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 2013  maggio 28 Martedì calendario

SE IL MOSTRO ABITA NELLA VILLETTA ACCANTO

La prima sera nella nostra nuova casa di Washington, smarriti fra trincee di scatoloni, qualcuno suonò alla porta. Una signora rotondetta e sorridente ci allungò un piatto da portata coperto di alluminio. Disse soltanto: «Benvenuti nel quartiere, sono Nancy e sono la vostra vicina di casa. Questo è un prosciutto cotto al forno e ho pensato che potesse evitarvi il problema di cucinare. Un regalo di buon vicinato. Se avete bisogno di qualunque cosa, abito lì», e indicò la porta della villetta accanto.
Era la moglie di un dentista, al cui trapano avrei nel corso degli anni restituito più volte il valore di quel prosciutto, ma non era venuta per acchiappare un paziente in più. L’aveva mossa quello “spirito di vicinato” che ancora, come nei villaggi dei Pellegrini o dei pionieri nel West quando tutti dovevano aiutarsi per sopravvivere (magari prima di spararsi addosso) resisteva e che colpiva noi cresciuti nella convinzione che “il vicino” sia generalmente un rompiballe.
In decenni di traslochi e salti di continenti, mai mi era capitato di essere cibato spontaneamente dalla sconosciuta della porta accanto. Ma di quella signora, del marito dentista, come della coppia di medici che abitano all’altro lato della casa o del colonnello d’aviazione pensionato che mi sta di fronte allora non sapevo, e ancora non so, nulla. Dietro la facciata cortese, i sorrisi da lontano, le due chiacchiere scambiate, per quello che ne so nella loro cantina potrebbero vivere donne incatenate. O in soffitta essere conservati resti di parenti mummificati, come la mamma di Anthony Perkins in Psycho.
Conosciamo davvero i vicini?
La risposta, che il caso mostruoso dei Castro a Cleveland, quelli che avevano rapito e torturato ragazzine per anni nel sottoscala ha reso terrificante, è: “no”. I Castro non erano targati “MOSTRO”. I vicini nel loro modesto quartiere di piccola classe media li incontravano tutti i giorni. Li salutavano. Chiacchieravano di sport o di pioggia. Hallo e goodbye.
Conosciamo tutti quelle inutili dichiarazioni raccolte dai Tg nei casi dei delitti più feroci. «Una coppia tranquilla». «Un signore educato». «Gente normale». Mai uno che dica davanti alla telecamere: «Mi pareva un demente». «Lei era una belva». Mai.
Non sono testimoni idioti o bugiardi. Sono soltanto la manifestazione di qualcosa che persino nell’America dello “spirito di quartiere” sta accadendo: è la “solitudine della porta accanto” il crescente isolamento nel quale tutti viviamo, sprofondati nelle finte comunità virtuali della Rete, nella luce azzurrognola del televisore, negli affaracci e guai nostri.
Il test è in un semplice rituale: il barbecue. Attorno alla griglia sistemata nel cortile di una casa, il “paterfamilias” di corvèe ustionava a turno bistecche, hamburger e salsicce per tutti e il quartiere consumava colesterolo a secchi e senso di appartenza e di comuntà. I bambini a litigare, i teen agers a fiutarsi, i mariti a discutere di sport (mai di politica, per evitare screzi terminali) le moglie a parlar male dei mariti.
Un censimento nazionale condotto nel 1974 osservò che la metà delle famiglie trascorreva due serate al mese socializzando con il vicinato. Nel 2008, il numero si era dimezzato. Il senso del quartiere, della “vicinanza” come la chiamavano gli emigrati italiani nei loro ghetti, si va disperdendo, come l’odore del barbecue nella sera.
Puoi fabbricare bombe in casa tua, come i fratelli Tsaraev a Boston, senza che nessuno se ne accorga. Puoi tenere tre ragazze per sette anni chiuse in cantina, violentarle, farle abortire, e i vicini non ne avranno sospetto. Good morning America. Quella rete di controllo sociale, che era tanto utile quanto fastidiosa (stare al passo coi vicini tagliando l’erba sempre meno verde e comperando l’auto nuova) si è smagliata. Viviamo in piccoli castelli, con sempre più ponti levatoi elettronici, allarmi, fotocellule, sensori, quando non armi da fuoco nei cassetti.
Non credo che oggi, 25 anni dopo quella sera, Nancy la moglie del dentista oserebbe suonare alla porta di sconosciuti appena piovuti nel quartiere reggendo un prosciutto. Avrebbe timore di fare, lei, la fine del prosciutto.