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 2013  maggio 25 Sabato calendario

ITALIA, IL PARADISO DEI PARTITI ALL’ESTERO RIMBORSI MENO RICCHI

Adesso spendiamo 90 milioni l’anno circa. Ma solo tre anni fa (nel 2010) ci toccava sborsare più del triplo per mantenere i partiti italiani: 289,8 milioni. È giusto pagare le squadre della tenzone politica? Per gli italiani no, tant’è che nel 1993 - ormai venti anni fa quando furono chiamati a pronunciarsi in proposito, risposero in massa (90,3%) che non volevano sentirne parlare. Ma poi le cose si «aggiustarono». Per capire come, occorre fare un passo indietro.

La legge Piccoli che introduceva il finanziamento ai partiti da parte dello Stato risale al 1974. L’intento (almeno quello dichiarato) era nobile: per sottrarre i partiti dalla dipendenza economica di lobby e potentati, lo Stato avrebbe dovuto garantire la loro sussistenza. E così si decise di foraggiare le forze in campo in due modi: con un fondo per il funzionamento ordinario delle strutture e con un rimborso per le spese elettorali. La cosa non piaceva già allora e i liberali tentarono, senza successo, un referendum abrogativo.

Il referendum Ci vollero anni e malumori tra eletti ed elettori per far cambiare le cose: un referendum - quello già citato del ’93 - travolse e sconvolse la legge. Niente più soldi.

A quel punto però scattò l’arguzia dei politicanti: se era vero che i cittadini avevano detto no al finanziamento ordinario, non si erano pronunciati sui rimborsi elettorali, se non era zuppa era pan bagnato, ma formalmente l’inghippo si poteva fare e fu fatto. Così la legge 157 del ’99 prevede quattro forme di rimborso elettorale: per la Camera, per il Senato, per le Regionali e per il Parlamento europeo, con una clausola di quelle che hanno fatto imbufalire l’elettorato, e cioè che se la legislatura durava di meno, il finanziamento non si sarebbe accorciato per questo. Così - per esempio - tra il 2008 e il 2010 i partiti hanno preso i soldi due volte: per la legislatura interrotta e per quella vigente.

Le somme Ma quanto? Nel 2010 - lo abbiamo detto hanno messo in cassa 289,8 milioni (pari al rimborso elettorale di 4,53 euro per cittadino votante, anche se a votare non era andato), nel 2011 la somma era scesa a 189,2 milioni. Alle ultime elezioni del febbraio i partiti hanno ottenuto 159 milioni. Sempre meno, dunque, sulla spinta dell’opinione pubblica insofferente. Poi ha cominciato a produrre i suoi effetti la legge dell’estate 2012 (governo Monti) che imponeva un taglio netto del 50% rispetto al budget del 2011: oggi, quindi, i partiti possono contare su un finanziamento di circa 90 milioni l’anno. Non solo: dopo gli scandali che hanno toccato la Margherita e la Lega soprattutto, si è introdotta la norma per cui i bilanci devono essere trasparenti e certificati e vanno trasmessi - per un esame di merito - ad una commissione costituita da cinque magistrati designati dalla Corte dei Conti, dalla suprema Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato.

All’estero Tutto molto più chiaro, tutto molto più trasparente: ma la legge del governo Monti ha chiuso la porta a buoi usciti, e ormai l’insofferenza verso i partiti, le loro spese pazze, i loro nepotismi, avevano scavato un solco insanabile. Da qui l’istanza del governo di intervenire in maniera profonda su questa materia.

Nel farlo si guarda anche all’esperienza internazionale. Secondo uno studio dell’Institute for Democracy and Electoral Assistance (Idea) le modalità di sostegno dei partiti, nel mondo, ricalcano tre modelli principali: i Paesi che non danno alcun sostegno (più di un quarto del totale: 25,5%), quelli che prevedono uno stanziamento annuale e basta (44% del totale: a questo gruppo appartengono, con modalità differenti, la maggioranza dei Paesi europei) e quelli che aprono i cordoni della cassa solo per le elezioni (26,4%: tra questi gli Usa e l’Australia).

E comunque spendono quasi tutti meno di noi. La Francia 87 milioni (nel 2007, anno in cui si svolsero sia le presidenziali che le legislative), la Spagna 44,5, la Germania 130. Quanto alla patria delle democrazie europee, la Gran Bretagna, non dà soldi a nessuno, se non una piccola cifra (9 milioni) destinata per lo più alle opposizioni.