Barry Eichengreen, Il Sole 24 Ore 21/5/2013, 21 maggio 2013
LA STORIA, MAESTRA D’ECONOMIA
Il cancan che si è scatenato sull’articolo di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff Growth in a Time of Debt è forse la polemica accademica più importante ed esplosiva dal 1974, quando altri due economisti, Robert Fogel e Stanley Engerman, pubblicarono il famigerato Time on the Cross, dove si difendeva l’efficienza del sistema delle piantagioni con manodopera schiavistica nell’America dell’Ottocento.
Come già nel caso di Fogel ed Engerman, anche nel caso di Reinhart e Rogoff la polemica, anche se ufficialmente è nata dalle procedure statistiche adottate dagli autori, si fonda in realtà sugli scopi per i quali altri autori hanno utilizzato il loro studio. Alcuni dei risultati riportati da Fogel ed Engerman furono utilizzati - non dagli autori stessi, è il caso di sottolinearlo - per mettere in discussione le misure di discriminazione positiva e il movimento per i diritti civili. Allo stesso modo, alcuni dei risultati riportati da Reinhart e Rogoff sono stati usati da esponenti politici (e non solo) per giustificare il rigore di bilancio.
Quando gli errori dell’analisi di Reinhart e Rogoff sono venuti alla luce, i loro critici sono rimasti sbigottiti: i due autori avevano inavvertitamente omesso dei dati, avevano usato un meccanismo di ponderazione discutibile e avevano adoperato un’osservazione sbagliata sulla crescita del Pil. Il caso ha sollevato interrogativi scomodi non solo sull’efficacia dell’austerity, ma anche sull’affidabilità dell’analisi economica. Com’è possibile che uno studio sbagliato fosse stato pubblicato prima sulla prestigiosa serie di working papers del National Bureau of Economic Research e poi su una rivista dell’American Economic Association? E se è stata possibile una cosa del genere, come si può pretendere che le autorità e il pubblico informato attribuiscano qualche credibilità alla ricerca economica?
È stato possibile perché gli economisti non sono obbligati a rendere pubblici i dati e i programmi usati per i loro studi, quando pubblicano una ricerca scientifica. Si dice che i working papers del National Bureau of Economic Research siano ancora più prestigiosi degli articoli pubblicati sulle riviste che adottano il sistema dei referee. Eppure il National Bureau of Economic Research non impone come condizione agli studiosi di pubblicare sul suo sito web i dati e i programmi utilizzati.
Uno studioso indipendente che voglia cercare di replicare i risultati di questi studi deve prima replicare i dati e poi replicare i programmi. E con il progresso dell’economia empirica una cosa del genere diventa sempre più difficile. Reinhart e Rogoff hanno usato un insieme di dati relativamente ridotto e per la maggior parte di larga accessibilità, ma gli economisti in generale usano gruppi di dati sempre più ampi e ritagliati su misura.
Grandi dati promettono grandi progressi, ma rendono anche impossibile replicare la ricerca senza la collaborazione dell’autore. E l’incentivo a collaborare, per gli autori, è come minimo incerto. È responsabilità dei comitati editoriali e dei direttori di organizzazioni come il National Bureau of Economic Research, quindi, rendere obbligatorio l’accesso libero.
Inoltre, in una disciplina che considera l’ingegnosità come la virtù per eccellenza, quelli che si dedicano al lavoro ingrato di ripulire e replicare i dati non sono molto considerati. Non si vince un premio Nobel per aver costruito un nuovo metodo per calcolare le serie storiche del Pil che consente di estendere indietro nel tempo l’analisi economica. Poi c’è il fatto che una correlazione non è una causa. Nel caso di Reinhart e Rogoff, l’osservazione che i Paesi fortemente indebitati crescono meno, vera o no che sia, non ci dice in alcun modo se sia il debito alto a provocare il rallentamento della crescita o il contrario.
Sono domande difficili, ma le soluzioni sono semplici. Non servono metodi statistici più sofisticati, ma analisi storiche serie dei dettagli politici ed economici dei casi storici specifici in cui un Paese ha avuto una situazione di forte debito pubblico. Un’adeguata analisi storica avrebbe contribuito a individuare quei casi in cui il debito è venuto a crearsi per ragioni diverse dalla situazione economica, e dove quindi è il debito a essere causa del rallentamento della crescita e non il contrario.
Gli storici dell’economia hanno dimostrato come fare. Per esempio, i miei colleghi dell’Università della California a Berkeley, David e Christina Romer, hanno affrontato un problema analogo quando hanno cercato di stabilire se gli shock monetari influenzano la crescita economica. Hanno eseguito un’accurata analisi storica per individuare e focalizzare i casi in cui l’orientamento di politica monetaria era cambiato per ragioni che non avevano a che fare con la congiuntura economica, e questo li ha messi nelle condizioni di isolare l’impatto degli shock monetari sulla crescita.
Le statistiche sono utili. Ma in economia, come in altre discipline della ricerca sociale, nulla può sostituire un’adeguata analisi storica. Contestando le motivazioni degli autori e criticando l’uso che altri hanno fatto della loro ricerca, i detrattori di Reinhart e Rogoff hanno perso di vista il punto fondamentale. Il problema vero non sono le motivazioni, ma le procedure e le priorità del mondo accademico. Se si affronterà il problema delle procedure e delle priorità, il problema dell’uso distorto che i politici sono tentati di fare delle analisi accademiche si risolverà da sé. In altre parole, quello che è valido per l’economia è valido anche per l’analisi economica: è criminale sprecare una crisi.
(Traduzione di Fabio Galimberti)