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 2013  maggio 26 Domenica calendario

«HO IMMAGINATO GLI UFFIZI DELLA CONTEMPORANEITA’»

Meglio due o due e cinque? Il dubbio sulla distanza tra le opere di Marisa Merz, Leone d’oro alla carriera della 55ª Biennale, viene risolto in pochi attimi, nonostante il rumore dei martelli e un intreccio di italiano, inglese, veneziano: nel Padiglione dell’Arsenale che renderà omaggio a questa artista grande e schiva, dipinti, disegni, fotografie avranno così a separarli due metri e 5 centimetri «per respirare meglio». Massimiliano Gioni, il più giovane direttore/curatore della Biennale (è nato a Busto Arsizio nel 1973), ha d’altra parte pensato da subito a questo suo Palazzo Enciclopedico come una realtà in continuo movimento: 4.500 opere, 158 artisti («quasi il doppio rispetto all’edizione 2011»), 47 eventi collaterali, 88 presenze nazionali con dieci esordi, tra cui quello (attesissimo) della Santa Sede. Più enciclopedico di così...
Come sarà questa Biennale?
«Ci si dovrà perdere, lo sguardo del visitatore dovrà essere sopraffatto dalle sollecitazioni, dalle suggestioni che lo accompagneranno dal Libro Rosso di Jung e dalla maschera africana con gli occhi chiusi della collezione di André Breton, che fisicamente apriranno il percorso all’Arsenale, fino ai Giardini con tutte le suggestioni e le possibilità dei nuovi media. Il mio sogno? Che da tutte queste sollecitazioni possa nascere un’idea più pura dell’arte».
Un percorso che sembra contraddire le leggi dell’arte: più l’opera è contemporanea, più lo spazio è vuoto?
«La storia dell’arte sembra essere inversamente proporzionale all’affollamento dei musei: penso agli Uffizi, alla incredibile quantità di capolavori che si ritrovano fianco a fianco. E, all’opposto, agli spazi rarefatti dei musei votati al contemporaneo. Vorrei che questa Biennale assomigliasse agli Uffizi».
E così ha ridisegnato l’Arsenale come una sequenza di Wunderkammer, di «camere delle meraviglie»?
«L’ho fatto perché voglio che i visitatori siano liberi di cedere alle sollecitazioni, ma proprio per questo ho voluto indicare loro, comunque, un percorso ideale da seguire. Oltretutto non è facile muoversi tra figure "marginali per scelta" come la Merz o la Lessing e grandi star come Cindy Sherman, il britannico Steve McQueen o Richard Serra. Che, tanto per cambiare prospettiva, nonostante sia un maestro delle grandi dimensioni sarà presente con la sua opera più piccola, un ritratto di Pasolini che è anche un omaggio alla figura di un grande intellettuale. Dunque, un miscuglio complesso, dove accanto agli artisti già noti si ritroveranno persino dilettanti. D’altra parte il Libro Rosso di Jung è il lavoro di un dilettante, almeno nel campo dell’arte».
Si è molto parlato dei dilettanti...
«Più che di dilettanti parlerei di "non professionisti dell’intrattenimento". Di figure eccentriche, isolate, proprio come lo erano i surrealisti, che non a caso avranno anche loro grande spazio in questa Biennale. Perché li ho contrapposti? Perché da questo confronto sia i grandi sia i dilettanti potranno uscire fortificati, migliorati, rinvigoriti nella propria ispirazione».
All’apparenza sembra un’impresa impossibile poter mettere insieme tutto questo in un’unica Biennale...
«Aver scelto come modello il Palazzo Enciclopedico di Auriti, che non è un artista nel senso classico del termine e che non ha mai realizzato quel suo progetto, è l’ammissione di questa difficoltà. Anzi è già la definizione di un fallimento, ma questo impegno, l’idea di aver tentato di riprodurre, sia pur parzialmente, la cacofonia di questi tempi, è un successo. Voglio dire che non è un’idea nata per caso, piuttosto è l’unica che oggi abbia un senso. In un tempo sempre più superficiale come quello di Internet. Con tante logiche sollecitazioni, ma con ben poca voglia di approfondire».
In cerca di nuove profondità ha così affidato un ruolo chiave a Marco Paolini?
«Al Padiglione disegnato da Álvaro Siza, al Giardino delle Vergini dell’Arsenale, ci sarà il suo Fèn, un mappamondo di utensili e fieno, dove Paolini, un artista eccentrico in quanto fuori dallo star system, metterà in scena una serie di cosmologie personali, raccontando come un cantastorie un mondo di cose perdute, ma anche la possibilità di gettare un ponte verso il futuro. Cercando nuova profondità».
Dopo tante edizioni, che senso ha oggi la Biennale di Venezia?
«Quello di essere l’unico posto al mondo dove puoi trovare tutti insieme tutti questi artisti, tutte queste opere, tutte queste presenze. Non è una fiera come tante, ma un vero e proprio universo. Io ho cercato di renderlo ancora più grande. Ancora più enciclopedico. Chissà se ci sarò riuscito...».
Certo che la crisi fa sembrare la sua impresa ancora più titanica...
«Sono arrivato al Palazzo Enciclopedico per esclusione, come sempre faccio. Ho passato in rassegna le idee che più mi sembravano affascinanti, più legate all’oggi. A un certo punto ho anche pensato a come l’arte contemporanea rappresenta il disagio. Poi ho rinunciato: non mi è sembrato giusto essere così pessimista».
Il 30 sera, a Venezia, la Fondazione Trussardi e gli artisti la festeggeranno. Che effetto le fa?
«Emozionante, commovente». E poi, ridendo, Gioni aggiunge: «Non vorrei che mi festeggiassero per mandarmi in pensione...».
Stefano Bucci