Silvia Guerriero, SportWeek 18/5/2013, 18 maggio 2013
IN BIANCO C’È PIÙ GUSTO
Se l’Italia è diventata la terra dei cuochi, Davide Oldani è l’uomo del momento. Sguardo magnetico e modi gentili, fisico da indossatore e parlantina che incanta: ecco perché SportWeek ha scelto come modello d’eccezione lo chef del D’O di San Pietro all’Olmo (Cornaredo, alle porte di Milano) e della cucina pop, che si è mostrato perfettamente a suo agio davanti all’obbiettivo come dietro ai fornelli. «Beh, non era la mia prima volta: avevo fatto un servizio fotografico per delle scarpe da calcio quando avevo 18 anni, cercavano giovani sportivi e mi hanno chiamato. Mi avevano scelto per caso: all’epoca stavo iniziando a capire che forse avrei fatto il cuoco perché la carriera di calciatore (giocava in C2 nella Rhodense, ndr) si era appena interrotta per un brutto infortunio, un portiere mi aveva fracassato tibia e perone».
Quindi l’avevano scelta solo per l’aspetto?
«Dicevano anche che fossi simpatico, ai tempi! Scherzi a parte, a me l’idea del bello è sempre piaciuta, anche perché faccio un lavoro bello, che posso svolgere in maniera molto semplice e naturale. Poi tutte le cose belle a me piacciono. Nel mio mestiere le devo abbellire ancora di più ed è un bene perché amo i lavori estetici, che però devono avere sempre un’etica come base, è fondamentale».
Visto che le piace il bello, lei è uno che segue la moda?
«Sì, mi piace molto. Ma non nel senso che vado dietro alle mode del momento: per me essere alla moda vuoi dire indossare dei bei vestiti e venendo da una famiglia di sarti so cogliere certi dettagli e stare bene, anche in base a come mi sento. Significa essere elegante. Nel mio ultimo libro Il giusto e il gusto ho parlato dell’importanza del vestito della domenica, come si diceva una volta. Che io metto non per fare il figo, ma perché mi piace e mi fa stare bene, e anche per rispetto degli altri».
L’eleganza, in un piatto, che cos’è?
«Un piatto è elegante quando è sobrio, pulito. Quando il colore è dettato dalla stagione. Al D’O adesso ci sono tanti verdi e verdini, fra un mese e mezzo ci saranno colori ancora più brillanti, rosso e arancione. Un piatto è alla moda quando segue la stagione».
Lei è considerato un cuoco alla moda: quanto l’ha aiutata l’aspetto fisico a diventare un personaggio?
«Innanzi tutto non credo di essere un personaggio, questo lo dite voi, eh?! E comunque l’aspetto mi ha aiutato zero, perché ho 45 anni e tutto quello che sto facendo è arrivato solo adesso, dopo aver studiato, imparato e lavorato per tanti anni. Secondo me nella vita se uno punta sull’aspetto ha magari qualcosina prima, ma poi non dura. Sono le idee che vanno portate avanti. Io non sono più il Davide del raviolo aperto che facevo da Marchesi vent’anni fa, adesso lo rifaccio con un mio stile. Prima lo copiavo, ora devo metterci del mio, usare la mia personalità. Non la bellezza».
E quindi com’è che un cuoco diventa una star?
«Con tanti sacrifici. Prima sai tu di essere bravo e avere personalità, uno coerente è così. Quando poi cominci a sentire dagli altri che sei bravo, vuoi dire che gli altri si sono accorti di quello che c’era dentro di tè già vent’anni fa. Io sapevo e so molto del mio mestiere, che adoro. E so che adorandolo ho i risultati che voglio. Che non sono essere famoso e fare un programma in tv (a giugno sarà protagonista di The CooKing, il re della cucina, tre puntate-evento prodotte da La3 Tv che andranno in onda su Real Time; ndr), ma avere un’etica mia, avere rispetto, affrontare le situazioni nel miglior modo possibile, rendermi accessibile».
Però non si limita a stare in cucina: lei scrive libri, va in televisione, partecipa a numerosi eventi...
«Io per vivere ho bisogno di adrenalina. Non ho mai fatto uso di stupefacenti, non ho mai fatto cazzate, grazie a Dio e ai miei genitori. Ho solo bisogno di trovare motivazioni. Sennò sarei il cuoco eccellente che cucina, e non voglio essere solo questo. Odio la monotonia, odio la routine, che è quello che deteriora la funzionalità di una persona. Io mi occupo di un sacco di cose: bicchieri e piatti, il set up della tavola, i libri, le consulenze per disegnare vestiti e giacche da cuoco, le collaborazioni con SportWeek. Adesso mi sono messo in testa che la grande cucina deve essere abbinata alla comunicazione di sport. Che serve per dare grandi messaggi a chi ascolta. I bambini sono vicini alla cucina, guardano i programmi in tv. Se tu insegni loro che puoi cucinare bene solo se ti muovi e fai sport, è una cosa in più. A me, personalmente, queste cose servono per svegliarmi la mattina ed essere felice. Serve anche ai miei collaboratori: io parlo sempre di squadra, che non serve per pulire la cucina o per guadagnare più soldi, ma per dare una motivazione a un progetto e far sì che questo progetto cresca. Quindi che crescano i ragazzi. E io con loro».
Parlando di programmi di cucina, perché secondo lei hanno tanto successo in questo momento?
«Perché l’unica cosa a cui dobbiamo restare aggrappati è il cibo. Questi programmi hanno tanto successo, e spero ne abbiano ancora di più perché mi ci sto buttando anch’io, perché danno dei messaggi che la gente può scegliere se utilizzare o meno, imparando però qualcosa su un argomento, la cucina, alla portata di tutti».
Com’è la sua vita quando non sta in cucina?
«È molto bella perché e qui qualcuno potrebbe trovarla una bestemmia non trovo differenza tra il mio lavoro e la mia vita. Sono molto felice perché riesco a far entrare il mio lavoro nel privato e viceversa. Ed è quello che mi soddisfa: io ho bisogno di amici, non di dipendenti. Al limite sono io che dipendo da loro. Anche per il mio carattere: sono un po’ sulle mie, molto timido, anche se non sembra. Diciamo che sono migliorato: dieci anni fa non avrei mai potuto fare questa intervista. Io sono un mediano: una punta che segna, ma che nella vita resta il classico mediano che cantava il Liga».
A proposito: con lei, grande interista come Ligabue, non si può non parlare dell’Inter... o forse è meglio non farlo, visto il periodo?
«Macché: sono orgoglioso di parlarne anche adesso. Credo che nessuno sia vincente in toto per tutta la vita, quindi ci stanno anche momenti del genere. Nel mio ristorante c’è una frase scritta sul muro a mano: “terra su cui mettere i piedi e non solo cielo dove mettere i sogni”. La realtà delle cose dev’essere questa. Non si può essere sempre il numero uno, quindi la condizione dell’Inter mi va anche bene nonostante da tifoso mi piacerebbe vederla un po’ più su, un po’ più brillante. Tre anni fa eravamo sul tetto del mondo, ora c’è un assestamento. Io le chiamo ripartenze, che in gergo calcistico sono molto importanti. E servono per capire bene come sei: due passi avanti e uno indietro. Nel caso dell’Inter siamo arrivati al top, siamo decaduti un po’ e ora voglio pensare che ci stiamo organizzando per poter ripartire. Questo è lo spirito del mio presidente che è un grande uomo, uno veramente di spessore. E poi sto usando anche il riso che produce, che mi ha mandato Milly, con molto orgoglio. Orgoglio nerazzurro e orgoglio di cuoco».