Marcello De Cecco, Affari & Finanza, la Repubblica 27/5/2013, 27 maggio 2013
ITALIA-GERMANIA LO SPREAD DEL CREDITO
L’espressione credit crunch non credo fosse nota a molta gente prima della crisi esplosa nel 2008. Ma, con la crisi, credit crunch è divenuta una espressione diffusa e usata da una cerchia assai più larga di quella degli specialisti di economia bancaria. L’Europa continentale ha un sistema economico basato sulle banche più che sui mercati. Più sono piccole le imprese e meno abbienti le persone, più si rivolgono in prevalenza a banche per le loro necessità finanziarie. In una inchiesta su piccole e medie imprese e banche, che la Bce conduce ormai dal 2010 e che è segno essa stessa dell’importanza del credito bancario presso quella enorme massa di debitori, si evidenzia infatti che solo l’11% delle imprese intervistate è quotata in Borsa. La massima parte è a controllo familiare, e una buona fetta addirittura a controllo da parte di una sola persona fisica. In questo panorama non fa meraviglia se le condizioni del credito rivestano una grande importanza. Si sa da tempo che il credito bancario è “pro ciclico”. E’ disponibile a condizioni vantaggiose quando l’economia va bene, e scarseggia e si trova a condizioni peggiori quando la congiuntura rallenta. Il problema più serio per le piccole e medie imprese in tempi di crisi è costituito da quel che si chiama il credito di esercizio, i fondi che permettono di pagare i salari anche quando il flusso dei pagamenti loro dovuti dai clienti ristagna, o di riempire di materie prime
o semilavorati le linee di produzione. Il credito che insieme ai profitti reinvestiti invece serve a finanziare gli investimenti in nuovi impianti, se diminuisce o addirittura manca del tutto, induce decisioni dolorose ma non così tragiche come la carestia di credito di esercizio. Gli investimenti, infatti, si pospongono o eliminano e un ampliamento della forza lavoro non ha più luogo. Ma gli occupati non vengono sacrificati come quando manca il credito di esercizio. Sui mutui edilizi e il credito al consumo, le famiglie non ricevono in banca un trattamento diverso da quello che lamentano le piccole imprese. Prestiti più difficili, interessi più alti, istruttorie più lente. La crisi attuale ha quindi indotto un coro di proteste contro le banche. Dalle inchieste che la Bce ha dedicato periodicamente al problema a partire dal 2010, si vede che la crisi ha diviso i paesi dell’Euro in due campi, schierando Germania e altri creditori netti come Austria e Finlandia contro i debitori netti, i cosiddetti PIIGS. Col perdurare della crisi, si sono avvicinati ai PIIGS anche paesi come Francia e Olanda. Tra le imprese europee che si avvalgono quasi esclusivamente delle banche per le proprie necessità finanziarie, spicca l’Italia, che conserva ancora la peculiarità dei cosiddetti “pluriaffidamenti”, in cui cioè le imprese si affidano a molte banche allo stesso tempo. Questa caratteristica, che nei tempi buoni sembrava avvantaggiare le imprese, ora invece si rivela un pericolo, perché le banche si muovono come un gregge e quindi, come si sono contesi i clienti in tempi favorevoli, così sono pronte ad abbandonarli, tutte insieme, quando l’orizzonte si oscura. Le nostre banche, in aggiunta, nell’ultimo quindicennio hanno trasformato il modello operativo a favore della cosiddetta “banca a rete”, una conseguenza della concentrazione tra le banche italiane e della proliferazione dei loro sportelli. Dai primi anni ‘80 la Banca d’Italia ha abbandonato la rigida programmazione della presenza territoriale delle banche e mel nuovo regime di libertà, le banche si sono concesse una vera e propria abbuffata di nuovi sportelli, rinviando così la razionalizzazione dei costi di personale che doveva seguire le concentrazioni. Inoltre, anche per seguire le nuove regole di Basilea sui coefficienti di capitale, le banche italiane sono passate dalla capillare conoscenza da parte dei loro funzionari presenti nelle varie sedi, del pubblico dei debitori, a un nuovo sistema basato sul rating dei debitori stessi, da praticarsi prima dell’accensione o rinnovo dei prestiti, rating da ottenersi con formule oggettive calcolate nella sede centrale delle banche stesse. I clienti, dunque, dopo molti decenni di rapporti affidati alla conoscenza delle loro situazioni da parte di direttori locali, si sono trovati a dover riempire questionari sempre più complessi e dettagliati sulle proprie condizioni economiche e finanziarie. Per le piccole imprese italiane questa è stata una vera, sgraditissima, rivoluzione. La fiducia, prima base del credito e fondata sulla conoscenza dell’ambiente e delle persone da parte dei funzionari locali, veniva meno ed era sostituita dai Rating. Proprio mentre questo sistema si affermava arrivava la crisi, che ha colpito i piccoli imprenditori, abituati al sistema precedente che durava da decenni ed era affiancato dalle “garanzie reali”, terre e immobili messe a far da cuscino in caso gli affari dell’impresa affidata andassero male, e dalla divisione del rischio tra tutte le banche affidatarie secondo il sistema del “pluriaffidamento”. Molti di loro di conseguenza, si sono trovati, allo scoppio della crisi, a dover fare a meno allo stesso tempo dei profitti e del credito, mentre le loro banche erano costrette a mettere a loro volta fine a un modello che le aveva viste prendere a prestito grandi quantità di fondi sul mercato interbancario internazionale, in aggiunta alla propria attività tradizionale e alla raccolta di depositi sul mercato interno. Ecco dunque spiegato il tenore delle risposte ai questionari della Bce da parte delle piccole imprese. Esse riportano di aver dovuto chiedere meno credito per la rallentata attività economica, ma di averne trovato ancor meno per un improvviso e per loro deprecabile indurirsi del comportamento delle banche. Questo non sembra accadere in Germania, dove le imprese non si sentono soggette al credit crunch. Da parte di distinti economisti, come Martin Hellwig, la differenza si spiega col maggior successo delle esportazioni tedesche, ma anche col fatto che il credito alle piccole imprese è in Germania somministrato specialmente da banche non grandi e radicate sui propri territori, che non sembrano aver perso i contatti con le imprese e continuano a fidarsi dei propri clienti, essendone ricambiate con comportamenti altrettanto leali. In altre parole, in Germania, la sensazione di straniamento rispetto al sistema bancario non sembra aver avuto luogo, mentre è lamentata dalle imprese italiane.