Valentino Tamburro, Il Sole 24 Ore 22/5/2013, 22 maggio 2013
COSÌ I BIG SFRUTTANO LE LACUNE DEGLI STATI
Il caso sul quale si sono accesi i riflettori del Fisco americano non è troppo diverso da quello che sta avvenendo in altri Stati con multinazionali del calibro di Google, Amazon e Starbucks.
Gli strumenti a disposizione delle multinazionali per alleggerire il carico fiscale sul reddito prodotto su base mondiale sono molteplici e vanno dal transfer pricing al treaty shopping, dall’utilizzo di hybrid entities a quello dei derivatives.
Quasi tutte le tecniche di elusione ed evasione fiscale internazionale si avvalgono delle differenze esistenti tra gli ordinamenti e talvolta tali differenze sono combinate con le clausole inserite nelle convenzioni contro le doppie imposizioni.
Quanto al primo punto, basti pensare che localizzando in uno Stato che non prevede la tassazione degli interessi attivi una società che eroga un prestito ad un’altra società del medesimo gruppo, residente invece in uno Stato dove gli interessi sono deducibili, si avrà un ricavo esente a fronte di un costo deducibile, con un risparmio fiscale a livello di gruppo facilmente intuibile.
Quanto al secondo aspetto, sebbene tra le funzioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni vi rientri anche il contrasto all’evasione fiscale internazionale, spesso capita invece che le convenzioni contro le doppie imposizioni diventano il mezzo attraverso il quale si raggiunge il fine di non pagare le imposte, ovvero di ottenere un consistente risparmio fiscale.
Uno dei principali problemi giuridici che si pongono nel momento in cui il Fisco contesta la liceità di un’operazione cross-border dalla quale il contribuente ha tratto un indebito vantaggio fiscale riguarda il rapporto tra le norme convenzionali e le norme interne. Nei vari Stati generalmente le prime prevalgono sulle seconde secondo il principio del pacta sunt servanda. In un noto caso di treaty-shopping trattato dall’Austrian Supreme Administrative Court il 26 luglio 2000, i giudici austriaci hanno fatto riferimento all’articolo 31 della Convenzione di Vienna sui Trattati internazionali per stabilire che l’assenza di norme specifiche anti-abuso in un trattato non vietano all’Amministrazione finanziaria di applicare la normativa interna anti-abuso per negare i benefici derivanti dall’applicazione del trattato contro le doppie imposizioni.
Le norme statunitensi che regolano il diritto allo scomputo di crediti per imposte pagate all’estero sono state oggetto di alcune modifiche normative nel mese di Agosto 2010, con efficacia a partire dal 2011. Con la modifica dell’articolo 909 dell’Us Internal Revenue Code il legislatore americano ha reso più difficile il ricorso alla costituzione di società straniere al fine di creare crediti esteri fittizi, da scomputare nel bilancio della casa madre americana. Le operazioni cd. "Foreign Tax Credit Generator" sono tra le più insidiose da contrastare in quanto non riguardano necessariamente operazioni che coinvolgono soggetti appartenenti allo stesso gruppo. Nel caso delle obbligazioni strutturate, ad esempio, era sufficiente la stipula di un contratto di pronti contro termine, la negoziazione di alcune clausole contrattuali "ad hoc", e la scelta di due stati con una diversa qualificazione giuridica del soggetto titolare del diritto all’incasso della cedola relativa al titolo sottostante, per generare in uno Stato (quello della residenza del sottoscrittore del titolo) un credito per imposte estere scomputabile dal reddito complessivo, ed ottenere il rimborso del medesimo credito nello Stato di residenza del debitore.