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 2013  maggio 24 Venerdì calendario

L’INSOPPORTABILE RENATO CHE FATICA CON BRUNETTA

Un numero a caso, un ex ministro: chi non sopporta Renato Brunetta nel partito? Risata non facile da frenare: “Se vuoi una lista devi prendere appunti! Sono tantissimi”. Al capogruppo Pdl non piace delegare, così ha deciso che qualsiasi proposta di legge, qualsiasi interpellanza e qualsiasi interrogazione deve passare fra le sue mani. I deputati più carini, durante l’assemblea, l’hanno definita una mossa sovietica. Ma Brunetta non si corregge, non apprezza le imperfezioni e non crede che possa capitare a lui, di essere imperfetto: “Ho nemici nel Pdl? Fisiologico. Anche lei li avrà al Fatto. Direi uno 0,5 per cento”. L’ex ministro è un po’ ottimista. Fra chi lo evita e chi lo combatte ci sono Annagrazia Calabria, Mariastella Gelmini, Stefania Prestigiacomo, Saverio Romano, Raffaele Fitto sino ad Angelino Alfano. A voce bassa, fioca, senza identità, tutti confermano. Ma se chiedi un commento, cercano di smussare: “Ha un carattere particolare...”, dice Romano. “Ci vuole chiarezza con Renato e si va d’accordo”, aggiunge Fitto. L’hanno eletto capogruppo per tiepida acclamazione: i nuovi deputati non lo conoscevano, i vecchi non avevano il coraggio per opporsi. Quando passeggia per il Transatlantico, a Montecitorio, fa l’effetto Mosè: i capannelli si scindono e lui passa senza poter sentenziare la cosa giusta e la cosa sbagliata. Nessuno smentisce che Brunetta sia esigente. Maurizio Bianconi ne fa un vanto: “Ci spedisce decine di documenti al giorno, ci tiene aggiornati!”. Non ha perso l’abitudine. Ottobre 2008, la bolla immobiliare è diventata una pioggia di meteoriti. E il fantasioso Brunetta, che ambiva a guidare l’economia italiana e invece doveva educare quelli che chiamava “fannulloni” al ministero per la Funzione pubblica, inviò a Palazzo Chigi una soluzione immediata: 4 mosse per risolvere la crisi, tanti disegnini e le faccine dei calciatori per simulare la traiettoria giusta da seguire. Il giorno in cui la Banca centrale europea, agosto 2011, mandò una lettera al governo Berlusconi per imporre la prima ondata di rigore, Brunetta – che ne corridoi di palazzo viene indicato come uno degli autori – voleva presenziare la conferenza stampa al posto di Tremonti, allora ministro del Tesoro. Per scalare il partito e il potere, Brunetta riunisce i suoi collaboratori di mattina presto, mai dopo le 7:30: ufficio da interno notte, soltanto una luce da scrivania accesa. Una volta, il capo di gabinetto Filippo Patroni Griffi fu un po’ discolo e si beccò un telefono addosso. Ma la vera antologia dei gesti d’ira la merita Giorgio Stracquadanio: “Ero un grande amico di Renato, ci volevamo davvero bene”. Un giorno Renato chiama Giorgio per un favore “personale”, pratiche di libri da scrivere e pubblicare in fretta, e Giorgio cerca di eseguire. Ma commette un errore imperdonabile: “Faccio quello che vuole, però in maniera diversa, e lui s’incazza. Si rifiuta di rispondermi al telefono, si fa scudo con la segretaria”. Stracquadanio entra d’imperio nello studio del ministro: “E comincio a buttare i libri per aria, sbatto il suo cellulare contro il muro”. Squilla il telefono: “È il caposcorta di Brunetta, avrà visto tutto, penso. Diciamo che mi consegno: mi prendo tutte le responsabilità, dico”. Ma il caposcorta quasi si complimenta: “Mi confessa che da tempo voleva essere sostituto, andare altrove perché Renato gli faceva fare qualsiasi cosa tranne il ruolo per cui era in servizio”. Appena si è insediato negli uffici che furono di Fabrizio Cicchitto, Brunetta ha letteralmente (e fisicamente) rimosso tutto e tutti. Anche Franco Pallotta, da 40 anni funzionario di Montecitorio, ex segretario generale con Cicchitto. Una mattina, Pallotta è stato fermato dai commessi perché la tessera magnetica non funzionava e le porte restavano inesorabilmente serrate, per la prima volta dal ’73. Poi gli è arrivata la solita telefonata della solita segretaria: “Il presidente Brunetta vuole che sgombri la sua stanza entro oggi”. E così a 10 suoi colleghi. L’uomo di Venezia, che ambiva al Nobel per l’economia, non aveva dimenticato che Cicchitto gli aveva negato un paio di uffici per i suoi collaboratori.