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 2013  maggio 26 Domenica calendario

ILVA NELLA BUFERA, VIA BONDI E FERRANTE

TARANTO
Il sequestro dei beni di Riva Fire per 8 miliardi e 100 milioni di euro disposto dal gip di Taranto travolge il consiglio di amministrazione dell’Ilva. Ieri a Milano i consiglieri Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure si sono dimessi. Ferrante, presidente dell’Ilva, era arrivato a luglio dell’anno scorso. Bondi, amministratore delegato, si era invece insediato un mese fa.
Riesplode quindi il caso Ilva e il Governo corre di nuovo ai ripari. Il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, incontrerà domani Bondi a Roma e alla riunione sarà presente anche il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola. Nei prossimi giorni Zanonato vedrà anche i sindacati.
Il consiglio di amministrazione dell’Ilva resterà in carica sino al 5 giugno quando si riunirà l’assemblea dei soci per decidere cosa fare, ovvero se respingere in blocco le dimissioni, se respingerle in parte, o se invece consegnare ogni responsabilità all’amministratore del sequestro, l’ex presidente dell’Ordine commercialisti di Taranto, Mario Tagarelli. La situazione è grave, si legge in una nota dell’Ilva, e il provvedimento del gip Patrizia Todisco - contro il quale l’azienda ricorrerà - incide anche «sulla partecipazione di controllo di Ilva detenuta da Riva Fire».
«L’ordinanza dell’autorità giudiziaria - sottolinea in una nota l’azienda - colpisce i beni di pertinenza di Riva Fire e in via residuale gli immobili di Ilva che non siano strettamente indispensabili all’esercizio del l’attività produttiva nello stabilimento di Taranto. Per tali motivi il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all’attività industriale e per questo tutelati dalla legge n. 231 del 2012 dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale».
In sostanza, il ragionamento che fa l’azienda è il seguente: il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, afferma che dal sequestro, disposto ai fini del risarcimento dai danni ambientali, il siderurgico non è toccato. Ma lo stabilimento di Taranto non è scollegato dal resto dell’Ilva, né dalla capogruppo Riva Fire. C’è interdipendenza tra le diverse realtà e quindi il sequestro sui beni della capogruppo, disposto in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità delle imprese, rischia di produrre ripercussioni a catena. Sui posti di lavoro anzitutto, 24mila quelli diretti, di cui 11mila solo a Taranto, che salgono a un totale di 40mila con l’indotto. Come già emerso a luglio, quando ci fu il sequestro degli impianti dell’area a caldo, e a novembre, quando furono bloccate merci per un milione e 700mila tonnellate, è di nuovo tutto un sistema che rischia di vacillare. In quanto al provvedimento di sequestro, l’Ilva darà battaglia legale. Sicuramente al Tribunale del Riesame, anche se non si escludono soluzioni diverse come la Corte di Cassazione.
«Il Governo è impegnato a far sì che i due diritti fondamentali alla salute e al lavoro possano essere garantiti ai cittadini e ai lavoratori di Taranto e degli altri siti produttivi Ilva - dice il ministro Zanonato -. Per questo tutte le istituzioni e la direzione dell’Ilva sono chiamate ad una forte assunzione di responsabilità».
«Il provvedimento assunto dalla Magistratura - afferma inoltre Antonio Gozzi, presidente di Federacciai - non può che andare nella direzione di voler costringere alla chiusura la nostra più importante impresa siderurgica che ora si trova oggettivamente privata delle necessarie risorse finanziarie. La Magistratura, che evidentemente in questo Paese può decidere quali aziende possano lavorare e quali no, si dovrà assumere tutta la responsabilità delle sue scelte».