Paolo Cagnan, L’Espresso 24/5/2013, 24 maggio 2013
EURO VEGAS
Sex and drugs and rock’n’roll, cantava Ian Dury nel 1977. Trentasei anni dopo, il punk inglese è morto e anche il rock’n’roll non si sente tanto bene, ma per il resto non è cambiato granché: basterebbe aggiungere un po’ di slot machine et voilà, ecco la nuova Europa del vizio.
Lussuriosa, sfrenata, pronta ad attrarre frotte di turisti non con i suoi tesori artistici ma con la promessa di emozioni forti tra gangbang, spinelli e poker. Così, se la Spagna sarà presto colonizzata da una serie di megacasinò, l’Austria progetta il più grande bordello del vecchio continente, mentre l’Olanda fa marcia indietro sull’annunciato stop alle "canne libere".
Il vero colpaccio, a quanto pare, sta per farlo uno che non avrebbe certo bisogno di altri soldi. Sheldon Adelson, 79 anni, americano di Boston tra i boss mondiali del gioco d’azzardo, ha già fatto firmare al governo di Madrid una cambiale in bianco riassumibile in questi termini: io vi consegno chiavi in mano la Las Vegas d’Europa e voi mi fate guadagnare milioni a palate, con una serie di "aiuti ".
Si va dall’esenzione dell’Iva alla possibilità di non versare, per due anni, alcun contributo previdenziale per i lavoratori, sino alla garanzia di un credito di 25 milioni di euro dalla Bei, la Banca europea degli investimenti. E inoltre: abolizione del divieto di fumo e ingresso nei casinò consentito anche a minorenni e ludopatici. Una follia, hanno detto in molti. Ma la Spagna di Rajoy ha fame di soldi e di posti di lavoro. Adelson, a parole, garantisce entrambi: un indotto tale da far salire il Pil della regione madrilena del 4,5 per cento e consentire la creazione di 260 mila posti di lavoro. Come? Trasformando un’area semidesertica, ora coltivata a cocomeri e cereali, in "Eurovegas": ovvero, il più ingente investimento straniero di sempre in Europa, 26 miliardi di euro.
Tredici chilometri a sud-ovest di Madrid, nel comune di Alcorcón, sorgeranno sei megacasinò con 1.065 tavoli da gioco e 18 mila slot, un enorme centro congressi, 12 alberghi con 36 mila stanze, nove teatri, un’arena da 15 mila posti a sedere e tre campi da golf. Il tutto, su una superficie di 750 ettari: metà della Strip di Las Vegas, per capirsi. Il tycoon americano ha scelto la Spagna per tre motivi: nell’ordine, un governo pronto a scendere a patti, la sua fame di denaro fresco e un meteo ottimale. Anche se l’ordine, qui, si legge al contrario.
Per quasi un anno e mezzo, Madrid e Barcellona se le sono date di santa ragione per accaparrarsi l’affarone. La "sorellastra" della capitale aveva proposto la zona di El Prat, vicina all’aeroporto. Talmente vicina che le limitazioni alle altezze degli edifici situati nel cono di decollo e atterraggio avrebbero costituito un deterrente insuperabile, vista la grandeur architettonica del progetto.
Nell’ottobre dell’anno scorso, Boston Consulting Group aveva elaborato - come advisor privato di Adelson - uno studio sull’impatto economico del progetto, vaticinando 4,7 milioni di nuovi turisti l’anno. Il magnate non è uno che si perde in chiacchiere. Proprietario del Las Vegas Sands, 19° nel ranking mondiale della ricchezza stilato dal Bloomberg Billionaires Index, accusato di aver pagato tangenti ai cinesi per fare affari a Macao e grande finanziatore dei Tea Party americani, si è presentato al governatore della provincia di Madrid Ignacio González e ha messo sul tavolo il suo faraonico progetto. Impossibile dire di no, per i popolari del premier Mariano Rajoy: il suo governo è alle prese con una crisi senza eguali, un tasso di disoccupazione del 27,1 per cento e un Pil destinato quest’anno a diminuire dell’1,5 per cento. Il Boss è pronto a iniziare i lavori già quest’anno e conta di inaugurare i primi quattro resort e due casinò nel 2017; poi sorgeranno via via tutte le altre strutture, seguendo un masterplan che arriva sino al 2022. In verità, alberghi e casinò dovrebbero occupare "solo" 300 dei 750 ettari previsti; il resto è indicato genericamente come "servizi complementari". L’emissario di Adelson in terra iberica, Michael Leven, sa bene che il tasto da battere è quello dell’occupazione: «La sola costruzione dei primi quattro resort», ha dichiarato a "El País", «impiegherà da 40 a 50 mila lavoratori edili».
Con il declino di Las Vegas, il business del gioco si sta rapidamente spostando in Asia: Macao ne è ormai da anni la nuova capitale mondiale. Non lo ha capito solo Las Vegas Sands, la corporation di Adelson (che sulla Penisola ha già costruito il Venetian, replica kitsch dell’albergone del Nevada), ma anche molti suoi competitor, da Mgm a Melco Crown. Prima di sbarcare sull’ex colonia portoghese ora in mano ai cinesi, Adelson aveva sfornato nel 2010 il fantasmagorico Marina Bay Sands a Singapore (terzo al mondo per estensione), che ora Michael Leven usa come pietra di paragone per Eurovegas: «L’abbiamo creato in tre anni e mezzo con tre turni da 12 mila operai al giorno, ed era un unico complesso. E, a un anno dalla sua apertura, i turisti a Singapore sono aumentati del 46 per cento, gli introiti addirittura dell’80 per cento».
Al robusto e agguerrito partito degli scettici, Adelson manda a dire che il gioco rappresenterà non più del 15 per cento del business complessivo, visto che si punterà molto sul turismo congressuale. Non solo: con la logistica di Eurovegas, Madrid potrebbe anche conquistare le Olimpiadi del 2020. Ma lo scontro è totale, a partire dalle cifre sbandierate sull’occupazione. Dice ad esempio Tomás Gómez, segretario regionale del Psoe, il partito socialista ora all’opposizione: «Se l’insieme di tutte le maestranze dei settori turismo e ristorazione della capitale raggiunge a malapena le 200 mila unità, qualcuno mi può spiegare come 10 alberghi potranno dare più lavoro di tutta Madrid?». Il magnate americano non solo non si scompone, ma si vanta anche di sostenere programmi contro il gioco d’azzardo patologico. Non risulta però che abbia mai smentito la richiesta di accogliere all’interno dei suoi casinò anche i ludopatici "schedati". E così è facile che prenda il sopravvento l’immagine di una Sin City fuori controllo, una sorta di terra franca fatta di gioco, prostituzione, droga e "lavatrici" per denaro sporco.
«Se approvano Eurovegas, si rischia di trasformare quei luoghi nel centro di riciclaggio mafioso dell’Occidente», aveva messo in guardia Roberto Saviano ancora nel febbraio dello scorso anno, quando sembrava che Barcellona potesse avere la meglio su Madrid. Leven, manco a dirlo, non si scompone: «Dove siamo arrivati noi, prostituzione e traffico di droga sono diminuiti, non aumentati». Il governo regionale di Madrid dovrebbe coprire il 35 per cento dell’investimento, ma le alchimie finanziarie nei rapporti pubblico-privato sono tutt’altro che chiare e definite, così come resta irrisolto il nodo delle tasse: un mare di tasse che Adelson vorrebbe pagare altrove, in paesi dalla fiscalità agevolata. Se da un lato uno studio pronostica che Eurovegas genererà a pieno regime il 17 per cento dell’economia nazionale, dall’altro c’è chi mette in guardia da un autentico bluff, che potrebbe mascherare una nuova speculazione immobiliare dopo la gigantesca bolla edilizia (quasi 700 mila case invendute) sotto la quale era rimasto politicamente sepolto Zapatero. In tutto questo, non c’è dubbio che l’indotto di Eurovegas prometta mirabilie: un robusto report di PricewaterhouseCoopers sull’industria mondiale del gioco dice che l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) è stata la più penalizzata dalla crisi finanziaria, e malgrado questo è previsto un aumento del volume complessivo di questo genere di affari del 5,7 per cento da qui al 2015. Il "giocattolo" di Adelson potrebbe stracciare tutte le previsioni, riducendo il gap tra Vecchio Continente e tigri asiatiche, Paesi arabi, la stessa America.
Se Madrid chiama, Vienna risponde. Basta togliere un accento e svariati milioni di euro, per passare dal casinò al casino. Il più grande d’Europa però, secondo le bellicose intenzioni di Herr Werner Schmuck, re delle luci rosse all’ombra dell’austerità un po’ bolsa della capitale austriaca. Il suo FunMotel sorgerà a un tiro di schioppo dalla città; anzi, a una ventina di minuti d’autostrada in shuttle bus. Già, perché ci sarà anche quel servizio, nel faraonico progetto; anche se non è facile immaginarsi la gita di piacere con altri 10-12 clienti alla volta.
«Lasciamo perdere i dettagli, è ancora presto. Tutto a tempo debito», taglia corto Schmuck, che a Vienna gestisce il famoso e imitatissimo Goldentime Saunaclub, una sorta di pornowellness chic con 50 ragazze e un sito che le presenta in ogni dettaglio, cosicché il cliente può già fare la sua scelta dal pc di casa. In ogni caso, i particolari non mancano. Il FunMotel sarà un complesso molto vasto: 11 mila metri quadrati. Circondato da un muro alto tre metri per garantire la privacy e (forse) per impedire ai furbetti di fuggire senza pagare, avrà 140 stanze, pensate non tanto per i clienti quanto per le "signorine" che li ospiteranno. Le quali, in qualità di lavoratrici autonome non contrattualizzate, pagheranno a Schmuck un affitto giornaliero attorno ai 100 euro. Perché è così che funzionerà: l’ospite arriva, sceglie l’entraîneuse, sale con lei (o con un lui trans, oppure con più persone) in stanza, concorda tariffa e prestazioni, consuma, se ne va. Nessun protettore, le ragazze dovranno semplicemente pagare la diaria. Potranno prendersi qualche ora libera e persino il giorno di riposo, tanto la scelta non mancherà: è garantita la presenza contemporanea di un numero tra le 80 e le 120 prostitute.
Oltre alle ragazze, che evidentemente costituiscono il "core business" della faccenda, ci saranno svariate altre "attrazioni". Su oltre mille metri quadrati si estenderanno una discoteca, diversi negozi "a tema" con oggettistica e attrezzistica d’ogni genere, tavoli da biliardo e da ping-pong e una vasta terrazza all’aperto. In più, servizi a disposizione di prostitute e transessuali, dalla mensa al solarium, dalla sala massaggi al salone di bellezza, dalla palestra a un servizio medico, per eventuali e non improbabili incidenti sul lavoro. Le stanze non saranno tutte uguali: si va dalla classica doppia alla suite con idromassaggio, sino alle "camerate" per party di gruppo, dalle feste di compleanno agli addii al celibato.
«Offriremo standard di igiene sinora mai visti», promette Schmuck sul sito del FunMotel. Che arriva a precisare, cinicamente: «Potremmo tutto sommato paragonarci a un supermercato: ottima qualità, ampia scelta e prezzi alla portata di tutti». La discoteca sarà il regno incontrastato della lussuria di gruppo: dimenticatevi la "castissima" lapdance, qui si parla di scambio di coppie multiplo, orge e spettacoli no limits con acclamate pornostar. Schmuck prevede mille clienti al
giorno, che avranno a disposizione un parcheggio con 350 posti macchina e i già menzionati servizi navetta dalla capitale.
Investimento da 15 milioni di euro su cui pesa l’unica, grande incognita dei permessi. In Austria, stato federale, la prostituzione è legale e regolamentata, ma con differenze tra regione e regione. Una legge varata nel novembre del 2011 ha vietato i bordelli - in tedesco si chiamano "laufhaus" - nei quartieri residenziali viennesi (dove prosperavano una miriade di alberghetti a ore), consentendo la prostituzione di strada solo alla periferia ovest e alle spalle della grande ruota panoramica del Prater. L’outlet del sesso sorgerà probabilmente a sud della capitale, 15 chilometri o giù di lì nel Land della Bassa Austria, dove le leggi sono più favorevoli.
Mentre la politica si divide (per i Verdi il FunMotel sarà una specie di riserva indiana, per i socialdemocratici renderà le strade più sicure), gli agguerriti concorrenti di Schmuck temono di restare in braghe di tela. E giocano sporco. Peter Laskaris, titolare del postribolo Red Room, avrebbe messo in giro voci su alcune possibili location per testare le reazioni della popolazione locale, ma per Schmuck è soltanto un impostore che depista e mesta nel torbido, ovviamente per boicottarlo.
Non si conoscono ancora alcuni dettagli, solo apparentemente trascurabili. Qualcuno infatti sostiene che l’accesso al FunMotel potrebbe essere consentito ai soli cittadini austriaci, il che stroncherebbe sul nascere i viaggi della speranza (sessuale) dall’estero, Nord-Est italiano in primis. Così come pare abbia spaventato molti potenziali clienti (sarà anche questa una sadica mossa dei competitor?) la voce secondo cui all’ingresso verrà richiesto un - non meglio specificato - "certificato di buona salute": il che farebbe pensare che l’uso del preservativo, una volta entrati nel "compound" del piacere, non sia considerato un obbligo, quanto un orpello démodé.