Francesco Palmas, Avvenire 28/5/2013, 28 maggio 2013
BYE-BYE KABUL. MA C’È IL RISCHIO IMPLOSIONE
Mentre Kabul ripiomba nel caos e gli attacchi kamikaze si moltiplicano, gli occidentali smobilitano. Entro febbraio 2014, non ci saranno più di 34mila soldati americani in Afghanistan. E ancora si ignora quanti ne rimarranno non appena la missione Isaf sarà terminata, alla fine del prossimo anno. L’unica cosa certa è che Washington non conserverà basi permanenti nel Paese asiatico. Anzi, l’eventuale dispiegamento di un contingente di poche migliaia di uomini dopo il 2014 sarà subordinato alla concessione dell’immunità giuridica da parte del governo afghano. Cosa tutt’altro che scontata. Se gli americani partono, è tutta la Nato a seguirli. Entro l’estate, le forze alleate non avranno più ruoli diretti nei combattimenti. Hanno ormai ceduto agli afghani l’80% delle basi e degli avamposti, bersaglio privilegiato degli insorti. Il disimpegno è ormai irreversibile. Britannici e tedeschi, secondi e terzi contributori dell’Isaf, hanno annunciato dipartite più rapide del previsto. L’Italia – che dovrebbe chiudere la missione a fine 2014, riducendo entro un mese la sua presenza a circa 2mila unità – nonostante il massimo impegno quotidiano ha ripiegato da aree strappate un tempo con fatica ai taleban, a Bakwa, nel Gulistan e nella valle di Bala Murghab. Le conseguenze del progressivo “disimpegno” Isaf sono sotto gli occhi di tutti: l’insicurezza generale è in rapido aumento.
Per le Nazioni Unite, il primo trimestre del 2013 ha segnato un incremento del 30% delle perdite civili e, secondo un rapporto dell’Afghanistan Ngo Safety Office, gli attacchi contro le forze di sicurezza hanno subito un’impennata del 50% rispetto al 2012. Nell’est e in buona parte del sud afghano, l’insurrezione è un fenomeno di massa, come in altre parti del Paese. A Bala Murghab, solo 24 dei 324 villaggi censiti sono filogovernativi. L’“Afghan peace reintegration program” non ha dato i frutti sperati: ha anzi ribadito la difficoltà di redimere gli insorti. I taleban ideologizzati, maggior fazione ribelle, non hanno alcun interesse a trattare con il presidente Hamid Karzai, considerato da sempre un fantoccio degli infedeli. Sulla carta, l’esercito e le forze di sicurezza afghani controllano l’87% del territorio.
Ma secondo un rapporto della Fondazione Carnegie per la pace «il regime imploderà nel giro di pochi anni e perderà rapidamente il controllo delle aree pashtun e delle province limitrofe al Pakistan». Molti reparti schierati da Karzai sono operativamente inaffidabili, afflitti da corruzione cronica e problemi logistici. Mancano di autonomia operativa, se non per missioni di minor entità. Quando un battaglione del 201° Corpo d’armata di Kabul è stato spedito a combattere nella valle di Bad Pakh, appoggiato dalla sola aviazione afghana, ne è tornato con le ossa rotte. L’esercito non ha capacità organiche di trasporto, né di collegamento aereo, che dovranno essere garantite ancora a lungo dagli americani e dalla Nato. Ma c’è la volontà politica di farlo? Nel 2015, l’aviazione afghana avrà una flotta complessiva di 60 elicotteri da trasporto e da combattimento, cui si sommeranno 28 velivoli tattici. Pochissimi per un teatro così vasto e complesso.
I soldati avranno scarse capacità di condurre operazioni convenzionali su larga scala, appoggiate da blindati e fuoco di supporto. Un quadro tutt’altro che rassicurante, ora che i taleban sono tornati all’offensiva, non solo a Kabul. Gli affiliati alla rete Haqqani, i qaedisti e i ribelli dell’Hezbe- Islami stanno infatti ordendo attacchi complessi contro le basi operative avanzate e i reparti afghani, infliggendo loro pesanti perdite.