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 2013  maggio 26 Domenica calendario

CATTELAN NON C’E’ (MA UN PO’ SI’)

Esordì nel ’93 affittando il suo spazio. Nel ’97 espose un piccione. Nel 2009 portò la Nona ora. Due anni fa ha ripresentato uno stormo di piccioni allineandoli minacciosamente sopra una tela di Tintoretto. Quest’anno arriva in Biennale il suo amico Massimiliano Gioni, ma lui non c’è. C’è per la prima volta il Vaticano, ma lo scultore che fece colpire papa Wojtyla da un meteorite, no. Del resto, presentando la sua grande retrospettiva del novembre 2011 al Guggenheim di New York, aveva detto: «Sono infelice. Appendo tutto e smetto. Ho visto una luce in fondo al tunnel: ritirarmi».
Come ha passato Maurizio Cattelan i primi due anni da auto-esodato dell’arte?
«Si dice che non hai mai veramente vissuto fino a che non hai mai rischiato di morire… Quando ti riposi nella quiete, e l’immagine di te stesso svanisce, e la tua immagine del mondo svanisce, e la tua idea degli altri svanisce, che cosa rimane? Una luminosità, un vuoto radioso che è semplicemente quello che sei».
Entriamo nel vuoto radioso della Biennale per vedere quello che è e che è stata. Quando lei era un bambino, Luis F. Benedit realizzò al padiglione argentino del 1970 un microzoo con api, mosche, grilli che sono poi morti. Nel ’72, Hans Hollein ha esposto un pollo stecchito e il gruppo Mass Moving liberato 10 mila farfalle che resero scheletri gli alberi. Che cos’è? Tutti figli degeneri di Joseph Beuys?
«Il vero ultimo figlio di Beuys è l’Occupy Movement, discendente di una lunga stirpe di eredi a partire dai Verdi negli anni Novanta. Il tempo ha fortificato il suo messaggio, ma ne ha ridotto la poesia: credo che nel processo di diffusione sia un sacrificio inevitabile».
Alla XLVII Biennale è comparso uno stormo di piccioni impagliati da tale Maurizio Cattelan. Poi sono riapparsi due anni fa: come stanno i volatili? Li conserva nel salotto della nonna, come quelle che il poeta Guido Gozzano definiva «le buone cose di pessimo gusto»?
«In effetti, alla fine della guerra, tornato dalla prigionia in Germania, mio nonno era irriconoscibile: mia nonna e il brodo di piccione l’hanno salvato… Si è ripreso ed è vissuto per altri quarant’anni!».
In Biennale, De Dominicis espose un portatore di handicap con appeso il cartello: «Soluzione di immortalità». Fu processato. Cattelan, per Trussardi con la cura di Gioni, espose i bambini impiccati al più vecchio albero di Milano. In quel caso fu processato l’uomo che tagliò il ramo. Bisogna separare le carriere di artisti e magistrati?
«De Dominicis è stato molto più coraggioso di me: lui ha esposto una persona, io mi sono limitato a dei pupazzi… Sono quasi sicuro che quel lavoro abbia garantito a De Dominicis l’immortalità, non credo si possa dire altrettanto né di me né del tizio che ha tirato giù dall’albero gli impiccati: il miglior giudice sarà il tempo».
Alla Biennale del ’97, Marina Abramovic mostrò un volto impegnato dell’arte: pulire ossa. Lei che da ragazzo puliva cadaveri all’obitorio, perché non è diventato un artista impegnato?
«Credo che nessun discorso sia neutrale, l’arte non fa eccezione. Ognuno di noi è "impegnato" a modo suo e non è detto che dichiararlo a voce alta lo renda più vero. Il mio impegno è creare immagini che rimangano impresse per più di due secondi… Assicuro che se non è "impegnato" è comunque molto impegnativo!».
Alla Biennale del 1990 l’onorevole Cicciolina presentò una scultura colorata che ritraeva lei e il marito, Jeff Koons, in acrobazie sessuali. Ha mai proposto qualcosa di simile a qualche fidanzata?
«Non ho mai avuto né una fidanzata onorevole né pornostar, ma sono disposto a valutare qualsiasi proposta, chiamatemi!».
Si è mai messo in camera da letto una delle sue opere? Che so… animali impagliati, poliziotti appesi all’attaccapanni…
«La mia è una famiglia fatta di orfani con tanti padri adottivi, che si sono presi cura delle mie opere meglio di quanto avrei mai fatto io. Una volta che un lavoro è finito non c’è motivo di tenerselo sotto agli occhi, ti ricorderebbe soltanto che avresti potuto fare di meglio. E comunque ho sempre preferito la stanza vuota e la mente piena».
Il titolo della Biennale di Massimiliano Gioni è «Il Palazzo Enciclopedico», dall’opera di Marino Auriti, e si lega al tema della memoria. Lei che ha concluso con l’arte, poteva esporre anziché stare ai giardinetti?
«Il fallimento è il condimento che dà al successo il suo sapore: Il Palazzo Enciclopedico è un progetto ambizioso e allo stesso tempo impossibile da portare a termine, il sapere non è mai finito. Credo che, come tutte le mostre di Massimiliano, vorrà scardinare le regole di ogni "buona" mostra per portare il fruitore su un terreno ignoto, per risvegliarlo dallo "stupore bovino", come lo chiama lui».
Ma davvero, alla Biennale di Gioni, Cattelan non c’è o è il solito scherzo (sue opere saranno in mostra in «Unattained Landscape» dal 1° giugno a Palazzetto Tito, per la fondazione Bevilacqua La Masa: 13 artisti che interpretano il Giappone)?
«Il Palazzo Enciclopedico include moltissimi nomi di artisti dimenticati e scomparsi: sono grato a Massimiliano di non avermi inserito in questo elenco! A Basilea la settimana dopo, l’11 giugno, inaugurerò un focus sui lavori prodotti nella mia precedente vita che si intitolerà Kaputt: non sarò molto distante, né nel tempo né nello spazio. Ormai Venezia e Basilea sono il territorio di un’unica tribù nomade, e sia in Biennale che in Svizzera girerò col passaporto di semplice visitatore».
Concorrenza sleale alla Biennale? Che cosa espone a Basilea?
«Il mio lavoro sarà alla Beyeler Foundation, circondato da sale piene di capolavori della storia dell’arte contemporanea, da una parte la collezione, dall’altra una mostra su Max Ernst. Lì in mezzo sarà un corpo estraneo schiacciato tra colossi. Sarà l’allegoria di uno sforzo eroico, un tentativo disperato alla ricerca della salvezza, vanificato dalla realtà della Storia».
Quest’anno ci sarà il Vaticano. L’arte contemporanea è molto anticristiana. Nel 1990, ad esempio, il Gruppo Gran Fury aveva esposto una gigantografia di Giovanni Paolo II con accanto un grande fallo. Poi è arrivato lei con la «Nona ora»...
«Non penso che l’arte contemporanea nutra un disprezzo particolare verso il cristianesimo, penso piuttosto che viva un naturale rapporto conflittuale con il potere. L’arte è la lingua che va a battere dove il dente duole, non c’è altra scelta possibile».
Passiamo dal fallo al dito. Il mondo della finanza ambrosiana si chiede sempre se lei sposterà quel dito medio rivolgendolo verso altri, che so, i giornalisti...
«Lo scorso settembre è stata ufficializzata la donazione al Comune: L.O.V.E. ci ricorderà per altri trent’anni che cosa è successo dal 2008 in poi. Un uomo scala una montagna perché c’è. Un artista crea un’opera perché non c’è: i monumenti celebrativi vengono abbattuti alla fine di una dittatura, forse un giorno il Dito non avrà più senso di esistere. Vorrà dire che avremo superato questa fase della nostra storia, ci sarà bisogno di nuove opere e di nuovi artisti che le immaginino per noi».
Pierluigi Panza