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 2013  maggio 25 Sabato calendario

IN GERMANIA, IL MUSEO DEI SUONI

Scompaiono gli animali, tra dieci anni forse le tigri continueranno a sopravvivere solo in cattività, in qualche zoo. I panda sono razza protetta, come le aquile reali, si estinguono gli animali domestici, gli asini che non servono più per trascinare i carretti, o diverse specie di galline, di maiali, di oche.

Quelli che non sono adatti alla grande produzione alimentare non vengono più allevati. Scompaiono alberi di mele e di pere, gustose ma che non si prestano alla lunga conservazione, e sono troppo delicate per il trasporto. Scompaiono i fiori e le api, le libellule, e le lucciole, come lamentava Pasolini decenni fa. E noi ce ne dimenticheremo per sempre.

Chi protegge i suoni? Anche loro fanno parte della nostra vita quotidiana, ma molti rumori tipici della nostra infanzia sono spariti. Chissà quali erano quelli dei nostri nonni, quando andavano alle elementari. Il rumore di una segheria, quello di una bottega da ciabattino, il soffio di un’antiquata macchina per l’espresso. È un’idea che poteva nascere solo nella Ruhr, un tempo chiamata il cuore del carbone e dell’acciaio d’Europa. Oggi gli altiforni sono spenti, e le miniere chiuse. Gli impianti industriali vengono trasformati in musei, le gigantesche fabbriche ospitano teatri o sale da ballo. Il gasometro di Oberhausen, il più grande d’Europa, ospita opere d’arte, e in questi giorni un’installazione di Christo, un’immensa mongolfiera. Due giovani di Rüttenscheid, dalle parti di Essen, hanno creato da un anno il museo Conserve the Sound (www.chunderksen.de), ovviamente virtuale, in cui ospitano i suoni scomparsi, o quelli che stanno per sparire. Jan Derksen e Daniel Chun ne hanno già un centinaio, e ogni giorno se ne aggiungono di nuovi, per suggerimento dei visitatori. Non solo rumori antichi.

Le ore alle mie elementari erano segnate dallo stridio del gesso sulla lavagna, dello scricchiolio del pennino sul quaderno. Esistevano già le penne biro, ma erano considerate demoniache dalle maestre. Rovinavano la calligrafia, secondo loro. Oggi, in America in molte scuole hanno abolito il corsivo, si usi lo stampatello, tanto si scrive al computer. Ma anche le macchine da scrivere avevano ognuna il suo particolare suono.

Nel museo della Ruhr si può ascoltare il ticchettio su una «Valentina», opera d’arte del design italiano, oppure il battere sonoro di un’ingombrante «Triumph». Lo stridio di un tram di trent’anni fa è diverso da quello di una moderna metropolitana. E per noi giornalisti della vecchia guardia, il lavoro era accompagnato dal rumore delle linotype, scomparse da un giorno all’altro all’arrivo della fotocomposizione. Ascoltiamo la musica su un cd, ma chi ricorda il fruscio della puntina di un vecchio giradischi che si posava su un disco a 33 giri? Lo scatto di una gloriosa Leica, o di una Rollei, che era la macchina fotografica dei paparazzi, il rumore del disco di un telefono mentre i numeri vengono composti lentamente, le monetine che cadono dentro un apparecchio a gettoni fanno tutti parte dei nostri ricordi, ma i nostri figli non sanno di che cosa stiamo parlando. Loro telefonano con una scheda, oppure con un cellulare.

Ma anche gli handy, come li chiamano in Germania con un termine inglese che in inglese non esiste, mutano con estrema velocità. Daniel Chun ha salvato il suono dei tasti di un Nokia, che ha pochi anni, oggi i numeri si compongono sfiorando lo schermo. Il museo è stato aperto grazie all’intervento della Film und medien Stiftung, la fondazione dei media, della Nord Renania Westfalia, 30 mila euro senza interesse, da restituire quando sarà possibile. In Germania hanno fondi perfino per realizzare questi progetti, ma Jan Derksen pone il problema di andare avanti. «Potremmo chiedere soldi a qualche sponsor, a industrie che tolgono dalla produzione qualche loro macchinario, ma vorremmo conservare a parte i suoni anche il museo in quanto tale, un luogo da visitare senza pagare il biglietto».