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 2013  maggio 21 Martedì calendario

Caro direttore, vorrei semplicemente ristabilire la verità dei fatti a proposito di quanto scritto ieri sul suo giornale a proposito del referendum bolognese sui finanziamenti alla scuola privata, di cui vengo additato come l’ispiratore (del che, se fosse vero, sarei assai lieto)

Caro direttore, vorrei semplicemente ristabilire la verità dei fatti a proposito di quanto scritto ieri sul suo giornale a proposito del referendum bolognese sui finanziamenti alla scuola privata, di cui vengo additato come l’ispiratore (del che, se fosse vero, sarei assai lieto). Ma il vero ispiratore è l’articolo 33 della Costituzione, dov’è scritto che i privati possono istituire scuole «senza oneri per lo Stato». E i promotori sono i cittadini bolognesi che avviarono le procedure referendarie fin dall’anno scorso, da quel 25 di luglio 2012 quando il Comitato dei garanti comunali ne approvò i quesiti. Le firme necessarie furono depositate il 5 dicembre e il referendum fu indetto dal sindaco il 9 gennaio di quest’anno. Dopo che la procedura era già ampiamente in corso, mi fu chiesto di presiedere il comitato referendario, cosa che accettai di buon grado. Questa cronologia è utile anche per mostrare quanto sia pretestuoso e fuorviante il tentativo di presentare questa iniziativa come parte di una strategia politica che si è venuta sviluppando solo nelle ultime settimane. Gli argomenti contro il referendum, peraltro, sono quelli che discendono da una triste interpretazione, giuridica e politica, che ha voluto aggirare la chiara lettera della Costituzione con una operazione opportunistica e strumentale, alla quale mi sono sempre pubblicamente opposto anche quando veniva condotta dal Pci e dai suoi successori. Distinguere «finanziamenti» da «oneri», e battezzare come «pubblico» un sistema di cui i privati sono parte integrante, sono espedienti di cui ci si dovrebbe un po’ vergognare. Si è detto, anche dal cardinale Bagnasco, che quel finanziamento permette allo Stato di risparmiare. Non si comprende che non siamo di fronte a una questione contabile. Si tratta della qualità dell’azione pubblica, del modo in cui lo Stato adempie ai suoi doveri nei confronti dei cittadini. La consapevolezza di questi doveri si è assai affievolita in questi anni, e le conseguenze di questa deriva sono davanti a noi. Forse varrebbe la pena di ricordare che Piero Calamandrei definiva la scuola pubblica «un organo costituzionale». E la Costituzione stabilisce pure che lo Stato debba istituire «scuole statali per tutti gli ordini e gradi». In tempi di crisi, questa norma dovrebbe almeno imporre che le scarse risorse disponibili siano in maniera assolutamente prioritaria destinate alla scuola pubblica in modo di garantirne la massima funzionalità possibile. Siamo ormai così disabituati alle questioni di principio che, quando ci capitano tra i piedi, cerchiamo di liberarcene tacciandole di «ideologia». I promotori del referendum, per fortuna di tutti, sono abituati a un altro realismo e chiedono che i principi siano rispettati al di là delle convenienze e che la legalità costituzionale venga onorata. Stefano Rodotà