Maurizio Maggi e Gloria Riva, L’Espresso 24/5/2013, 24 maggio 2013
UN PAESE IN CASSA INTEGRAZIONE
Giampiero Castano, varesino di Somma Lombardo, un passato da sindacalista alla Fiom, è il responsabile dell’Unità di crisi al ministero dello Sviluppo economico. È il capo del "pronto soccorso" delle aziende: sul suo lettino d’emergenza i pazienti sono 150. Vittime di un Paese che ha fatto il record di trimestri consecutivi con il Prodotto interno lordo in retromarcia (quello chiuso a marzo è stato il settimo), con la produzione industriale in frenata da 19 mesi (con un calo del 5,9 per cento nel primo trimestre di quest’anno) e che nel 2012 ha consumato oltre un miliardo di ore di cassa integrazione.
Il grande negoziatore è assai pessimista. «L’Italia ha una macchina burocratica che costa troppo e assorbe la maggior parte delle risorse dello Stato. Ciò impedisce di mettere quattrini nel sistema industriale e senza investimenti pubblici la crisi non si risolve». Castano indossa i panni dell’estremista keynesiano e non lesina staffilate agli imprenditori, perché si presentano al suo tavolo al punto di non ritorno. «Arrivano qui sperando che la situazione si sistemi da sola o credendo che la furbizia possa essere sufficiente a risolvere i problemi». E al capezzale dei casi più drammatici, stando a Castano, «non fanno mai intravvedere nuove iniziative all’orizzonte, non investono, sembrano non crederci loro per primi». La filippica dell’uomo delle trattative non trascura nemmeno i governi di ieri e di oggi: «Manca una regia politica, un’idea chiara in cui credere. Vogliamo puntare sulla piccola impresa? Sul manifatturiero? Sulle infrastrutture e quindi sulle costruzioni? Non si sa».
I segnali negativi si moltiplicano. Il ricorso agli ammortizzatori sociali coinvolge sempre più società: tra gennaio e aprile del 2013 hanno chiesto aiuto alla cassa integrazione straordinaria (Cigs) ben 2.060 aziende, il 16,2 per cento in più rispetto all’anno scorso, e complessivamente sono state autorizzate 365 milioni di ore di cassa. Come dire 530 mila lavoratori che non hanno potuto timbrare il cartellino neppure una volta. Solo nello scorso mese di aprile, la Cigs è quasi raddoppiata rispetto all’aprile 2012. A livello locale si scopre che in provincia di Milano la cassa integrazione s’è impennata del 133,75 per cento, con un totale di 13,4 milioni di ore. A Torino, le ore sono state di più (13,8 milioni) ma l’incremento è stato più contenuto (20,35 per cento), perché già nel 2012 si faceva un sacco di cassa. Anche isole felici come l’Alto Adige iniziano a convivere con i sostegni al reddito, visto che le ore di cassa sono più che quadruplicate, saltando dalle 151 mila del 2012 a 811 mila. Poi c’è il tragico boom della cassa integrazione in deroga, cioè quella destinata alle piccole imprese artigiane e del commercio, il cui costo ricade interamente sulle spalle dello Stato. Dall’inizio dell’anno, oltre 200 mila persone attendono i quattrini della cassa in deroga già approvata, ma Regioni e Inps non glieli possono dare perché non ce li hanno. Il 17 maggio il governo Letta ha dato il via libera allo stanziamento di un miliardo di euro. «Cifra che, a essere ottimisti, coprirà le richieste al massimo fino a settembre», prevede Claudio Treves, coordinatore dell’area Politiche del lavoro Cgil. Dalla Bocconi, il docente di diritto del lavoro Maurizio Del Conte saluta con freddezza il miliardo pro-cassa in deroga: «È un passo avanti il fatto che, contrariamente al governo Monti, l’esecutivo attuale non ritenga che gli interventi a favore del lavoro possano essere effettuati a costo zero. Tuttavia, l’idea di garantire il sostegno "fino a esaurimento scorte" è la negazione dello Stato di diritto, non può valere la logica del chi prima arriva, meglio alloggia». Enrico Giovannini, ministro del Lavoro, promette di intervenire duro contro la disoccupazione giovanile, volata al 38 per cento. Anche grazie ai fondi europei, il governo metterebbe a disposizione 10-12 miliardi di euro, puntando soprattutto sullo sviluppo dei centri per l’impiego.
E si deve proprio alla Cassa integrazione se nel 2012 l’occupazione in Italia è calata solo «in maniera contenuta (69 mila unità pari allo 0,3 per cento)», come spiega il Rapporto annuale dell’Istat. Quasi a dispetto dei dati macroeconomici, grazie all’impatto del principale ammortizzatore sociale e alla diffusione dei lavori a tempo parziale il numero degli occupati è rimasto stabile. Anche se il tasso di disoccupazione è aumentato. Può apparire strano ma il fatto si spiega con il parallelo aumento delle persone che cercano lavoro: spinte dalla crisi che ha falcidiato i redditi delle famiglie, più donne e più giovani sono disposti a lavorare. E non sempre trovano un posto.
Come capita a molti cassintegrati. Per esempio quelli della milanese Sirti, fino a pochi anni fa una a gallina dalle uova d’oro, attiva nelle reti di telecomunicazione. Nel 2011, però, inizia il calvario. Nel giro di poche settimane sono annunciati 24 mesi di cassa integrazione a zero ore per 760 dipendenti, poi una procedura di mobilità per altri 270. Ma i tagli non bastano, e pochi giorni fa anche l’Unità di crisi s’arrende e lascia strada al licenziamento per altri 530 addetti, sui 3.870 distribuiti su tutto il territorio nazionale. L’azienda dice che è colpa della crisi economica, che taglia gli investimenti delle grandi compagnie telefoniche. Ma è dal 1997 che una serie di cambi di proprietà ha scaricato sulla società i debiti contratti per comprare le azioni della stessa Sirti. Prosciugando quei profitti d’oro che l’azienda, a livello operativo, non ha mai smesso di macinare. Il leader assoluto del ricorso alla cassa è il gruppo Fiat: 33 milioni di ore, nel 2012. Da solo, tra ordinaria e straordinaria, ne ha messa insieme quanto Calabria, Liguria e Molise. Le vendite di auto in Europa sono crollate, trascinando al ribasso la produzione. A Torino, sottolineano come aver puntato sulla cassa integrazione invece che ridurre il personale in forma definitiva, licenziando, sia stato al contempo un sacrificio e un segnale di speranza: alcuni concorrenti hanno invece adottato misure ben più drastiche.
Meno sotto i riflettori, invece, altre emblematiche cifre: secondo l’ufficio studi della Cgia di Mestre, dall’inizio del secolo al 2011 hanno levato le tende dall’italico suolo oltre 27 mila imprese nazionali, che delocalizzando all’estero hanno creato oltre un milione e mezzo di posti di lavoro. La nazione preferita dai fuggiaschi non è la Cina (al sesto posto) bensì la Francia, seguita da Usa, Germania, Romania e Spagna.
E dal Belpaese se ne vanno pure gli stranieri. Tra gli affari spinosi spicca quello di Bridgestone: i giapponesi intendono mandare a casa i 950 addetti della fabbrica di Modugno (Bari). Le alternative non sono incoraggianti: i nipponici propongono di lasciare in Puglia una produzione di bassa gamma, ma solo se lo Stato si accolla metà dei costi di conversione. È probabile che anche nel 2103 le ore globali di cassa integrazione supereranno la mostruosa quota del miliardo. Ma in quanti possono sperare di tornare in fabbrica o in ufficio, tra il milione e mezzo di cassintegrati italiani? La metà, pensano Del Conte e tanti altri economisti, ma solo se il Pil ripartirà al ritmo europeo pre-crisi, quindi crescendo del 2-3 per cento.