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 2013  maggio 21 Martedì calendario

EPIFANI CORRE A SIENA A PLACARE LE FAIDE: “LITIGATE DOPO IL VOTO”

Guglielmo Epifani, ovvero l’arte di limitare i danni. A Siena una missione quasi impossibile. Qui il Pd dopo aver sfasciato e perso il Monte dei Paschi, rischia di perdere anche il Comune, dopo averlo ugualmente sfasciato: il commissario governativo è lì che aspetta in gloria il nuovo sindaco per scaricargli 100 milioni di debiti, che fanno del municipio di piazza del Campo il più scassato d’Italia (come debito pro capite) dopo Torino e Milano. E così il neo segretario arriva con la smorfia sconsolata da Cireneo a sostenere il candidato sindaco Bruno Valentini. La città rossa che riempie la piazza più grande, la Lizza, per Beppe Grillo, manda ad accoglierlo duecento elettori scarsi. A Siena il Pd ha 2 mila iscritti. Commenta un maturo militante: “Quando veniva il segretario a me dicevano se non ne porti duemila ti rovino”. “Mi avevano sconsigliato di venire”, attacca allegramente Epifani, e una voce dalla platea chiede imperiosa: “Chi è stato?”. “Non importa”, sorvola il leader e spiega: se uno non va nelle situazioni difficili, che ci sta a fare? Per rincuorare la platea polemizza con Beppe Grillo e si impegna a intervenire su “il conflitto di interessi e il finanziamento ai partiti”. Il segretario si mette l’elmetto e va all’attacco dell’ex sindaco, ex deputato ed ex segretario dei Ds senesi Franco Ceccuzzi, storico compagno di merende di Mussari. Si è seduto in prima fila così, tanto per infastidire il suo arcirivale Valentini che lo detesta. Epifani fissa ostentatamente gli occhi su di lui e avverte: “So di liti e divisioni: di queste cose è bene parlare il giorno dopo il voto, non il giorno prima”.
LA PLATEA applaude convinta l’unico pizzico di emozione in un pomeriggio all’apparenza noiosetto e torna ad assopirsi rassicurata dalla ferma volontà di Epifani di non dire una parola sugli scandali che hanno travolto il Monte dei Paschi, al grido di “faccia la magistratura, presto e bene”. L’autocritica è soft e un po’ accademica: “Quando fu comprata l’Antonveneta bisognava capire che per crescere bisognava cambiare il sistema di governo, per esempio rinunciando al controllo della banca da parte della Fondazione”.
Ma sotto la cenere della noia cova una competizione feroce. Per soli 53 mila abitanti sono in corsa otto candidati sindaci e ben 16 liste, appena una in meno delle 17 contrade. Quasi tutte liste civiche, perché i partiti non tirano più. E solo un senese purosangue, abituato agli intrighi del Palio, può capire quali interessi personali o rivalità rusticane dividano schieramenti dai nomi così poco fantasiosi: che cosa distingue “Siena cambia” da “Siena rinasce”? E come riconoscere le peculiarità di “Cittadini per Siena”, “Siena si muove” o “Siena futura”? Poi c’è il drammone degli ex comunisti, che negli ultimi vent’anni hanno sempre dominato la politica locale, e il Monte, con tre sindaci: Pierluigi Piccini, Maurizio Cenni e Ceccuzzi. Piccini è schierato con la lista “Impegno per Siena” che candida a sindaco Marco Falorni. Cenni ha messo in campo la lista “Nero su bianco”, apparentata con il candidato sindaco del centro-destra, il cardiochirurgo Eugenio Neri. Dietro a Piccini e Cenni, e non solo, falangi di militanti ed esponenti Pd si sono disseminati nelle più svariate liste. Ceccuzzi è invece il protagonista del vero psicodramma. Nel 2001 partecipò al siluramento di Piccini, concordato con i vertici romani dei Ds, che aprì la strada alla carriera di banchiere di Mussari.
Diventato sindaco nel 2010, un anno fa è stato mandato a casa dalla rottura dentro il Pd con la famiglia Monaci: Alberto, il più grande, è presidente del Consiglio regionale, Alfredo, il minore, puntava alla vicepresidenza del Montepaschi. Ma, nella tornata di nomine che ha portato alla presidenza lo “straniero” Alessandro Profumo, Ceccuzzi non l’ha accontentato. Alfredo ha ordinato ai consiglieri Pd di osservanza monaciana di far cadere Ceccuzzi, ed è arrivato il commissario Enrico Laudanna. Poi Monaci è diventato montiano (Alfredo, Alberto è ancora Pd), e Ceccuzzi si è candidato alle primarie per rifare il sindaco. Le ha vinte Ceccuzzi poco prima di Natale, mentre Valentini, renziano atipico in quanto ex comunista, non ha raccolto abbastanza firme per partecipare. Ma dopo l’esplosione dello scandalo Mps Ceccuzzi, travolto dalle polemiche, ha rinunciato alla candidatura. Nuove primarie, Valentini stavolta corre e vince. Ed ecco che Ceccuzzi, dispettoso, visto che Valentini si batteva per il rinnovamento contro la banda che ha rovinato banca e città, si precipita a dargli il suo appoggio, e si siede in prima fila alle manifestazioni.
PERÒ ALLA FINE le liti sono l’unica cosa che strappa un sorriso, sia pure amaro. Perché per il resto la mestizia domina. C’è il dirigente locale che apre la strada al discorso del leader elencando i punti forti della proposta Pd per Siena e mette in fila: stabilità, tranquillità, governabilità, garanzia per il futuro, serenità. C’è il candidato Valentini, funzionario del Monte dei Paschi come Piccini e Cenni, che si appella al voto utile (a Siena) e come slogan elettorale non ha trovato niente di più frizzante di “superiamo le difficoltà”, che una cosa così triste non c’è in tutto il neorealismo. E c’è lo spaesato Epifani che per dare la scossa al suo popolo senese prima lo sferza (“Dobbiamo cambiare, sennò consegnamo agli altri il governo della città”), poi lo incoraggia con il tono di chi la spara grossa: “Possiamo vincere”. Possiamo.