Emanuele Rocco, L’Europeo 5/2013, 24 maggio 2013
FINO ALL’ULTIMO BUGIARDINO
Una delle battaglie più combattute dalla Costituente è stata, incredibilmente, per le farmacie. Mentre si discuteva delle modifiche da apportare alla legge comunale e provinciale, comunisti e socialisti presentarono un emendamento per ripristinare la facoltà, che i comuni avevano prima del fascismo, di istituire farmacie municipali. Questo poteva avere ripercussioni sfavorevoli tra i farmacisti privati, quindi i democristiani si opposero, in principio, alla votazione. Poi, votarono contro. Al momento della votazione però pochi erano i deputati presenti, incerto l’esito per alzata e seduta, quindi Giovanni Conti (vicepresidente dell’Assemblea costituente, repubblicano, estensore dell’articolo 104 della Costituzione sull’indipendenza della magistratura, ndr), che presiedeva, indisse, su richiesta dei democristiani, la votazione per appello nominale. Subito corsero parole non precisamente parlamentari: ci fu chi, appartenendo alla sini stra, si sentì in dovere di rammentare ai democristiani che in molti paesi i farmacisti privati sono, accanto al parroco, i loro migliori agenti elettorali. I tre segretari dei partiti di massa Giulio Andreotti, Paolo De Michelis (presidente del Psi dal febbraio 1947 al gennaio 1948, ndr) e Nilde lotti, partirono di corsa per richiamare i loro deputati, che si trovavano sparsi per Montecitorio. Molti i deputati de che affollavano il corridoio dei Passi perduti; pochi, invece, i comunisti. Allora la Iotti si attaccò al telefono per convincere i deputati comunisti che fosse riuscita a trovare. Voleva vendicarsi della sconfitta subita il giorno prima dalla sinistra, per soli pochi voti, di fronte alla democrazia cristiana e alle destre coalizzate. Deputati di tutti i partiti presero così ad affluire al Parlamento; entravano correndo a Montecitorio. Andreotti, vedendo l’afflusso di “sinistri”, si attaccò al telefono, ma fu sfortunato: trovò solo Alfredo Proia che era in ufficio presso la stazione. L’onorevole Proia salì in macchina urlando all’autista: «A Montecitorio. A tutta velocità». Ma aveva fatto i conti senza i semafori: dalla stazione a Montecitorio ce ne sono sei; segnavano tutti “rosso”. Proia dovette fare i corridoi della Camera di corsa. Entrò proprio chiamavano il suo nome, disse «no». E si lasciò andare su un banco.
Le telefonate della Iotti ottennero un miglior successo. Mario Montagnana ed Elettra Pollastrini erano a pranzo al Circolo delle Forze Armate. Buttarono il tovagliolo, presero il tassi; andò tutto bene fino quasi a Montecitorio. Un vigile non voleva far passare: «C’è la Camera aperta, possono passare solo i deputati». «Ma noi dobbiamo andare a votare». «Non si può; solo i deputati possono passare». «Siamo deputati». Passarono e fecero a tempo. Mauro Scoccimarro fu trovato dal dentista: gli stavano otturando un dente. Non si sciacquò neppure e, allontanato il trapano, si lanciò per strada lasciando una scia di odore di medicinali. Non c’erano tassi, ma l’ex ministro vide una macchina del ministero delle Finanze; la fermò, c’erano dentro due signori; domandò loro se avrebbero potuto accompagnarlo a Montecitorio. Gli fu chiesto chi fosse e fu accolto nella macchina. A piazza della Croce Rossa c’era un tassi libero; Scoccimarro arrivò in tempo a votare. Fausto Gullo (comunista, propose un’Assembea Costituente durante la prima riunione del primo Consiglio dei ministri dell’Italia liberata, ndr) si trovava al ministero di Grazia e giustizia. Si precipitò per le scale. In quel momento entrava alla Camera il ministro dell’Agricoltura Antonio Segni (De), che doveva parlare con un ministro comunista. Si incontrarono perle scale e Gullo gridò che era lì per una votazione. Segni domandò come votare: «Tu vota no», disse Gullo, «io devo votare sì». Entrarono in aula. Gullo restò finché non seppe che la sinistra aveva vinto per otto voti: non si sarebbe perdonato una sconfitta per un solo voto.