (anzi, forse associata proprio allo spazio stesso), con proprietà radicalmente diverse non solo dalla materia ordinaria ma anche dalla più esotica materia oscura. Nuove osservazioni sono allo studio per aiutarci, nei prossimi anni, a comprendere meglio la natura dell’energia oscura.
Un settore che negli ultimi anni ha conosciuto una straordinaria attività è quello della ricerca di «esopianeti», ovvero di pianeti intorno a altre stelle. Il numero di esopianeti confermati si sta avvicinando rapidamente alla soglia del migliaio.
Come per la materia e l’energia oscura, anche nello studio degli esopianeti gli astronomi hanno dovuto spingere le tecniche di osservazione oltre la frontiera di ciò che è direttamente visibile. Un pianeta è molto più piccolo e meno luminoso della stella attorno a cui orbita e in genere la sua presen za può essere dedotta solo indirettamente: si può misurare la lieve diminuzione di luminosità della stella quando il pianeta le transita davanti; oppure si può notare che la stella «balla» leggermente, cambiando periodicamente posizione a causa del l’interazione gravitazionale col pianeta. Natural mente, una delle domande che alimenta la ricerca sugli esopianeti è quella sull’origine della vita: è un evento avvenuto solo sul nostro pianeta o anche altrove nell’Universo? Finora nessuno degli eso pianeti identificati ha caratteristiche fisiche che lo rendano inequivocabilmente adatto a ospitare la vita. Ma da qui a pochi anni potremmo trovare un pianeta simile alla Terra e ulteriori osservazioni po trebbero perfino stabilire che esso presenta tracce normalmente legate ad attività biologica. Una sco perta del genere non farebbe solo arretrare di mol to i nostri orizzonti, ma rivoluzionerebbe comple tamente la percezione del nostro posto nel cosmo.