Guido Ceronetti, Corriere della Sera 27/05/2013, 27 maggio 2013
TUTTO IL POTERE AL TURPILOQUIO. E’ TEMPO DEI FUCILI DIGITALI
Non serve pacatezza quando c’è bisogno di urla, a patto di non varcare mai la misura, perché è subito Hybris, la Dismisura che scatena le potenze infere castigatrici. Grillo ha urlato senza misura, quantunque con più che buoni motivi, e mettere una sella su una tigre non è facile. Aveva in mano tanto potere da scatenare una guerra civile. Gli bastava abbandonare di colpo il turpiloquio reiterato fino al grottesco e ordinare di incendiare e uccidere. I fucili padani di Bossi facevano ridere ma Grillo, se l’avesse voluto, avrebbe potuto far uscire a milioni fucili carichi dagli schermi dei suoi digitanti. Ma insistendo nel turpiloquio come surrogato di una coerenza stracciona, dopo il suo personale trionfo elettorale (rifiutando una semplice trattativa, in cui si sentiva disabile), il Beppe ha fatto del male ugualmente, e decisivo, a questa disperata e disperante comunità nazionale; l’ha spinta verso le soluzioni più assurde, senza chiudere la porta alle estreme. Una democrazia senza regole come quella venuta fuori dalla funesta data del 24-25 febbraio non è un toro addormentato: è una illusione pensare di averlo domato con una pillola di sonnifero.
La Dismisura si è fatta più vicina. Basta a raggiungerla il prevalere della stupidità impotente in un Parlamento in confusione, che gioca alla pilotta con la propria illusoria sovranità. E la Hybris, avvertiva Eraclito, va spenta più di un incendio.
Non riesco a pensare che possano cadere delle gocce di vera saggezza in una massa di eletti a rappresentare una nazione irta di tradizione sebbene di scarsa consistenza unitaria, in cui non siano vivi i fermenti del pensiero antico, classicamente greco e latino, e della visione vetero-testamentaria. Quelli sono sostanza muscolare, circolazione sanguigna per la nostra mente infelice, soggetta all’errore e al brancicamento! Esclusa da sempre la cultura vetero-testamentaria, mai penetrata in Italia, al politico contemporaneo restano di corredo sapienziale le colonne di giornale che parlano di loro, battute da querela televisive, romanzi polizieschi da libreria d’autogrill, e l’erosione statistica del lume razionale. La cultura finanziaria e monetaria falsano, più che non rischiarino, le tempeste e le bonacce dell’economia. La storia contemporanea è quasi del tutto (è impressione mia) ignorata. Quanto a interpretarla, Dio ce ne scampi e liberi. E i ministri della Salute che cosa sanno della malattia, di ciò che è malattia, di ciò che è salute? La politica è fatta di cose disparatissime; una cultura specificamente politica non esiste.
Dovunque c’è una radura mentale incolta c’è pirlapolitik. Nei politici la corsa a procurarsi, per lo più con mezzi illeciti, beni materiali visibili, a barattare buon nome con appartamenti, ad approfittare delle cariche, è figlia della sottocultura. Qualche buona massima stoica al momento opportuno, in greco o in latino, un distico saffico, allontanano la corruzione.
Ma ho un ricordo che brucia ancora. Nei 50 alla Camera il deputato più colto e integro era certamente Concetto Marchesi, eletto nel partito stalinista. Venne nell’ottobre 1956 la santa rivoluzione ungherese, e con calcolata perfidia Togliatti affidò al maestro venerato il compito abominevole di esaltare l’invasione e la repressione sovietica, accusando i rivoltosi di restaurazione fascista (il governo Nagy anticipava di dieci anni la Primavera di Praga), ma per i giovani di allora Budapest in rivolta fu veramente vivere in un appassionante sogno di redenzione umana. Quel giorno provai vergogna per il maestro che, per fanatismo cieco, abdicava al suo obbligo di mai recedere dalla verità.
Oggi non ci sono più i Marchesi nel Parlamento italiano, però, ecco, anche dalla più alta cultura può venire un cattivo esempio, addirittura come in quel momento cruciale storico, una raccapricciante apologia del male. Chi è contro l’euro e scalcia per uscirne fa pirlapolitik, assicura il Filosofo Ignoto. Là occorre fare quadrato e, nella più perfetta Misura, con l’approvazione di Aristotele, replicare con l’immortale parola di Cambronne. Meritante per aver finora (ma fino a quando?) tenuto a freno i suoi più agitati bloggisti, Grillo ha sfiorato Hybris con una frase che vorrei mi fosse spiegata, a me pare di puro farnetico: «Vorrei che i tedeschi ci invadessero». Voler essere invasi è un brutto voto di masochismo, ispirato dall’istinto del peggio come un piacere di abbassamento.
Non credo Grillo alludesse alla Bundeswehr, ben poco desiderosa di calare dal Brennero per mettere in ordine i conti dei governi di Roma, la cui renitenza farebbe fuggire anche un Rommel o un Ludendorff: ma se davvero intendesse consegnare una Italia ormai incurabile all’imperialismo straripante di un euro-marco con becco e unghie di avvoltoio, una prospettiva così iperrealista potrebbe renderci inquieti; non è priva di fondamento. Il guaio è che Beppe ci piglierebbe gusto, a offrirsi nudo e smorto sulla torre dei Parsi. I suoi ragionamenti non sono da accenti comiziali, vengono da cammini alquanto tortuosi da analizzare.
Guido Ceronetti