Pietro Citati, Corriere della Sera 24/05/2013, 24 maggio 2013
LA PSICOLOGIA DEGLI IPPOPOTAMI
Qualche giorno fa, con un gentile sorriso, il presidente del Consiglio fece comprendere che il governo non avrebbe più tagliato le spese per quanto riguarda i Beni culturali, la Ricerca scientifica e l’Università. Nei primi due casi, non posso che essere d’accordo.
Quanto all’Università, credo invece che il presidente del Consiglio abbia torto. Le spese sopportate dall’amministrazione statale sono dissennate. Le università sono troppe: basta scorrere cogli occhi la carta geografica del nostro Paese per accorgersi che sorgono università a poche decine di chilometri l’una dall’altra; nugoli di facoltà e di sottofacoltà, gremitissime di professori, e purtroppo prive delle grandi biblioteche necessarie. Non è possibile insegnare letteratura greca o letteratura italiana o storia moderna se non esistono biblioteche con milioni di libri, con tutti i testi, amplissima bibliografia e abbonamenti (costosissimi) alle riviste scientifiche. Lo stesso vale per tutte le discipline. Si aggiunga che le piccole università cercano di attrarre gli studenti abbassando la qualità degli studi: voti alti agli esami, tesi sopravvalutate.
Come le università sono troppe, sono troppi gli insegnamenti. Accadono fatti grotteschi: in alcune grandi università mancano o non sono sufficienti le cattedre di letteratura italiana o inglese, che hanno un numero altissimo di studenti, mentre pullulano cattedre di «la lirica italiana nel XXI secolo», «antropologia caraibica», «scrittrici femministe nella letteratura olandese del XX secolo», «psicologia degli ippopotami e dei rinoceronti». Il principio è sempre lo stesso: se una certa cattedra esiste negli Stati Uniti, dobbiamo averla anche noi; senza tener conto che il sistema universitario americano è ricco di meraviglie e di sciocchezze. Così decine di professori completamente inutili occupano il posto di professori necessari, mentre le spese dell’insegnamento salgono in modo intollerabile. Credo che oggi, in Italia, dovremo abolire almeno un terzo delle università esistenti, e migliaia di cattedre assurde, con inestimabile vantaggio per la cultura italiana.
Gli ultimi anni hanno lasciato intravedere qualche miglioramento nella didattica universitaria, diminuendo gli effetti disastrosi della riforma Berlinguer. Faccio due esempi. I penosi corsi di tre o quattro settimane sono stati, in diversi casi, sostituiti da corsi che durano, come nella vecchia università, un intero anno accademico; corsi nei quali un professore può approfondire lo studio di un’epoca, di uno scrittore o di un grande libro. La riforma Berlinguer aveva, di fatto, abolito, l’adozione di testi e bibliografie: si prescriveva la lettura di non più di 200 pagine per ogni corso. Oggi, si torna a chiedere la lettura di molte opere per ogni letteratura, raccomandando l’uso di vasti commenti. Inoltre, si prescrive l’adozione di libri fondamentali nella storia degli studi. Così Letteratura europea e Medioevo latino di E. R. Curtius, Storia della tradizione e critica del testo di Giorgio Pasquali e Il pensiero storico classico di Santo Mazzarino riprendono ad arricchire gli orizzonti mentali degli studenti.
Pietro Citati