Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 28 Martedì calendario

IL MEDICO? È ONLINE

La nuova medicina è collegata a te. La nuova medicina ti capirà in un modo che fino a ora era impossibile, e anzi sarai tu a guidare il cambiamento, con i dati e le informazioni a tua disposizione. Eric Topol è un cardiologo e l’autore di The Creative Destruction of Medicine, “La distruzione creativa della medicina”. È anche l’entusiasta missionario della digitalizzazione della medicina. Crede per esempio che i nostri onnipresenti smartphone (un miliardo nel mondo), opportunamente trasformati, diventeranno veri e propri laboratori diagnostici, indispensabili per controllare il nostro stato di salute. Il suo smartphone, per esempio, in pochi secondi è in grado di fare un elettrocardiogramma e anche di misurare il livello di glucosio nel sangue. Lui lo trova estremamente utile, dato che è ghiotto di tacos.
In un prossimo futuro chiunque potrà controllare questi dati in tempo reale e condividerli con il proprio medico curante per avere una cura personalizzata. La “salute 2.0”, come la chiamano gli esperti, è il futuro della medicina. La prossima rivoluzione quindi non riguarderà tanto la scoperta di nuove cure per vecchie malattie, quanto nuovi modi di accumulare e processare dati, anche per eliminare gli sprechi.
Con una popolazione che invecchia e la crescita esponenziale di malattie croniche, i sistemi sanitari di tutto il mondo sono infatti sottoposti a una pressione economica fortissima. I pazienti si aspettano una qualità di servizi centrati sulle proprie esigenze, sanitarie ed emotive, sempre più difficile da ottenere. «L’attuale sistema è inefficiente», dice Topol, «anche perché i pazienti sono trattati tutti nella stessa maniera, quindi con screening di massa o con la somministrazione a tappeto di medicinali che hanno effetti collaterali peggiori della cura. Mentre ognuno di noi è unico».
La sfida quindi è migliorare la cura senza andare in bancarotta. E non stupisce che molte start up si siano buttate nel nuovo business. CellScope, in California, sta sviluppando un otoscopio da connettere al cellulare. Potrebbe essere usato a casa per diagnosticare le otiti dei bambini, che ai medici costano milioni di visite ogni anno. Scanadu sta sperimentando un sensore che, posato sulla tempia del paziente, riesce a monitorare battito cardiaco, frequenza respiratoria e temperatura corporea, dati che vengono processati e memorizzati direttamente sul cellulare. «Io raccomando questi apparecchi perché sono divertenti e vedo che anche i pazienti sono più propensi a tenersi sotto controllo», dice Topol.
Il fermento digitale è ovunque. Allo Sloan-Kettering Cancer Centre di New York per esempio, gli oncologi stanno testando il supercomputer Watson di Ibm, un programma che può essere usato non solo per diagnosi oncologiche, ma anche nella medicina di base. Dalle esperienze cliniche si è visto che un terzo delle diagnosi sbagliate è dovuto alla tendenza dei medici a fidarsi troppo di un singolo pezzo di informazione (il cosiddetto “pregiudizio a favore”). Watson invece è capace di una raccolta dati più completa, sa gestire la complessità delle informazioni e soprattutto non si lascia influenzare da preferenze personali. Quando fa una diagnosi, è anche capace di modulare i consigli a seconda di una scala di probabilità. A San Francisco la società Predictive Medical Technologies sta invece sviluppando un programma che analizza i dati dei pazienti in terapia intensiva. Trasformando questa informazione in un algoritmo, può identificare i malati a rischio di infarto o di altre patologie anche 24 ore prima che queste insorgano.
LA VISITA È FINITA?
Gli algoritmi non sostituiranno del tutto i medici, ma è indubbio che la figura del medico sia in pieno cambiamento. E non solo perché è stata superata dalla tecnologia. «Il dottore di una volta non esiste più»: la denuncia è di Giorgio Cosmacini, storico della medicina che ha scritto il pamphlet La scomparsa del dottore - Storia e cronaca di un’estinzione (Raffaello Cortina Editore). Ma se n’è accorto da solo chiunque di noi abbia avuto bisogno di una banale visita a domicilio. «Una volta il medico era costretto a visitare perché c’erano minori possibilità tecnologiche di diagnosi. Oggi la medicina ha acquistato in tecnologia ma ha perso in umanità. Si pensa che l’approccio tecnologico ai problemi del paziente sia l’unico modo di rapportarsi a lui. Che la visita si possa addirittura evitare. Del resto ora viene chiamata prestazione», dice Cosmacini. «E può essere la prestazione anonima di uno specialista che guarda la lastra senza vedere il malato. Sta scomparendo il metodo clinico - l’antica “téchne iatriké”, arte medica - fondato sull’ascolto del paziente. È in corso una spersonalizzazione e una disumanizzazione. Anche negli ospedali, che da strutture di assistenza per chi è a disagio stanno diventando centri di tecnologia diagnostica. Proprio così: un’attività umana assistenziale è diventata tecnologia disumana e l’ipertrofia dei mezzi si è trasformata in atrofia dei fini».
Professionisti come Topol non la pensano affatto in questo modo. Secondo loro l’establishment medico, peccando di paternalismo, oppone resistenza perché non vuole che il paziente sia indipendente o addirittura «empowered», reso più forte, dalla digitalizzazione. «Certo i medici non sono entusiasti del fai-da-te, ma alcuni lo riconoscono come un’opportunità sia per la prevenzione che per la cura», dice. È d’accordo anche Alberto Luini, senologo dello Ieo di Milano, per il quale la rivoluzione internet va abbracciata e governata. «In Italia siamo ben lontani da strumenti che fanno le diagnosi online. Io l’elettrocardiogramma collegato al web l’ho usato, e non funziona. Però queste applicazioni sono utili perché portano il paziente a interessarsi del proprio corpo e della propria salute. Oggi nove pazienti su dieci con problemi al seno, quando arrivano dallo specialista hanno già consultato la rete, sono già informate sulle nuove tecniche o sulle nuove possibilità terapeutiche. Magari assorbono informazioni in modo bulimico, ma vogliono essere più consapevoli. E noi medici siamo visti meno come taumaturghi e più come guide che aiutano a prendere delle decisioni. La comunicazione è sempre più importante perché oggi il paziente vuole poter scegliere tra diverse opzioni».
Più la medicina diventa una scienza dell’informazione, più certe funzioni potrebbero diventare responsabilità del paziente, il che lascerebbe liberi i medici di occuparsi di casi più urgenti o difficili. Cosmacini è cauto: «Bisogna distinguere tra automedicazione ed autocura». E dice: «Misurarsi la pressione da soli va bene. Ma quando si è davvero malati si ha bisogno di una guida che non può essere fornita da una macchina, ma solo da una persona. Gli esami stessi avvicinano il medico alla realtà fisiopatologica del malato, ma lo allontanano dalla sua realtà antropologica. Il rischio? La medicina del silenzio».
UN TEAM DI PROFESSIONISTI
Lo stesso sistema sanitario potrebbe cambiare in modo drastico. Al centro, non più necessariamente il medico specialista, ma un team di infermieri, farmacisti, nutrizionisti, esperti di fitness. Se oggi i nostri contatti col medico sono cadenzati da regolari check up o dettati dalle emergenze, in futuro potremmo essere monitorati digitalmente in collegamento col sistema sanitario senza nemmeno esserne consapevoli. L’obbiettivo sarà tenerci in salute, più che intervenire sulle malattie. Per esempio potremmo indossare un braccialetto che registra costantemente la pressione o i battiti cardiaci. Qualsiasi anomalia verrebbe trasmessa istantaneamente a un centro sanitario che avvertirebbe il personale sanitario, non necessariamente un medico, più probabilmente un infermiere.
«Il ruolo del medico sarà molto meno fisico, anche se le visite resteranno importanti», dice Luini. L’infermiere avrà un ruolo chiave. «Già da quest’anno lo Ieo, a Milano e dintorni, sta sperimentando un programma di contatti giornalieri col paziente affidati a un gruppo di infermieri, dopo le dimissioni. Questo riduce i rientri in ospedale per problemi di scarsa rilevanza». Così è probabile che gli ospedali verranno usati solo da persone in condizioni davvero critiche. Ospedali, dottori, intelligenza artificiale: «Se anche i pazienti parteciperanno pienamente a questo processo, la medicina avrà la grande occasione di diventare meno costosa e più democratica». Parola di Topol.