Maurizio Molinari, La Stampa 24/5/2013, 24 maggio 2013
USA, ANCHE GLI INDIANI AVEVANO GLI SCHIAVI
In Oklahoma i «Freedmen» fanno causa alla nazione indiana Cherokee riaprendo una ferita dello schiavismo in Nordamerica che non riguarda i bianchi. I «Freedmen» sono i discendenti degli schiavi neri che i Cherokee ebbero in grande quantità sin dalla fine del Settecento. Per quella che era all’epoca la più grande e potente nazione indiana avere gli schiavi neri significava poter rivaleggiare con i colonizzatori bianchi. I Cherokee usavano gli schiavi nei campi agricoli, negli accampamenti e, dopo il trasferimento forzato in Oklahoma, nel tentativo spesso vano di trovare oro. La tribù divenne a tal punto dipendente dagli schiavi che durante la Guerra di Secessione si schierò con la Confederazione e dopo la sconfitta del 1865 esitò a mettere in libertà i neri. Servì un apposito trattato fra Washington e i Cherokee, nel 1866, per obbligarli a liberare gli schiavi che divennero così «Freedmen» uomini liberati - vedendosi riconosciuti anche il diritto di essere membri della tribù. Ed ora, proprio richiamandosi al testo di tale trattato, un gruppo di combattivi discendenti dei «Freedmen» vuole ottenere la formale appartenenza alla tribù.
I protagonisti di questa battaglia sono una pattuglia di attivisti guidati da David Cornsilk e Roger Nero, divenuti i volti più popolari dei «Black Indians» - gli indiani neri - dell’Oklahoma perché se riusciranno a vincere le ripercussioni potrebbero essere numerose per migliaia di discendenti dei «Freedmen». Quelle più significative sono di carattere economico perché i Cherokee ricevono dal governo federale aiuti economici, borse di studio, finanziamenti agevolati e mutui a tassi ridotti a cui anche i discendenti dei «Freedmen» sentono di avere diritto. Ma i Cherokee non sono intenzionati a cedere ed hanno arruolato a Tulsa un combattivo team di legali che punta a smontare le rivendicazioni dei «Freedmen» anzitutto da un punto di vista storico. La tesi dei Cherokee infatti è che il trattato del 1866 fu imposto dai colonizzatori bianchi con l’ennesimo atto di imperio, ispirato dall’unica intenzione di indebolire e impoverire la nazione pellerossa. Insomma, se per i «Freedmen» quell’accordo è il simbolo della libertà riconquistata, per i Cherokee rappresenta l’oppressione subita. La disputa legale si sovrappone così a rivendicazioni incrociate fra due diversi popoli che si sentono ugualmente oppressi ma restano rivali. La tesi di Cornsilk è che i Cherokee «non vogliono ammettere ciò che fecero agli schiavi» e la contrarietà a condividere con i «Freedmen» i benefici economici federali è la continuazione di «un approccio razzista maturato nei secoli». Lo scontro è solo all’inizio e, per una volta, i bianchi sono alla finestra.