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 2013  maggio 25 Sabato calendario

LA SPAGNA VA MEGLIO DELL’ITALIA

In Spagna e in Italia il 2013 è cominciato nello stesso modo. Male.

In entrambi i paesi il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,5% nel primo trimestre, secondo i dati Eurostat pubblicati il 15 maggio. Un nuovo calo che fa seguito a una contrazione dell’economia dell’1,2 e del 2,4% rispettivamente.

Tuttavia, la Spagna, che fino a ieri faceva temere Bruxelles e gli economisti, sembra sulla buona strada per riprendersi. «Il paese globalmente prende buone misure per creare le condizioni di una ripresa durevole», ha detto Simon O’Connor, portavoce del commissario europeo agli affari economici Olli Rehn.

Le due più grandi economie del Sud Europa non cessano di precipitare: esse sono ormai al settimo trimestre consecutivo di contrazione del pil.

Ma l’Italia sembra affondare di più e più velocemente rispetto alla Spagna, che pure è affossata dall’esplosione della bolla immobiliare. Dal primo trimestre 2008 l’Italia ha visto la propria ricchezza nazionale crollare dell’8,6%, mentre quella della Spagna è diminuita del 6,9%.

Certo, la situazione spagnola è poco invidiabile, come dimostra fra l’altro la disoccupazione, che colpisce il 26,7% della popolazione attiva (e il 55,9% dei giovani di meno di 25 anni). In Italia il tasso, benché elevato, si attesta all’11,5% (38,4% tra i giovani).

Anche la situazione delle finanze pubbliche iberiche è inquietante. Il deficit pubblico dovrebbe quest’anno rappresentare il 6,5% del pil, secondo la Commissione europea.

In compenso, l’Italia dovrebbe riuscire a mantenere il deficit sotto la barra del 3%, grazie agli sforzi fatti per limitare la spesa pubblica.

Tuttavia in Spagna si cominciano a cogliere, qua e là, segnali positivi, incoraggianti per il futuro della quarta economia dell’Eurozona. A cominciare dalla ripresa delle esportazioni, che l’anno scorso sono cresciute del 2,8%. A forza di tagliare i salari, il paese è tornato a essere competitivo, e attira le industrie straniere. Mentre le imprese locali, quelle che sono state risparmiate dalla crisi, sembrano sul punto di ripartire: se il credito manca ancora in maniera eclatante, il loro tasso di profitto è passato dal 35,5% nel 1999 al 41,4% nel 2011. In Italia la tendenza è inversa, con un tasso di profitto passato dal 47% nel 1999 al 39% nel 2012.

«Abbiamo ancora un aggiustamento fiscale importante da portare a termine, un problema drammatico di disoccupazione da risolvere e una emorragia di popolazione da gestire e accettare», osserva Rafael Pampillon, docente all’Ie Business School di Madrid, «ma il paese può uscire da questa crisi più forte, con un’economia più moderna, più competitiva e più orientata all’export».

Parole che sono musica per le orecchie del premier Mariano Rajoy, in caduta di popolarità.

In Italia, se lo sforzo di rigore è stato avviato, resta ancora molto da fare. E le riforme del professor Monti, che avrebbero dovuto restituire competitività a un’economia in perdita di velocità, sono rimaste lettera morta.