Antonella Piperno, Panorama 9/5/2013, 9 maggio 2013
MISS CAMERA
La visibilità è strepitosa, altro che Nilde Iotti o Irene Pivetti. Da regina dei media. La neopresidente della Camera Laura Boldrini, 52 anni, sembra affetta da un’irresistibile coazione all’esternazione e all’autopromozione. Come se fosse ancora la portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Lo certificano pure i numeri di Google news, che archivia le citazioni più recenti: 25.900, contro le 12.300 del presidente del Senato, Pietro Grasso, al suo cospetto poco più di un principiante in comunicazione.
Microfono vivente degli emigranti, incarico ricoperto per 14 anni, Boldrini è balzata in cima alla lista di Sel a forza di dichiarazioni e interviste nelle quali, insieme a tanti drammi umani, c’era tanta Laura, maestra dell’affabulazione con i suoi tormentoni mediatici: la «fuga» a 20 anni da Jesi e dal padre austero, che le parlava perfino in latino, per il primo viaggio tra i campesinos delle risaie venezuelane; la figlia Anastasia, oggi 19enne, che a ogni missione le affidava una valigetta piena di giochi per i bambini più sfortunati... E via autopromuovendosi, fino al trionfo presidenziale: tanto che oggi la sua voce bassa e sexy è diventata un webcult in «Naprodotà», remix dello scrutinio quirinalizio dove ritma «Napolitano, Rodotà, bianca». E il suo volto intenso, impreziosito da orecchini gioiello sulla copertina di D della Repubblica, è rimbalzato su tutti i giornali.
La Laura di una volta, fotografata accanto ai piccoli emigranti, con i capelli spettinati dal vento e la pettorina azzurra dell’Onu, oggi si è reincarnata in un suo clone in giacca nera, dallo sguardo serio, stile Iotti, rigida sul suo scranne. Che si fa fotografare, sì, parrucchierata, ma dietro la sua scrivania alla Camera. Severa. Insistendo però su un low profile da operatrice umanitaria («Questa giacca di seta l’ho comprata per 15 euro in un negozio cinese») che l’ha già incoronata nuova icona dei radical-chic.
Laura contro Laura. Perché la portavoce Unhcr si sovrappone spesso alla terza carica dello Stato. Lo stile è lo stesso di quando promuoveva le sue gesta per gli ultimi della Terra. Traslato nelle istituzioni, però, provoca guai: un «dichiaro e rettifico» continuo. Commentando gli spari di Luigi Preiti davanti Palazzo Chigi, le è scappato un «l’emergenza lavoro rende le vittime carnefici» cui poi, accusata di giustificazionismo, ha messo una toppa twittando: «La violenza non deve e non può mai essere considerata tra le opzioni da percorrere per risolvere i problemi».
C’è appena ricascata con la questione dell’anarchia internettiana: ha rivelato di essere vittima sul web di minacce di morte e stupro e la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta che ha già un indagato, il giornalista Antonio Marna, che ha messo in rete il fotomontaggio di una nudista con il volto di Boldrini. «Quando una donna riveste incarichi pubblici, si scatena l’aggressione sessista» ha chiarito la presidente pronta ad «aprire un fronte di battaglia». Con una legge per l’online, come hanno capito un po’ tutti, invitandola a trasferirsi in Corea del Nord? Ma per carità... Mentre le piovevano addosso accuse di censura, ha rettificato che non serve una nuova legge, basta una task torce interministeriale. Sono sempre a sua disposizione, comunque, i due agenti della Polizia postale dirottati alla Camera dopo il fotomontaggio offensivo, occasione in cui è saltata pure la testa di Gaudenzio Truzzi, capo della Polizia alla Camera. Discorso chiuso? No, perché 24 ore dopo Boldrini è tornata in campo, stavolta invocando regole sull’uso del corpo femminile in pubblicità: «Dall’oggettivazione alla violenza il passo è breve».
E pensare che 24 anni prima di essere messa in lista da Nichi Vendola, dopo la laurea e tre anni all’Agenzia italiana stampa ed emigrazione, Laura tentava i primi passi da giornalista in Rai, con due contratti a termine. Il primo alla Società in controluce per gli italiani all’estero. Il secondo nel 1988 come assistente ai programmi di Cocco, varietà condotto da una Gabriella Carlucci in microgonna di paglia e due mezze noci di cocco sui seni: le ballerine si chiamavano Sfogliatelle e non rientravano certo nei canoni femminili di Boldrini. Due anni dopo però era alla Fao e quindi portavoce del World food program. Lì la presidente, che lavora fino alle 23 e ha vietato i tweet alle riunioni, era già stakanovista e imponeva i suoi ritmi a tutti. Ma era così fin da ragazzina. Roberta Strampelli, che ha studiato con lei al liceo classico (per rendersi indipendenti vendevano vestiti usati al mercatino), ricorda che pure da guida scout «metteva le coccinelle in riga».
Adesso bacchetta i deputati come una maestra. Perché Boldrini è seria e inflessibile. È questo il mediatico leitmotiv della sua carriera, costruita con un mix di dedizione al lavoro, abilità nel portare i drammi degli emigranti (e il suo bel volto) sulla stampa ma anche con la frequentazione dei colleghi che scortava nelle missioni Onu: da Alberto Negri del Sole 24 ore, che ogni tanto la ospitava sotto il suo ombrellone all’Ultima spiaggia di Capalbio, fortino balneare radicalchic, a Maria Luisa Busi e Tiziana Ferrano, pasionarie del Tg1; da Valentina Loiero, ex giornalista del Tg5 scelta da Boldrini come ufficio stampa, a Roberto Natale, ex presidente della Federazione nazionale giornalisti e oggi suo portavoce. Giornalista è anche l’ex marito Luca Nicosia, il padre di sua figlia. Ed è un collega pure l’attuale compagno Vittorio Longhi, impegnato sui diritti del lavoro: tiene corsi ai giornalisti dei paesi in via di sviluppo per l’Ilo, agenzia delle Nazioni Unite, scrive sul Guardian e sul suo blog «Lavoro dignitoso» per Repubblica.it.
La fama che l’ha portata alla Camera Boldrini la deve però anche a una certa ignoranza nostrana sull’Onu, con qualche giornale che la definiva «responsabile dell’Alto commissariato» o addirittura «commissario Onu». Con buona pace del vero titolare, Antonio Guterres. È stato spesso equivocato anche il ruolo di portavoce Unhcr, ritenuto posto da numero uno. All’Onu, che ha una gerarchia simile a quella dell’esercito, Boldrini era una «P4», ovverosia una sorta di caporalmaggiore. Ma sì impegnava (e promuoveva) come un generale: con la «carta di Roma», codice per l’informazione che insegna a non confondere clandestini con emigranti, con la partnership con il film Terraferma di Emanuele Crialese, con il coinvolgimento di Claudio Baglioni nella giuria di «Per mare. Al coraggio di chi salva vita umane», premio per pescatori ideato ai tempi degli sbarchi a Lampedusa.
Sebbene abbia guidato i giornalisti in Angola, Ruanda, Afghanistan, Boldrini lavorava non proprio al fronte, ma nella palazzina Unhcr ai Parioli, quartiere dorato della capitale. Lì spesso andava a pranzo da Fauro o al bar Mimosa con il suo capo Laurence Jolles, che la rimpiange parecchio. Tanto che non è stata ancora rimpiazzata e nella sua stanza ci sono ancora le targhe dei tanti premi. Ma la ex portavoce Unhcr si è spostata solo poco più in là.
Appena insediata alla Camera si è ridotta del 30 per cento lo stipendio (12.495 euro contro i 17.760 del predecessore) e ha voluto divulgare la sua decisione di cibarsi alla mensa. Peccato che 9 giorni dopo sia stata fotografata al ristorante dei deputati. La presidente ha quindi annunciato di voler ridurre la scorta, ma avendo deciso di vivere a casa sua (dove serve il cosiddetto «livello irrinunciabile» di sicurezza) e non alla Camera, l’operazione è sfumata. E la scorta in strada è pronta ad allontanare bruscamente giornalisti troppo insistenti, come si è visto il 6 maggio a Quinta colonna. Atteggiamento poco in linea con la Laura ansiosa di concedere a qualche organizzazione sociale l’appartamento che le spetterebbe: «Guardi che la Camera non è mica una onlus» è sbottato Gregorio Fontana, questore del Pdl, spiegandole i problemi giuridici dell’appalto umanitario.
Poco male. Se non riesce a promuoversi con le Istituzioni, Boldrini lo fa con altri mezzi. Ha dovuto sospendere i blog su Huffington Post e Repubblica.it, ma oltre a Facebook e Twitter ora l’aiuta il suo libro Solo le montagne non si incontrano mai, appena uscito per la Rizzoli. È la storia di un ricongiungimento familiare orchestrato dalla ex portavoce Unhcr tra Murayo, ragazza somala adottata da italiani, e il suo vero padre che vive in un campo rifugiati. Laura sorride accanto a Muravo dalla quarta di copertina. Con la giacchetta nera da 15 euro che l’operatrice umanitaria ha ora passato alla presidente della Camera.