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 2013  maggio 26 Domenica calendario

ROMA [SCALA 1:200]

Per diciassette anni Ermanno Polla ha battuto a palmo a palmo il centro storico di Roma. Portava matita, taccuino, macchina fotografica, un’asta metrica allungabile e uno strumento che si era costruito da sé per calcolare gli angoli. Quindici giorni fa ha completato la sua ciclopica avventura: il rilievo integrale di tutti — tutti — gli edifici compresi entro le Mura Aureliane, un’area grande oltre millecinquecento ettari (più o meno millecinquecento campi da calcio), uno dei più compatti e pregiati patrimoni architettonici del mondo, da Borgo Pio e Trastevere fino a Testaccio, Castro Pretorio ed Esquilino, compreso il Tridente — da Piazza del Popolo a Piazza Venezia e poi Corso Vittorio Emanuele, Piazza Navona e Campo de’ Fiori. Il frutto di questa fatica intellettuale e fisica è in dieci faldoni neri impilati uno sull’altro, l’unico oggetto in ordine su una scrivania gonfia di fogli, pennarelli, pastelli, scatole di caramelle e barattoli nell’ingresso del seminterrato dove Polla, settantasei anni, capelli e barba bianchissima, un viso che pare tratto dal busto di un imperatore romano, ha il suo studio.
Fino al 2003 ha insegnato alla Facoltà di Architettura della Sapienza. L’idea di riprodurre in scala 1 a 200 le piante e i prospetti di ogni cosa si affacci su vie, vicoli e piazze del centro storico di Roma — palazzi, monumenti, umili abitazioni, chiese e poi portali, finestre, cornici, cornicioni, bugnati, corpi scala, cortili, chiostrine, comigno-li, abbaini... — è del 1988. «Facemmo diverse riunioni con alcuni colleghi all’università e un dirigente del Comune», racconta seduto su uno sgabello e mescolando il piemontese delle origini, l’umbro della giovinezza e il romanesco della maturità. «Poi, uno alla volta, si defilarono tutti e io rimasi come un salame». Nel ’96 è partito da solo, aiutato dai suoi studenti. Dal 2003, con la pensione, ha finalmente potuto immergersi, senz’altri impacci, nelle maglie fitte della Roma rinascimentale e barocca, la Roma tracciata dai papi, da Bramante e Raffaello e poi ritoccata da Valadier e quindi ampliata dai “piemontesi”.
Polla ha difficoltà nel camminare. «Mi scortava mia moglie, che restava in macchina a leggere, mentre io piantavo gli strumenti sul marciapiede e prendevo misure». Nessuno a Roma — ma forse neanche a Parigi o a Madrid — ha mai fatto nulla del genere. Non in queste dimensioni. Tutto di tasca propria (ora, chi volesse, può acquistare i faldoni a 800 euro nella libreria romana Kappa, in piazza Fontanella Borghese). Nessuna casa editrice, nessun destinatario già disponibile, né il Comune né il Catasto né la Soprintendenza né l’Ordine degli architetti. Quasi il rilievo non fosse uno strumento indispensabile, ad esempio, per fronteggiare l’abusivismo edilizio o il degrado o per avviare una ristrutturazione. Le tavole originali, grandi tubi di fogli lucidi accatastati dietro la scrivania, Polla le regalerà all’Università.
«Quante male parole mi son preso». Il professore si passa la mano nei capelli. «Mi dicevano: “Lei che ci fa lì? Perché fotografa?”. Il preside della facoltà ha scritto una lettera assicurando che non fossi un impostore, ne ho fatte migliaia di fotocopie, ma solo pochi si sono fidati e mi hanno fatto entrare negli androni o nei cortili. Ho disegnato tutte le facciate, mi mancano quelle dei villini sul Gianicolo, protetti da piante e muri di cinta. In Vaticano mi hanno cacciato e anche negli edifici di proprietà della Santa Sede. Lo stesso nelle stazioni di polizia o dei carabinieri. Ancora sto aspettando che mi mandino la pianta del Teatro Sistina».
Polla ha diviso il centro di Roma in dieci comparti. Di ogni comparto ha rilevato tutti gli isolati, fossero composti di uno o anche di quindici o venti edifici. La zona di Corso Vittorio conta 314 isolati. Seguita da Trastevere, 269. In totale sono 1.500. «Il rilievo è il miglior strumento conoscitivo di un edificio. È come se fosse una riprogettazione, favorisce il contatto fisico con la tecnica costruttiva e la riappropriazione di vicende trascorse, ognuna delle quali rimanda a possibilità future». Tutti i disegni sono a mano. Matita e carta. Una volta completata la facciata, rifinita con le
finestre in asse, il marcapiano che negli edifici di pregio divide il piano terra dal piano nobile, le bugne una sopra l’altra («grosso modo, quattordici per piano»), la gronda, i discendenti e il tetto, passava i fogli ad alcuni collaboratori che trasferivano tutto su Autocad, il sistema informatico in voga fra gli architetti.
Ora il centro storico di Roma sembra al professore molto più sfaccettato di come lo aveva studiato sui libri. «Mi si manifesta repentinamente e sempre sorprendendomi». Ha scoperto affreschi su facciate inaccessibili allo sguardo, perché in vicoli stretti, e poi graffiti, iscrizioni, bassorilievi, brandelli di colonne affioranti sui prospetti. Edilizia potente, dal Quirinale a Palazzo Farnese, ma anche minuta ed egualmente parte insostituibile di un tessuto edilizio che ha valore nel suo insieme. E quanta emozione dall’alto di un terrazzo nello scorgere «le bocche di lupo che segnalano una cantina, laddove in epoca romana o medievale c’era un pian terreno».
I tubi con i lucidi arrotolati raccontano una storia secolare, facciata dopo facciata. E ora che soffoca sotto le gomme dei torpedoni turistici e ansima per i gas delle auto, svuotato di residenti, che ne sarà del centro storico di Roma? «Fosse per me, lo pedonalizzerei integralmente. Solo piccoli bus elettrici, tantissimi e frequentissimi». Così che in futuro, molto agevolmente, Polla potrà fare rilievi anche più dettagliati.