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 2013  maggio 26 Domenica calendario

FIAT-CHRYSLER VERSO WALL STREET. UN’OPERAZIONE DA DA VENTI MILIARDI — I

passaggi da compiere sono ancora molti, l’operazione si delinea, ogni giorno che passa, sempre più come una manovra di grande complessità con notevoli implicazioni giuridiche, finanziarie, sindacali e regolamentari. Che, ovviamente, si sommano a quelle industriali e sociali insite nell’integrazione di due gruppi automobilistici di continenti diversi e dal grande retaggio storico come Fiat e Chrysler.
Ma la fusione tra il Lingotto e il gruppo di Auburn Hills messa in cantiere da Sergio Marchionne suscita un crescente interesse a Wall Street, che la considera ormai nel suo orizzonte, e alimenta l’attivismo delle grandi banche — da Goldman Sachs a Bank of America passando per Deutsche Bank — che premono per avere un «posto in prima fila» nell’affare.
Ieri alla fusione ha dedicato una dettagliata analisi il «Wall Street Journal» che, oltre a sottolineare la «marcatura stretta» alla quale l’amministratore delegato dei due gruppi è sottoposto dalle banche, formula anche un’ipotesi sulle dimensione dell’operazione, sulla base delle indicazioni che circolano in Borsa: un affare da circa 20 miliardi di dollari, poco meno dei 23 miliardi dell’Ipo della General Motors, l’altro grande gruppo automobilistico Usa uscito dalla crisi, che affrontò la Borsa già nel 2010: un anno dopo la bancarotta e l’avvio della ristrutturazione.
Non si può dire che l’operazione GM sia stato un successo: messe sul mercato a 33 dollari, le azioni della Casa di Detroit precipitarono subito e sono rimaste per anni sotto il prezzo di collocamento. Tornando solo di recente a prezzi vicini a quello iniziale. Marchionne punta, ovviamente, a qualcosa di molto meglio. Ma è un’operazione delicata, in gran parte basata sul valore attribuito a Chrysler. Oggi la capitalizzazione della società incorporante, Fiat, è piuttosto basso: la stampa finanziaria Usa si è sorpresa, un paio di settimane fa, quando Tesla - un’azienda californiana che quest’anno produrrà per la prima volta 21 mila berline elettriche, un settore nel quale fin qui tutti hanno fallito - è arrivata ad avere un valore di Borsa superiore a quello del Lingotto.
Prima di centrare l’obiettivo della quotazione in Borsa ed avere, quindi, la possibilità di usare liberamente le risorse delle due società all’interno del gruppo, Marchionne dovrà superare vari ostacoli. Il primo è quello dell’acquisto dalla Veba (il fondo sanitario dell’UAW, il sindacato americano dell’auto) del 41,5 per cento del capitale che gli manca per avere il controllo totale di Chrysler (oggi Fiat è al 58,5%). Le due parti, come si sa, valutano in modi molto diversi questa quota: il giusto prezzo di Marchionne è 1,75 miliardi di dollari, Veba ne vuole 4,27.
Ora la questione è nelle mani del Tribunale del Delaware: il giudice Donald Parsons distribuirà ragioni e torti, indicherà criteri di valutazioni, ma non fisserà necessariamente un prezzo. E si prenderà tempo. A digiuno per sua stessa ammissione dei criteri contabili diversi da quello usato negli Stati Uniti, difficilmente si pronuncerà prima di luglio. Sulla base delle indicazioni di Parsons, Lingotto e Veba riproveranno a stringere un accordo.
Se ce la faranno, Marchionne dovrà poi affrontare il nodo del finanziamento dell’acquisto. Il capo dei due gruppi ha già detto che Fiat ha liquidità sufficiente, ma, secondo gli analisti, se la usasse per fare un’acquisizione, il gruppo torinese rischierebbe un altro «downgrading». Mentre le banche sembrano ben felici di dare una mano procurando i capitali, oltre che organizzando l’Ipo.
Definiti gli aspetti finanziari, si passerà al lancio dell’operazione vera e propria. Potrebbero anche bastare tre mesi, ma negli ultimi tempi la SEC, l’"authority" di sorveglianza della Borsa, si è fatta più prudente, allungando i tempi dei controlli regolamentari. Verosimilmente il collocamento al New York Stock Exchange arriverà con l’inizio del 2014.
Massimo Gaggi