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 2013  maggio 26 Domenica calendario

L’ENCICLOPEDIA SENZA FINE

Provate a sfogliare la maggior parte dei libri e degli articoli dedicati all’arte contemporanea. Nel migliore dei casi, si tratta di resoconti del presente. Fotografie della cronaca. Spesso, vuote rielaborazioni di teorie filosofiche poco assimilate. Ancor più spesso, esercizi provocatori, che non affrontano mai il confronto con quella misteriosa drammaturgia di segni e di visioni che è l’opera d’arte, ma indulgono in frasi a effetto e in slogan. Tratto ricorrente è l’incapacità di offrire punti di vista privilegiati: mancano le ipotesi interpretative preferenziali. Davvero pochi, infatti, provano a capire quale logica si celi dietro il frenetico susseguirsi degli stili e delle maniere. Quasi in contrasto con l’eclissi dei «grandi racconti» si muovono i neo-enciclopedisti. Sono critici di generazioni diverse, i quali vogliono reagire alla frantumazione dei saperi e alla disintegrazione dei linguaggi attuali. Anche se con finalità, intenzioni e sensibilità differenti, avvertono il bisogno di ricominciare a proporre sintesi. Il loro obiettivo: restituire nuovi affreschi epocali.
In tal senso, alcuni segnali appaiono rivelatori. Venezia, 55ª Biennale. Richiamandosi all’edizione del 1993 (curata da Bonito Oliva), il direttore, Massimiliano Gioni, ha disegnato un itinerario espositivo mosso e articolato, che riserverà molte sorprese. Il titolo è Il Palazzo Enciclopedico. E si ispira a un progetto visionario e utopistico concepito nel 1955 dall’artista autodidatta di origine italo-americana Marino Auriti, il quale aveva immaginato di innalzare un Palazzo Enciclopedico. Ovvero, un edificio di 136 piani che avrebbe dovuto raggiungere i 700 metri di altezza e avrebbe occupato più di 16 isolati della città di Washington: un museo impossibile, in cui si sarebbero radunate tutte le scoperte dell’umanità (dalla ruota al satellite). Rievocando quella fantasia, Gioni mira ora a ordinare un «catalogo» della contemporaneità, nel quale si troveranno a convivere differenze. Outsider e artisti celebrati. Opere, reperti e oggetti.
La scelta di Gioni appare in consonanza con quella di Achille Bonito Oliva, il quale, dal 2010, sta curando, per Electa, un’ambiziosa iniziativa editoriale: l’Enciclopedia delle arti contemporanee. Un’enciclopedia in cinque volumi (è appena uscito il secondo, sul Tempo interiore), in cui Bonito Oliva sembra agire come un regista, impegnato a coordinare un’ampia troupe di collaboratori. Ogni tomo prende in considerazione una specifica categoria estetica, che viene declinata da studiosi di varia estrazione in diversi ambiti (musica, architettura, arti visive, cinema, new media, teatro, fotografia, letteratura).
Infine, il nonstopcurator (come è stato chiamato da Douglas Gordon): Hans Ulrich Obrist. Che, dal 1992, ha iniziato a girare il mondo per intervistare artisti, architetti, filosofi, scrittori, scienziati e musicisti. Con frequenza crescente e istinto compulsivo, Obrist si reca negli atelier, visita mostre, frequenta studi, partecipa a convegni. Ogni occasione, per lui, è utile per raccogliere — su cassette e su pellicola — giudizi, idee, confessioni. Negli anni, il globetrotter della critica ha assemblato una monumentale biblioteca di immagini e di parole, che si arricchisce settimanalmente di ulteriori episodi. Un ininterrotto piano-sequenza della nostra epoca. Anche qui siamo dinanzi a una forma di involontaria enciclopedia. Che, presto, dovrebbe essere stabilmente conservata in un importante museo internazionale.
Per cogliere il senso profondo di queste avventure intellettuali, potremmo richiamarci a Italo Calvino, che, nell’ultima «lezione americana», interrogandosi sulla nozione di molteplicità, indica un transito importante. Stiamo assistendo, secondo l’autore di Palomar, al passaggio dall’enciclopedia di stampo illuminista — che ha la pretesa di esaurire la conoscenza del mondo «rinchiudendola in un circolo» — all’enciclopedia postmoderna. Che si dà come spazio aperto, in divenire, insicuro, specchio di una totalità impossibile da controllare: «Potenziale, congetturale, plurima». Uno «spazio» paradossalmente anti-enciclopedico, caratterizzato da un disegno generale composto e definito con sapienza. Che, tuttavia, evita di farsi imprigionare in una «figura armoniosa». Ma preferisce abbandonarsi a divagazioni, a emergenze, a forze centrifughe. All’affiorare di verità parziali. Alla vertigine dell’imprevisto.
Calvino si riferisce alla narrativa novecentesca (da Mann a Joyce). Ma le sue parole sembrano prefigurare alcuni scenari critici odierni, segnati dal bisogno — come dimostrano le «strategie» di Gioni, di Bonito Oliva e di Obrist — di tornare a indicare, in una prospettiva contemporanea, un canone. Che, però, non abbia alcuna ambizione normativa e non esprima il desiderio di pronunciare l’identità culturale dell’Occidente nella sua interezza. Ma si doni come un’architettura flessibile e mobile, capace di rinnovarsi a oltranza. Non una lista velleitaria e anacronistica. Ma un catalogo liquido, a maglie larghe, disponibile anche ad altre presenze, altri discorsi, altre voci.
Del tutto privo di ogni auctoritas, l’enciclopedismo 2.0 è parziale, limitato, legato alle preferenze soggettive. Non aspira più, per dirla con Umberto Eco, a configurarsi come una «libreria delle librerie» o come «un archivio di tutta l’informazione non verbale in qualche modo registrata, dalle pitture rupestri alle cinetiche». Piuttosto, è intimamente contraddittorio. Talvolta, incoerente e «inconsultabile». Si situa sulla soglia tra totalità e specificità, tra visione d’insieme e work in progress. Sintetizza, ma non conclude, né risolve. Evoca lo sforzo per scegliere «il meglio»: ciò che è destinato a rimanere nel futuro. Rimanda al tentativo per provare a destreggiarsi nella deflagrazione dei paesaggi estetici della tarda modernità. Si consegna a noi come mappa per guardare il presente, ricorrendo a letture orientate: anche se non uniche, né esaustive. Non impone strade, ma suggerisce labirinti: «sentieri interrotti». Chiede di essere messo continuamente in discussione, sfidato, problematizzato. Non teme divagazioni e passaggi a vuoto. È come un «testo plurimo»: non sistematico, ma discontinuo, ad accumulo. O è come un romanzo che non segue una linea retta, ma si dirama in mille rivoli, in anfratti, in contrade, in personaggi secondari. Ricorda da vicino una delle tante installazioni che si ritrovano nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo: «complessi plastici» che si modellano a seconda degli ambienti nei quali sono ospitati, proponendo armonie instabili di elementi.
Forse, però, l’«enciclopedismo aperto» che sta emergendo è testimonianza anche di altro. È un modo per curvarsi sull’infinita varietà delle costruzioni artistiche del nostro tempo. Ma è pure un modo per accostarsi a quella «combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni» che abita ogni individuo.
Perché, come ha scritto ancora Calvino, «ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili».
Vincenzo Trione