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 2013  maggio 21 Martedì calendario

PACE «A TUTTO GAS» TRA TURCHIA E ISRAELE

Tayyip Erdogan, il primo mi­nistro turco, è un acrobata capa­ce di camminare in contempo­ranea su un filo, fare il doppio salto mortale e cadere in piedi per ricevere l’applauso. Lo sco­po è riuscire a usare a scopi ege­monici per la Turchia la sua fa­ma di Paese a cavallo fra Islam e Occidente, e rafforzare il suo re­gime molto vicino ai Fratelli Musulmani, mentre si presen­ta come forza moderata. Non ha remore morali: oggi è il peg­gior nemico di Assad, ai tempi della rivolta libanese per cac­ciarlo dalla Siria era il suo mi­gliore alleato. Era un amico strettissimo di Gheddafi, da cui accettò il «Premio Internazio­nale Gheddafi per il diritti uma­ni». Tuttavia l’Europa conserva la memoria speranzosa di Ke­mal Atatürk e il senso di colpa per aver tenuto la Turchia fuori dall’Ue. Ma intanto le cose so­no cambiate, l’islamizzazione è prepotente, la libertà è crolla­ta, la politica estera è aggressi­va. La Turchia agisce anche spinta dalla necessità di resiste­re al terremoto siriano che la pervade di profughi e di terrori­smo e la mette a rischio di una guerra chimica. Ma al di là di questa evenienza c’è l’ambizio­ne ottomana di Erdogan, che si vede come il grande rifondato­re di un impero che ha quasi fa­gocitato l’Europa e il Medio Oriente per secoli, fino al 1918.
Erdogan ha dato esempio di grande disinvoltura proprio nelle ultime settimane. Il 22 marzo, su esplicita richiesta del Presidente Obama, accetta gra­ziosamente le scuse di Ben­yamin Netanyahu, premier israeliano, per l’incidente del maggio 2010. Allora furono uc­cisi nove attivisti turchi sulla «Mavi Marmara» diretti a Gaza sulla flottilla antisraeliana che portava anche membri del gruppo paraterrorista IHH. Er­dogan continua dopo l’inciden­te la strada che lo aveva portato a inveire contro Shimon Peres a Davos urlandogli «Voi sapete uccidere» e dichiara di recente, fra l’altro, che il Sionismo è «un crimine contro l’umanità». Invi­ta ad Ankara Khaled Mashaal, il capo dell’organizzzione terrori­sta Hamas. Gli dedica una stan­ding ovation, dichiara che i suoi uomini sono «combatten­ti della resistenza che difendo­no la loro terra». L’odio per Isr­a­ele gli conquista molti consensi nel Medio Oriente. È ciò che cer­ca, dato che intanto i suoi accor­di con Assad si sciupano.
Ma il 15 marzo Erdogan accet­ta la proposta di far pace con Israele in cambio di ricompen­se per le famiglie degli uccisi. Obama lo vuole, ed è una vitto­ria morale. Ma intanto gli anali­sti­ che scavano nei colloqui cir­costanti all’accordo scoprono un interesse della Turchia che non c’entra con l’onore: il gas naturale trovato in quantità a largo delle coste di Haifa. La Turchia, si dice, vuole parteci­pare con due milioni di dollari alla costruzione del condotto sottomarino che dovrebbe por­ta­re il gas fino alle sue coste e for­se poi verso l’Europa. Big busi­ness. Oggi essa è in gran parte di­pendente dalla Russia per il gas, lo scontro sulla Siria con Pu­tin rende Israele ben più affida­bile. Ma la Turchia, lo è? Perché lo Stato ebraico dovrebbe far scorrere il suo gas in tubi lungo coste libanesi e siriane, dopo che l’Egitto dei Fratelli Musul­mani ha fatto saltare gli accordi e i tubi stessi in pochi mesi di nuovo potere? Perché dovreb­be fare un dispetto a Cipro, ne­mico della Turchia?
Erdogan è andato a Washin­gton meno di una settimana fa, ha spinto per la destituzione di Assad, e certamente Obama, in cambio di una posizione deci­sa, gli chiede l’abbandono del­la linea estremista su Israele. Ma Erdogan ha confermato, fra un abbraccio e una pacca sulla spalla, che alla fine del mese an­drà in visita a Gaza, e probabilmente lo farà insieme al primo ministro egiziano Morsi, lea­der dei Fratelli Musulmani. Ha anche riaffermato di essere molto favorevole al previsto ac­cordo Fatah-Hamas. Hamas, il cui scopo istituzionale è non so­lo la distruzione di Israele ma anche l’uccisione di tutti gli ebrei (vedere lo statuto e i di­scorsi dei leader, o il terrorismo che ha sterminato migliaia di in­nocenti) non può essere l’interlocutore di un amico di Israele o di qualsiasi Paese democrati­co. Ovvero: non c’è comune buon senso che possa spingere chicchessia a un accordo vitale con la Turchia di Erdogan.