Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 22 Mercoledì calendario

CONFINDUSTRIA, LE RICHIESTE INCONFESSABILI AL GOVERNO

Chiedi agli imprenditori cosa pensano della debole legge anticorruzione, della mancata reintroduzione del reato di falso in bilancio, e loro replicano perplessi, come di fronte a una domanda stupida: “Oggi il nostro problema è cercare di tenere aperte le aziende massacrate dalla crisi”. Eppure, tra le prime cause della crescita zero del paese, c’è proprio quella giostra di abusi che va sotto l’etichetta di “criminalità dei colletti bianchi’’, il degrado del capitalismo poco ha da invidiare a quello della politica.
La corruzione non è una priorità
Alla vigilia dell’Assemblea di Confindustria, domani a Roma, la seconda di Giorgio Squinzi, il tema non è in agenda, malgrado le cronache giudiziarie abbiano dato più di uno spunto per affrontarlo. Alessandro Riello, patron dell’Aermec e già presidente dei giovani confindustriali in epoca Tangentopoli, spiega: “C’è sempre stato imbarazzo tra noi ad affrontare argomenti come corruzione e falso in bilancio. Era così anche ai miei tempi, ma si cercava di salvare la faccia. Oggi, semplicemente si parla d’altro”. Sulla legge anticorruzione del governo Monti, per esempio, il commento di Squinzi è stato minimalista: “In tutti i paesi c’è corruzione, é già tanto che in Italia ci siamo dati una legge’’.
Interpellati singolarmente gli imprenditori dicono cose differenti. Aurelio Regina, uno dei vice di Squinzi, ritiene che sarebbe stata necessaria una legge anticorruzione più severa di quella targata Severino. Luigi Abete, presidente di Confindustria negli anni di Mani Pulite, oggi a capo di Bnl e Assonime, conferma che la depenalizzazione del falso in bilancio danneggia l’immagine internazionale delle imprese italiane, e sarebbe favorevole alla reintroduzione del reato, “tipizzandolo’’ meglio rispetto al passato. Ivan LoBello, altro vicepresidente in carica, chiede una legge contro l’auto riciclaggio. Ma sono quasi confidenze private: su certi scivolosi terreni, che toccano gli interessi di molti iscritti, campagne nazionali firmate da Confindustria non ne risultano.
Che guaio l’abuso di diritto
Nulla a che vedere col forte impegno speso invece dagli industriali per ottenere un’altra modifica, questa sì fondamentale, quella della normativa che regola l’abuso di diritto (cioè aver fatto un’operazione sul filo della legalità con l’esclusivo scopo di eludere le tasse), con la quale il fisco è riuscito a ottenere centinaia di milioni di euro dalle grandi aziende e banche italiane in questi ultimi anni. “Molte delle società cui è contestato l’abuso di diritto decidono di pagare solo per evitare l’altissimo rischio di soccombere nel contenzioso con l’Agenzia delle Entrate”, spiegano da Viale dell’Astronomia, parlando addirittura di “caccia agli untori’’ da parte del fisco. Le ostilità sono iniziate nel settembre 2011, con una lettera firmata da Emma Marcegaglia (assieme ad Abi e Ania), inviata all’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il testo metteva in guardia dalle conseguenze di un fisco troppo severo: “gli effetti degli accertamenti fiscali sono pesanti e potrebbero rivelarsi devastanti. I bilanci delle imprese, colpiti per centinaia di milioni di euro, soffrono: gli obiettivi di fuoriuscita dalla crisi diventano ancora più difficili da raggiungere’’. Poche settimane dopo, il Manifesto di Confindustria per l’Italia offriva una sorta di patto: una patrimoniale sulle persone fisiche in cambio della revisione dell’abuso di diritto, con attenuazione dell’ “oppressione da eccesso di controlli fiscali’’. La patrimoniale, come noto, è rapidamente passata in cavalleria, mentre l’idea della riforma fiscale è stata fatta propria dal governo Monti.
Come ai tempi del falso in bilancio
Nel giugno 2012 vede infatti la luce la prima versione della legge delega che accoglie i suggerimenti confindustriali. A molti si rizzano i capelli: un passaggio del testo cancellava addirittura la rilevanza penale dell’elusione. Interviene il Quirinale, la delega viene riscritta. Tra una stesura e l’altra, però, si arriva alla crisi del governo Monti, alla campagna elettorale, al voto. Ma Confindustria non smette di fare pressing perché la delega venga approvata.
Col governo di larghe intese, finalmente, torna a sperare: dall’agenda dei 100 giorni di Enrico Letta sono scomparsi il falso in bilancio, il potenziamento della legge anticorruzione e l’auto riciclaggio (temi che avevano scandito la campagna elettorale del centro sinistra), ed è ricomparsa la riforma fiscale. Che l’attuale normativa sia poco chiara, e consenta al fisco di “abusare dell’abuso’’, lo riconosce perfino il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Ma guardando alla storia recente, sorge qualche dubbio sull’innocenza della richiesta che arriva dalle imprese. La nuova guerra fiscale, infatti, ricorda parecchio quella combattuta dagli industriali contro il falso in bilancio, iniziata il 17 aprile del 1997 con una lettera sul Sole 24 ore che chiedeva, in sostanza, il superamento di un reato anch’esso “poco chiaro”, e “penalizzante” per le imprese. Tra le firme in calce alla lettera spiccavano quelle del patron di Mediobanca Enrico Cuccia, di ex presidenti di Confindustria come Luigi Lucchini e Vittorio Merloni, di imprenditori, manager e banchieri: Enrico Bondi, Giancarlo Cerutti, Diego Della Valle, Ennio Doris, Gianfranco Zoppas, Alfio Marchini, e molti altri. Nel 2002 Silvio Berlusconi ascolta finalmente la richiesta, derubricando il falso in bilancio. Da allora, a Confindustria è sempre stato bene così.
Perfino nel 2004, dopo lo scandalo Parmalat, quando qualcuno ipotizzò di tornare alla vecchia normativa, gli uomini di Viale dell’Astronomia posero il veto: per prevenire nuovi casi Tanzi, spiegarono nel corso di una audizione parlamentare, non occorrevano misure d’emergenza ma “risposte meditate e di sistema’’. Che però non sono mai arrivate. Sono invece arrivati, come previsto, nuovi scandali. Sempre più grossi, devastanti e numerosi. Ma l’importante è farci l’abitudine.