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 2013  maggio 28 Martedì calendario

L’ITALIA DARA’ ASILO AGLI ALLEATI AFGHANI

Londra garantirà protezio­ne in patria a 600 interpreti, gli americani sostengono un programma speciale di 500 visti all’ anno per i collaboratori afgha­ni che hanno rischiato la vita contro i talebani. Pure Italia e Germania non lasceranno i col­laboratori ­locali alla mercè del­le rappresaglie dopo il ritiro del 2014. La Farnesina conferma che il nostro Paese permetterà «la pre­sentazione di domanda d’asilo ai citta­dini afghani che abbiano collaborato o che tuttora collaborino con il contin­gente italia­no, la cui situa­zione perso­nale sia tale da ritenere fondatamen­te che possa­no correre ri­schi di danni alla propria persona o ai propri familia­ri o che siano esposti a mi­nacce, in virtù del servizio prestato a favore della coalizione».
Una ventina di afghani erano già partiti con le nostre colonne in ripiegamento lo scorso anno da Bala Murghab, Bakwa e Gulistan. Dalla Difesa confer­mano che sono stati ridislocati nelle basi a Farah, Shindad e Herat, ma chi voleva poteva tor­nare a casa. Quanti afghani chiederanno protezione in Ita­lia? La stessa fonte militare spie­ga che «un numero totale non lo abbiamo ancora, ma stiamo affrontando il problema basan­doci sulle richieste volontarie».
Oltre agli interpreti ed ai lavo­ratori fissi nelle basi, anche i ser­vizi segreti dovranno garantire la sicurezza dei loro collabora­tori locali. Non solo: al Giorna­le risulta che personaggi influenti, come la prima donna procuratore generale di Herat, hanno cominciato a mettere le mani avanti chiedendo prote­zione all’Italia in caso di neces­sità.
I più esposti e visibili agli oc­chi dei talebani sono i cosiddet­ti Terp, gli interpreti afghani, che con il giubbotto antiproiet­tile ed il volto spesso coperto se­guono le truppe in prima linea. Probabilmente c’era un Terp anche ieri quando un’auto­bomba ha colpito una colonna mista di italiani e afghani e due bersaglieri sono rimasti feriti.
In Afghanistan resteremo an­che dopo il 2014, ma a ranghi ri­dotti. La Farnesina rivela che in vista del ritiro «il Ministero de­gli Esteri ha da tempo promos­so una riflessione congiunta Esteri-Difesa-Interni, al fine di individuare le misure idonee a permettere al personale afgano che abbia collaborato con Isaf di presentare la domanda di protezione internazionale in Italia».
I militari dovranno segnala­re chi è veramente a rischio e poi l’ambasciata a Kabul provvederà «ad autorizzare il loro in­gresso in Italia» dove chiede­ranno l’asilo. Al momento sono impiegati con il contingente italiano 78 in­terpreti, che guadagnano dai 700 ai 1200 dollari al mese, ma ci sono altre decine, se non cen­tinaia di lavoratori locali e di personaggi influenti che po­trebbero aspirare alla protezione dell’Italia. Il problema è che assieme a loro devono partire pure i familiari o i membri allar­gati del clan. Una fonte riserva­ta del Giornale rivela che pure Maria Bashir, procuratore ge­nerale di Herat, ha messo le ma­ni avanti, fin dalla scorso anno, con una richiesta di protezione per sé e la famiglia allargata. L’unica donna a questo livello nella magistratura afghana ha già subito un attentato ed il falli­to rapimento di uno dei figli.
Gli inglesi si porteranno in pa­tria al momento del ritiro i Terp che hanno servito per 12 mesi di fila in prima linea dal dicem­bre 2012. Londra calcola che sa­ranno circa 600 afghani con rela­tive famiglie. Il Dipartimento di Stato americano garantisce 500 vi­sti d’ingresso Usa all’anno per i collaboratori lo­cali in Afghani­stan.
Pure la Germa­nia, che nel nord del Paese impie­ga oltre 1600 af­ghani con varie mansioni, sta pensando ad una soluzione per evitare le rappre­saglie dopo il ritiro. Zabiullah Mujahed, portavoce dei taleba­ni, non ha dubbi: «Come gli stra­nieri se ne andranno, i collabo­razionisti pagheranno il prez­zo del loro tradimento».