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 2013  maggio 24 Venerdì calendario

«ANCHE SE RECITI SOFOCLE DEVI ESSERE POP»

[Daniele Pecci]

Fa teatro da 24 anni, ma è diventato famoso come protagonista di una popolarissima serie tv: Orgoglio. In questi giorni duetta sul palco di Siracusa con Ugo Pagliai nell’Edipo, ma i fan del gossip lo riconoscono soprattutto in quanto ex fidanzato di Michelle Hunziker. Daniele Pecci, classe 1970, è un attore alfaomega: galleggia da anni tra i versi più ostici della drammaturgia classica e le sceneggiature più nazionalpopolari della fiction nostrana. Gli chiedo chi sia il regista con cui vorrebbe lavorare e lui cita Robert Zemeckis. Domando: «Quello di Ritorno al futuro? È una scelta molto pop». Risponde con una sentenza: «Il mio mestiere o è pop o non è». Segue spiegazione: «Alla prima dell’Edipo c’erano settemila persone. Sotto il sole, con i panini e le bottiglie d’acqua. Se ti trovi di fronte a una platea così, interclassista e intergenerazionale, ti accorgi che la devi conquistare. Anche se reciti Sofocle, devi essere pop». Come? «Hai presente la Disney? Ogni fotogramma è studiato per conquistare le più ampie fasce di pubblico. Per essere pop bisogna arricchire il prodotto e dare qualità, non abbassarne il livello».
Incontro Pecci in un bar di Trastevere. Barba lunga con punta imbiancata e occhiali scuri. Lui non ha la fama dell’artista engagé, ma non disdegna l’invettiva politica. Quando gli sottopongo la “nota del regia” all’Edipo di cui è protagonista, un testo che paragona i cittadini tebani, meschini, opportunisti, voltagabbana, reticenti, adulatori e sottomessi, agli italiani di oggi, sorride: «Siamo anche peggio». Partiamo da qui.
Gli italiani peggio dei tebani di Sofocle.
«C’è una crisi devastante, ma sembriamo indifferenti. Tutto crolla, nel disinteresse generale».
Se avessi davanti a te Enrico Letta, che è un tuo coetaneo, che cosa gli chiederesti?
«Proverei a capire se ha un’idea di politica globale. E lo inviterei a invertire la rotta: consumiamo troppo. Ho letto che il pianeta regge due miliardi e mezzo di abitanti, invece siamo sette miliardi, tutti smaniosi di consumare sempre di più».
Sei un seguace della decrescita? Dormi col decalogo ambientalista di Al Gore sotto al cuscino?
«Faccio quel che posso: raccolta differenziata, riduzione degli sprechi… Sarebbe bello che anche la politica si adeguasse. Qualche mese fa ho scritto un post su Facebook per la riduzione drastica del finanziamento dei partiti».
Un politico di centrodestra ti risponderebbe citandoti i milioni “buttati via” dallo Stato coi finanziamenti alla cultura.
«Cascherebbe male. So bene che i nostri attori e registi hanno grandi responsabilità. E che sono stati distribuiti male molti soldi. Lo Stato deve finanziare l’arte, ma l’arte deve sforzarsi di andare verso il pubblico. Diciamo che non mi vedrai tra gli occupanti del Teatro Valle».
Il Teatro Valle è okkupato da mesi. Lì vengono realizzati molti spettacoli e performances.
«Ho frequentato le prime riunioni. Poi mi sono innervosito. In questo momento, per colpa dell’occupazione, Roma non ha più un teatro di quel livello. Dicono: “Al Valle vengono centinaia di persone ogni sera”. Rispondo: “Grazie, è gratis”. Il teatro non si fa così».
Come si fa?
«Il teatro è un’azienda. Non possiamo andare avanti con i circoletti autoreferenziali, con le platee riempite con biglietti regalati agli amici degli amici. Ci sono teatri stabili affidati alle persone sbagliate che mettono in scena spettacoli che costano settecentomila euro e poi fanno solo venti repliche».
Fuori i nomi.
«Preferisco ribadire un principio: il teatro italiano non può permettersi di snobbare gli incassi. Io sono nato artisticamente bastardo, senza padrini, parenti, scuole alle mie spalle. E sono consapevole che molti mi prendono e mi pagano bene solo perché “stacco” biglietti. Ricordo esattamente il momento in cui ho deciso di cominciare a fare tv per raggiungere questo obiettivo».
Quando è stato?
«La sera del mio ventinovesimo compleanno. Ero in tournée e stavo festeggiando con la compagnia. A un certo punto mi si avvicinò il regista Giuseppe Patroni Griffi. Mi fece gli auguri e mi disse: “Tu sei bravo. Ma chi ti conosce? Non ti potrò mai far recitare da protagonista. Vattene un po’ in tv”. A me la televisione non piaceva. Però mi misi subito al lavoro. Dopo una piccola parte in Il bello delle donne, vinsi il terno al Lotto».
Parli del ruolo da protagonista in Orgoglio? Quella serie ha raggiunto milioni e milioni di telespettatori.
«Da quel momento il mio nome ha cominciato a circolare».
Il tuo esordio in teatro a quando risale?
«Al 1990. Edipo».
È una mania.
«Allora non ero protagonista. Portavo un vassoio in una scena e in un’altra trascinavo fuori un cadavere».
Come sei diventato attore?
«Grazie alla mia professoressa di Latino, alle magistrali. Un giorno mi disse di seguire un corso di recitazione, a scuola. Mi innamorai di Shakespeare».
Chi è il regista italiano con cui vorresti lavorare?
«Paolo Sorrentino. O Moretti. Dai Nanni, fammi un provino!».
È un appello a mezzo stampa?
«Sì. Ancora oggi tutto quello che ottengo me lo devo sudare. Sono passato dallo snobismo della tv per la mia dizione teatrale a quello del cinema per le mie apparizioni nelle fiction».
La fiction italiana non ha sempre una qualità eccelsa.
«Diciamo pure che raramente si può parlare di prodotto artistico».
Ti sei chiesto come mai?
«Credo che sia un problema di politica industriale. Da noi si cerca di allargare la platea riducendo la complessità e puntando sulla generalizzazione».
Altrove non è così?
«Hai mai visto Downton Abbey? O Boardwalk Empire? Quello è vero cinema in tv».
Inglesi e americani se lo possono permettere perché poi esportano le fiction su un mercato mondiale molto redditizio.
«Anche Orgoglio ha girato il mondo. Purtroppo spesso è sbagliata la mentalità con cui si realizzano le fiction».
Qual è la fiction in cui ti è piaciuto di più lavorare?
«Forse Crimini bianchi».
La serie venne sospesa per gli ascolti poco esaltanti.
«Già, si parlava di malasanità e crimini negli ospedali. Non poteva durare più di tanto».
A cena col nemico?
«Con Francesco Totti. È un personaggio positivo. E ti assicuro che non è facile dirlo per un tifoso della Lazio».
Hai un clan di amici?
«Certo. Uno su tutti: Bizio, ha un chiosco di bibite».
L’errore più grande della tua vita?
«Mi succede di dire cattiverie e poi pentirmene».
Recitando ti è mai capitato qualche inciampo?
«Certo. Una volta sono caduto nella buca dell’orchestra. Da ragazzo, durante uno spettacolo tratto da Cervantes, infilai quattro papere di fila. Ora succede meno e faccio in modo che il pubblico non se ne accorga».
La scelta che ti ha cambiato la vita?
«Una inversione a U in via Cavour, a Roma. Stavo tornando a casa in macchina e mentre guidavo decisi di tornare indietro per partecipare a un provino di cui avevo sentito parlare per puro caso. Il regista era Patroni Griffi. Mi presero. E poi con lui feci altri cinque spettacoli».
Che cosa guardi in tv?
«Tutto. A notte fonda pure Uomini e donne di Maria De Filippi: aiuta a capire la società italiana».
Il film preferito?
«Barry Lyndon di Stanley Kubrick».
La canzone?
«Wuthering Heights di Kate Bush. Il testo riprende brani interi del romanzo omonimo Cime tempestose di Emily Brontë».
Il libro?
«Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij».
Sai quanto costa un pacco di pasta?
«In realtà lo butto nel carrello senza guardare. Sessanta centesimi?».
Un po’ di più. Cinguetti su Twitter?
«Pochissimo. Ma sto molto su Facebook».
Conosci i confini della Libia?
«Egitto, Tunisia, Algeria…».
L’articolo 3 della Costituzione?
«È quello sulla libertà di stampa e di espressione?».
No, quello è il 21. Il 3 dice che siamo uguali di fronte alla legge.
«Fosse vero!».