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 2013  maggio 24 Venerdì calendario

COM’È BUONO IL DRONE

Più leggeri, più veloci, più economici di un aereo normale. Ma con una gran brutta fama. Il termine “droni” oggi evoca per lo più scene di assassini a distanza in Pakistan e Afghanistan, eseguiti da aerei americani senza pilota nell’ambito della così chiamata Guerra al Terrore; dove a rimetterci la pelle, accanto ai terroristi, sono spesso persone innocenti. Forse per questo gli addetti ai lavori preferiscono chiamarli in altro modo: Uav, per esempio, acronimo di Unmanned Aerial Vehicle; oppure Rpas, ovvero Remotely Piloted Aircrafts Systems. Un’operazione di cosmesi terminologica tanto più necessaria, quanto più si avvicina il momento in cui questi apparecchi entreranno a far parte della vita quotidiana. Sganciati dal ruolo militare, i droni si candidano a giocare un ruolo importante in moltissime applicazioni civili. In primis quelle legate al controllo del territorio: questi insetti d’acciaio, che al posto degli occhi hanno delle videocamere e al posto delle ali dei rotori, si stanno già rivelando preziosi nella lotta agli incendi e alla criminalità, per il monitoraggio ambientale e delle colture agricole, nella gestione di operazioni di ricerca e soccorso, e del traffico automobilistico. Gli esperimenti in corso sono molteplici.
La Dea, l’agenzia federale antidroga americana, a seguito di un accordo con il Messico, si serve ad esempio di droni per sorvolare i cieli di là del confine spiando i movimenti dei narcos. In Australia vengono usati da diversi anni in ambito minerario, per consegnare parti di ricambio, mappare la conformazione del suolo, sorvegliare a distanza il movimento dei camion. Il Fox-Copter, esacottero (chiamato così perché dotato di sei rotori) dell’emittente viene adoperato per riprendere dall’alto eventi sportivi di vario tipo, dal calcio al cricket, dalla Nuova Zelanda al Brasile. Più vicino a noi, a Torino, la polizia se ne è servita per contrastare lo spaccio di droga nel quartiere di San Salvario, e la troupe di Rai Sport per riprendere la maratona cittadina del 2012. Nello stesso periodo, in Emilia, gli apparecchi Sixton-A dell’azienda Alpi Aviation sono stati usati per perlustrare le zone colpite dal terremoto.
Ma li usano anche videomaker professionisti e dilettanti, paparazzi alla ricerca di scoop, aziende interessate alla manutenzione di grandi impianti industriali che preferirebbero poter individuare eventuali guasti da remoto, invece di dover inviare sul posto operai costretti a lavorare su gigantesche impalcature, in condizioni spesso difficili e pericolose. Un esempio limite di questo tipo di intervento, si è avuto nel caso dell’incidente alla centrale giapponese di Fukushima, quando dei droni Global Hawk americani furono inviati per verificare le condizioni dei reattori nucleari, là dove nessun umano avrebbe potuto spingersi per via delle radiazioni.
L’invasione dei droni è solo agli inizi, e il possibile impatto economico di questo tipo di industria fa gola a molti, dai grandi gruppi industriali, come l’italiana Finmeccanica, alle piccole startup.
Il Gruppo Teal stima che nel 2011, il giro di affari collegato, a livello globale, sia stato di 6 miliardi di dollari, di cui il 40 per cento speso in ricerca e sviluppo. La stessa società di analisi prevede per il 2020, un volume di transazioni quasi raddoppiato, valutato attorno agli 11,3 miliardi di dollari annui, con 35 mila velivoli a pilotaggio remoto prodotti globalmente. A dominare il settore sono gli Stati Uniti, dove la Federal Aviation Administration ha fissato il 30 settembre 2015 come data ultima per l’integrazione dei droni nello spazio aereo civile, e Israele. Assieme, le due nazioni si accaparrano il 76 per cento delle vendite.
L’Europa arranca, anche se il recente rapporto “Towards a European strategy for the development of civil applications of Rpas” ha identificato ben 400 produttori di droni in 20 diverse nazioni europee, un numero che però comprende i soggetti operanti in ambito sia militare sia civile. Per favorire lo sviluppo del settore nel Vecchio Continente è allo studio un quadro normativo comune che dovrebbe entrare in vigore entro il 2016. Nel frattempo, i vari Paesi procedono un po’ in ordine sparso, seguendo le direttive emanate dalle autorità che regolano il traffico aereo nazionale. In Italia in sostanza, questo ha prodotto una sorta di Far West del volo libero. «Da noi», spiega Alfonso Sidro, ad di Flight Tech, azienda di Ponte delle Alpi (Belluno) specializzata nella fornitura di droni per riprese aeree, «manca una regolamentazione vera e propria: finora c’era soltanto una direttiva che in sostanza diceva che si può volare soltanto per hobby, non per scopi commerciali».
Una legge pensata per gli appassionati di aeromodellismo e che però risulta ormai inadeguata ai tempi. Nell’agosto 2012 l’Enac ha emesso una nota informativa dettagliando le procedure per la concessione di permessi di volo per “attività sperimentali” con gli Uav. Si tratta comunque di normative difficilissime da far rispettare. Vuoi perché i droni, specie quelli più piccoli, volano anche a quote bassissime, ben al di sotto dei radar, vuoi perché manca un censimento attendibile dei velivoli in circolazione. «Ufficialmente », prosegue Sidro, «in Italia saremo meno di 20 produttori. In pratica però chiunque oggi può acquistare in Rete un drone, oppure può farselo in casa con poche centinaia di euro».
La drastica caduta dei prezzi, anche soltanto rispetto a pochi anni fa, è strettamente collegata alla diffusione dei cellulari intelligenti. Accelerometri, giroscopi e apparati Gps dei moderni smartphone hanno infatti molto in comune con quelli adoperati nei droni e i miglioramenti realizzati nel primo campo sono stati poi trasferiti nel secondo. La diffusione capillare dei velivoli senza pilota, già in atto e destinata a moltiplicarsi in futuro, ha però anche un lato inquietante. «Viviamo già in un contesto nel quale l’incrocio tra la videosorveglianza e le nostre tracce digitali, permette un livello di tecnocontrollo assai pervasivo », spiega l’avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie Giovanni B. Gallus: «L’uso dei droni, magari abbinati a un sistema di ricognizione facciale, registrazione vocale e tracciamento GPS, consentirebbe un livello di invasività ancora maggiore, con un investimento economico minimo».
Il comune cittadino, in assenza di normative e sanzioni adeguate, rischia quindi di essere spiato su due fronti: da un lato dalle autorità di pubblica sicurezza - oltreoceano, associazioni come l’American Civil Liberties Union stanno facendo pressione affinché la Federal Aviation Administration preveda requisiti più stringenti in materia di privacy, per prevenire abusi - dall’altro dal vicino di casa, o da chiunque, si tratti di una società o di un privato, sia interessato a raccogliere informazioni sul suo conto. Tanto che Eric Schmidt, il numero uno di Google, ha di recente proposto di «bandirne la commercializzazione per uso privato».
A differenza di un elicottero, i droni di piccolo taglio sono poco visibili, relativamente silenziosi e capaci di restare di fronte a una finestra per qualche ora, raccogliendo informazioni su quanto avviene all’interno di un’abitazione. Quelli più grandi sono invece in grado di volare a migliaia di metri di altitudine, osservando senza essere visti. Non è solo la privacy a preoccupare i nemici dei tecno-insetti: una proliferazione incontrollata aumenterebbe il rischio di incidenti, specie in zone affollate. Lo scorso gennaio, un Fox-Copter si è schiantato sul pubblico dello stadio Castelao di Fortaleza, in Brasile, nel corso di un match calcistico: pochi danni, ma molto panico. E se i comandi inviati ai droni militari viaggiano su frequenze criptate e ultrasicure, lo stesso non si può dire di molti apparecchi civili tanto che potrebbero essere dirottati con facilità da un bravo hacker: con conseguenze immaginabili, se il pirata informatico fosse anche un criminale, o un terrorista. Che gli aerei senza pilota possano rivelarsi di grande utilità in molteplici ambiti, insomma, pare ormai assodato; e col tempo riusciranno forse anche a liberarsi dello stigma guerresco, come è accaduto del resto per molte altre innovazioni tecnologiche nate per scopi bellici. Per il momento, tuttavia, continuano a fare un po’ di paura.