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 2013  maggio 26 Domenica calendario

A HOLLYWOOD BASTARONO POCHI MESI STORIA DI UN FILM PERDUTO E RITROVATO

Cornelius Vanderbilt IV, pronipote del magnate del trasporto ferroviario e marittimo, dopo aver combattuto nella Prima guerra mondiale decise di fare il giornalista e, grazie al denaro e al nome, non gli fu difficile tra le due guerre entrare in ambienti inaccessibili ai comuni reporter. Girando l’Europa con due cineoperatori francesi intervistò sia Benito Mussolini che Stalin, ma il suo obiettivo era ancora più ambizioso.
Il 5 marzo 1933 si tennero in Germania le ultime elezioni della Repubblica di Weimar e il partito nazionalsocialista ottenne la maggioranza con quasi il 44%. Quello stesso giorno un Adolf Hitler trionfante parlò dinanzi a una folla in tumulto riunita nel palazzo dello Sport di Berlino. Vanderbilt riuscì a scambiare qualche parola con il neo-cancelliere tedesco. “Dica agli americani – gli disse Hitler – che la vita va avanti, sempre avanti. Dica loro che Hitler è l’uomo del momento e che è stato mandato dall’Onnipotente per trarre in salvo una nazione trattata con disprezzo e senza onore per quindici lunghi anni”.
Due settimane dopo Vanderbilt si imbarcò alla volta di New York con molti metri di pellicola girati sui profughi ebrei che fuggivano dalla Germania. Nei mesi che seguirono Vanderbilt scritturò il regista Mike Midlin e affidò al noto giornalista della Nbc Edwin C. Hill il ruolo di voce narrante, commentatore e intervistatore. Vanderbilt si ritagliò la parte di un giovane, coraggioso giornalista.
IL FILM di Cornelius Vanderbilt IV uscì il 30 aprile 1934 a Broadway con il titolo Il regno del terrore di Hitler. Erano 65 minuti di immagini di repertorio e materiale girato da Vanderbilt. C’erano scene di massa, sfilate di camicie brune, discorsi di Hitler, folle impazzite che bruciavano libri, interviste tra cui quella con Helen Keller i cui libri furono dati alle fiamme su ordine di Hitler. Vanderbilt aveva anche filmato la tomba dei genitori di Hitler e aveva raccolto testimonianze da cui risultava che Hitler era malvisto nella sua cittadina natale in Austria.
Sorprendentemente il 1° maggio del 1934 il New York Times recensendo il documentario scriveva: “I metodi di Hitler vengono criticati ferocemente nel documentario di Vanderbilt e Hill, ma purtroppo sono del tutto assenti moderazione di toni e senso dell’umorismo”. Pochi giorni dopo Roy Norr, in rappresentanza della Motion Picture Association of America, visionò il film e, pur sottolineando che dava della Germania una immagine assolutamente negativa, disse che “un governo non può sentirsi insultato se ci si limita a descrivere oggettivamente il modo in cui si comporta”.
Di diverso avviso George Canty, addetto commerciale dell’ambasciata americana a Berlino che, bersagliato dalle proteste, concluse che “il film non è utile agli interessi dell’America”. Col tempo fu proprio la posizione di Canty a prevalere negli Stati Uniti. Il film fu bloccato dalla censura a New York e successivamente anche a Chicago a seguito delle proteste del console tedesco che sosteneva che il documentario fosse un falso. Travolto dalle polemiche il documentario svanì nel nulla. Almeno fino a poco tempo fa. Nello scorso mese di aprile è uscito il libro Hollywood e Hitler, 1933-1939 del professor Thomas Doherty, uno studio molto interessante sul rapporto tra Hollywood e il nazismo. Durante la stesura del libro, Doherty non riuscì a trovare una copia del film di Vanderbilt e ne rimase stupito al punto da scrivere: “Il film è scomparso nel nulla e non se ne fa cenno nemmeno tra le carte conservate dalle biblioteca della Vanderbilt University”. Qualche mese dopo Doherty ricevette una email da Roel Vande Winkel dell’università di Anversa, in Belgio, che era stato contattato dall’Archivio cinematografico belga dove era stata rinvenuta una copia del film di Vanderbilt sepolta tra gli scaffali dal 1945.
PROBABILMENTE – come spiega Doherty – un distributore belga aveva ordinato una copia del film allo scoppio della guerra e prima dell’occupazione del Belgio da parte dei nazisti. Secondo la ricostruzione di Doherty la copia non era mai stata ritirata alla dogana – o perché nel frattempo il Belgio era stato occupato o perché il distributore non aveva il denaro per sdoganarla – ed era finita nell’archivio cinematografico alla fine della guerra.
Il regno del terrore di Hitler è riapparso dopo 80 anni di oblio. A rivederlo oggi il documentario denuncia qualche ingenuità, ma rimane un documento straordinario non fosse altro perché è il primo film americano dichiaratamente antinazista. All’inizio del film la voce narrante chiede a Vanderbilt cosa pensa di Hitler: “Senza dubbio è un uomo abile e forte. Ma dopo averlo intervistato lo considero uno strano miscuglio tra Huey Long, Bill Sunday e Al Capone. Non avevo mai conosciuto un uomo altrettanto bravo nel parlare alle masse. Mi ha detto che la Germania non vuole dimenticare i suoi due milioni e mezzo di morti. È uno straordinario imbonitore”. “Secondo lei in Europa si sta preparando un’altra guerra?”, chiede Hill. Vanderbilt annuisce con espressione addolorata: “Sembra un incubo tremendo e incredibile”, commenta Hill. “Sì, sono d’accordo”, conclude Vanderbilt.