Roberto Di Caro, L’Espresso 24/5/2013, 24 maggio 2013
IL ROSARIO DI CROCETTA
Una calca che neanche Berlusconi o Grillo, quando finalmente Rosario Crocetta arriva a Casa Catania per la presentazione della candidatura di Enzo Bianco a sindaco della città etnea. «Presidente, una foto senza sigaretta!», gli strilla invano una reporter, per il fumo lui è peggio di Pannella. Gli amici lo abbracciano, le tv lo assediano: «Presidente, il ministero i fondi li ha sbloccati, perché non c’è ancora il bando per l’emittenza televisiva locale che lei aveva promesso di fare subito?». Completo nero e cravatta lui ci prova, regola McNamara di rispondere alle domande che vorresti ti facessero non a quelle che ti fanno, a elencare che in sei mesi ha evitato il fallimento della Regione siciliana, coperto un buco nascosto di 1,2 miliardi della precedente gestione Lombardo, sbloccato sei miliardi di fondi europei, salvato lo stipendio a tutti i 20 mila precari a rischio, ma non c’è verso: «Presidente, noi fra due mesi saremo a spasso!», lo stiletta la cronista. Per un battibecco come si deve non c’è tempo: «Presidente accomodiamoci, Bianco già è mezz’ora che parla!», lo tira per la giacca una signora dell’organizzazione, spintonando i sei agenti che Crocetta ha di scorta dalla scoperta di un piano mafioso per liquidarlo, il terzo da quando nel 2003 assoldarono un killer lituano.
In sala, dal palco accanto a uno striscione del Coordinamento discontinui, doserà poi enfasi e ironia e affondi contro chi gli mette i bastoni fra le ruote: burocrazia, parte della pubblica amministrazione «che nell’isola è organica alla corruzione e a un sistema mafioso», assemblea regionale, partiti, imprenditori sedicenti tali, politici di quelle Province che ha appena abolito e quant’altro. Riuscirà persino a dire che vuole una Regione «snella e decentralizzata», che in Sicilia è come promettere il Sahara senza sabbia. Ma sparare alto è il suo stile, la cifra dell’uomo, uno dei fattori per cui ha vinto. Carica i suoi, li trascina in una concitazione che dichiarano esaltante: «Rosario è un uomo donato al mondo, ne siamo tutti affascinati, appena dai una cosa per scontata, lui la stravolge, è fantastico!», inneggia Michela Stancheris, bergamasca, sua assistente parlamentare a Strasburgo, poi sua segretaria a Palazzo d’Orleans sede del governo regionale, d’improvviso promossa assessora al Turismo per un subitaneo giro di poltrone e rinunce incrociate dopo la revoca delle nomine di Franco Battiato al Turismo e Antonino Zichichi ai Beni culturali. Non tutti sono però così affascinati da questi continui stravolgimenti, a cominciare da impegni e orari. Il sindaco di Favignana nelle Egadi rimase ore con banda, buffet e fascia tricolore ad attendere Crocetta, ma lui era a Catania alla processione di Sant’Agata. Elsa Fornero ministra venne a febbraio a discutere di Cassa integrazione in deroga, in Sicilia trenta milioni disponibili per un fabbisogno di ottanta, alle 10 di mattina trovò il deserto, le spedirono come tappabuchi una trafelata dirigente dell’assessorato, lei se ne andò via irritata. Replay 15 giorni dopo a Roma, stesso tema, c’è il sindaco Orlando, Crocetta no; Fornero stila un feroce comunicato stampa.
Che il presidente dia buca spesso e volentieri è un fatto acclarato, qui ormai lo sanno, qualcuno molla, gli altri se ne fanno una ragione. È la rivoluzione, bellezza. Solo che un conto è dichiararla, un altro è farla. L’Assemblea regionale siciliana rifiuta come irricevibile il taglio di stipendio ai suoi alti dirigenti, inclusi i 400 mila euro del direttore generale? «Nel governo, cioè dove avevo il potere di farlo, io li ho tagliati», risponde Crocetta. Nella Palermo di Leoluca Orlando è fallita l’azienda municipale rifiuti e per giorni i cassonetti hanno invaso le strade? «Io a Orlando una gran mano gliel’ho data, ho cambiato le norme, ora ha gli strumenti per gestire la questione rifiuti. Mi piacerebbe molto lavorare in sintonia con lui, da parte mia non c’è pregiudizio. Da parte sua? Non lo so, me lo auguro...». I delusi e sconfortati del suo stesso campo, quelli che la rincorrono invano con sms e appelli senza risposta, visto che lei, Crocetta, è di suo un lavoro usurante? «Ma quali delusi! Io ho vinto col 30 per cento ma oggi nei sondaggi sto al 53 di gradimento, chi mi critica è solo perché in realtà non vuole le riforme».
Puntuto com’è, e accomodante mai, con lui ogni domanda è un piccolo match, un istante è stizzito, quello dopo ti sventaglia una battuta e scoppia a ridere. Come sul pasticciaccio che gli è capitato con i sindacati. O quando gli fai «domande impertinenti a cui non rispondo mai» sulla sua vita privata, salvo poi non trattenersi dal rispondere di striscio e in polemica con qualcun altro (Vendola, vedremo). La storia col sindacato è paradigmatica. Tema bollente, 20 mila precari finora stipendiati dalla Regione, parte di loro senza che facciano nessun lavoro, per pagare i quali dal prossimo gennaio va a sapere dove li troverà ancora, i quattrini. «Per sette mesi, da quando è stato eletto, lo abbiamo inseguito senza mai riuscire ad avere un incontro», racconta Gaetano Agliotto, segretario della Cgil Funzione pubblica a Catania: «Così, provocatoriamente, abbiamo indetto un’assemblea a Tusa dove lui vive, mille delegati Cgil, Cisl e Uil sotto casa sua». Crocetta va su tutte le furie, li convoca il giorno prima a Palazzo d’Orleans e dichiara che il problema è risolto, i precari sono salvi. «Ma i soldi dove sono?», chiede un sindacalista. «E che, è lei il presidente? Tocca a me trovarli, e se dico che ci sono, ci sono. Punto». Crocetta però deve essersela legata al dito: «Allucinante!», sbotta quando lo pungoli sulla vicenda, «io sono iscritto alla Cgil, ho chiamato il segretario regionale, se venissi a manifestare sotto casa tua diresti che è un atto di civiltà? Prima fanno sciopero e occupano gli uffici, questi sindacati, e poi vogliono essere convocati! Chiedono riforme e appena uno comincia a farle si mettono a tirare calci! Vogliono difendere i lavoratori o solo continuare a cogestire come hanno fatto finora, mantenendo intatti i privilegi? Anche loro sono casta, questa è la verità! Forza di conservazione. Rappresentano il passato. Un ostacolo che davvero non mi aspettavo. Chiederò ai sindacati nazionali di intervenire!».
Non meno contorti sono i rapporti con i partiti. A cominciare dal suo, il Pd, visto che a domanda risponde di essere tuttora iscritto. Ma allora come mai si fa il suo movimento, Il Megafono, con suoi candidati che alle prossime amministrative del 26-27 maggio in alcuni comuni si presentano contro quelli del Pd? «Piccolezze, in qualche caso non si sono messi d’accordo, tutto qua. Il Megafono è un movimento di autonomie locali, non un partito centralizzato, e comunque oggi la politica non si fa più solo dentro i partiti. Quanto ai giochetti interni al Pd, non me ne frega nulla: io ci metto la faccia, loro facciano altrettanto». Magari non gliene frega nulla, ma c’è entrato a gamba tesa. Alle politiche di marzo. Quando Giuseppe Lumìa, dopo cinque legislature in parlamento dal Pds al Pd, svicola le primarie Pd, si candida e viene eletto, unico senatore, proprio del Megafono-Lista Crocetta. «Basta con questa ambiguità! Il presidente è con noi o contro di noi?», attacca Pino Apprendi, Pd area Letta, un tempo sostenitore di Crocetta contro quasi tutto il resto del partito: «Ci sono segretari di circoli che fanno il doppio gioco, con due sedi, due chiavi e doppie riunioni. Chiedo a Epifani di intervenire! Quanto alla sua fantomatica rivoluzione, ancora la aspetto: nell’ultima Finanziaria regionale non vedo un solo provvedimento per le attività produttive e, via la Fiat, su Termini Imerese non c’è niente di concreto...».
Nel merito, le questioni aperte sono infinite. C’è la cosiddetta "tabella H", sorta di legge-mancia per 50 milioni di euro l’anno da spargere su benemeriti enti e fondazioni (pochi) e innominabili clientele (molte), che Crocetta ha prima cancellato e poi ripristinato e l’Assemblea regionale ha da ultimo stravolto. C’è l’enorme mammella di 2.500 enti di formazioni accreditati, macchina da soldi e di consenso di tutti i partiti, Pd in testa, di cui Crocetta dice «non si può continuare così!», ma smantellarla davvero è un’altra faccenda. Insomma, una lista sterminata di beghe in cui si deve districare con la sua oscillante maggioranza, i 39 eletti su 90 più gli otto recuperati da Mpa, Pdl, Destra, Responsabili, Grande Sud di Micciché. In conto va messo anche il tira-e-molla coi grillini di Cancelleri, che un giorno fa parlare di "modello siciliano" e quello dopo cancella la formula come un abbaglio della stampa.
Come si muove Crocetta in un guazzabuglio del genere, e con che risultati? Non è improbabile che, in un universo Dada come quello politico e sociale siciliano, lo zigzag sia la via più breve tra due punti: ma il risultato è quel continuo stravolgere impegni e programmi che scioglie in brodo di giuggiole i suoi supporters e getta nella costernazione chi ogni tanto vorrebbe veder funzionare una logica del "cosa fatta capo ha". «Ero con Crocetta fin dall’inizio, coordinatrice del Megafono per le isole minori», racconta Monica Modica, architetto con varie Soprintendenze; «per effetto della riforma sanitaria della giunta precedente, chiudono 28 punti nascita, compresi Lipari e Pantelleria, dove a marzo ottanta donne s’incatenano per protesta. A fine mese esce un comunicato: "Abbiamo riaperto i punti nascita". Io rassicuro tutti, questione di giorni. Invece no, sono chiusi, e in due mesi solo a Pantelleria devono partorire cinquanta donne. Lo faccio presente. "Sono di fatto aperti!", è la risposta. Da allora il presidente e l’assessore non mi parlano più». Chiedi conto a Crocetta e lui: «Oh, insomma! Per me quello che è deliberato è fatto, il resto sono tempi tecnici, forse un paio di mesi...».
L’uomo è così, non lo schiodi, che non gli rompessero i cabbasisi con i dettagli. Anche sul suo privato. Il buen retiro in Tunisia? «Ma quale! 120 euro al mese, e non ci vado da un anno e mezzo!». La casa a Tusa? «Due stanze su due piani! Per ragioni di sicurezza e perché non avevo più una vita privata, non potevo più restare all’Atelier sul mare», l’albergo dell’amico Antonio Presti a Marina di Tusa dove ogni stanza è l’opera di un diverso artista e dove Crocetta era ospite fino a un mese fa. Gay dichiarato da anni, un compagno fisso ce l’ha? «Domanda impertinente». Di un politico si sa, moglie, compagna, compagno, anche Vendola... «La gente vota te, non i tuoi affetti. Adoro i politici che dicono "io", non mi piacciono quelli che usano il "noi", questi siamesi del pensiero, le coppie, come sono noiose, non le sopporto...».