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 2013  maggio 22 Mercoledì calendario

DELUSE LE SPERANZE DI TORTORA

Guardi come funzionino i tribunali lo so bene: ci ho abitato dentro per otto anni, dal 1945 al 1953 ho abitato dentro quello di Monza». Raffaele Della Valle, 74 anni, avvocato, parla con cognizione di causa di giustizia: prima di una carriera brillante, ancora bambino, gli bastava uscire dall’alloggio di servizio del padre, Gaetano, procuratore generale nella città brianzola, e trovarsi in qualche aula. «Mi affacciavo alla balconata interna al tribunale e sentivo le arringhe dei grandi avvocati d’allora, Giovanni Maria Cornaggia Medici, Antonio Greppi».

Della Valle, per anni liberale, fu uno di quelli che credette alla rivoluzione di Silvio Berlusconi, liberale appunto, andando in parlamento nel 1994 e occupandosi di giustizia. Il feeling col Cavaliere si interruppe presto, tanto che tornò alla professione forense. Ma la tensione alla «giustizia giusta», come dicevano i Radicali che si battevano per il suo assistito, Enzo Tortora, non è mai venuta meno.

Domanda. Avvocato, gli anni trascorsi da quell’incredibile vicenda, sembrano un po’ passati invano, non le pare?

Risposta. L’altro ieri sono andato sulla tomba di Tortora, al Famedio di Milano e ho riguardato il suo monumento funebre, una colonna che reca una scritta forte: «Perché non sia un’illusione». C’eravamo illusi di cambiare la giustizia.

D. Perché illusi?

R. Nel 1983 aveva segnato i punti fondamentali: la lentezza del processo, l’eccessivo ricorso carcerazione preventiva, il perverso combinato disposto del rapporto fra media e pubblico ministero che creava miscela devastante, col mancato rispetto segreto istruttorio, per cui gli atti venivano depositati in edicola e non in cancelleria. E poi c’era la credibilità del pentito o di chi chiamava in correità. E c’era il problema delle carceri che non erano in grado di recuperare soggetti.

D. Trent’anni dopo è tutto come allora?

R. Mutamenti solo formali: la carcerazione ha cambiato denominazione. Oggi c’è la più soave custodia cautelare, che pare persino una bella cosa. La lentezza rimane. Per contro si arriva all’assurdità di allungare i termini di prescrizione. Il segreto investigativo è sempre più di pulcinella, violato costantemente: siamo arrivati al punto che gli ordini di custodia cautelare vengono eseguiti all’ora in cui va in onda il tg.

D. E anche le carceri non sono messe benissimo_

R. Fatiscenti, ci sono problemi igienico-sanitari enormi, oltre a tutto il resto. Mi domando come le Asl possano continuare a non intervenire, per vedere se sono agibili igienicamente. Ho un cliente che mi dice di non dormire la notte, per gli scarafaggi. Luoghi inutilmente afflittivi.

D. Niente di positivo in questi anni, quindi?

R. Elementi illusori: il processo si è ammodernamento, ci vantiamo di dire in un sistema tendenzialemente accusatorio ma in realtà è ancora inquisitorio.

D. Ma scusi, non si diceva che la prova si forma durante il processo, nel dibattimento? R. Lo può dire chi non frequenta le aule. Certo, sarebbe bellissimo, ma presupporrebbe un processo in tempi brevissimi. È tutto come prima, solo che il pubblico ministero sente il testimone chiamandolo persona informata sui fatti. Quella parla con una certa emozione, insicurezza, riferisce circostanze su quella scorta. Poi quattro anni dopo, quando magari è più sicuro o i fatti gli sono chiariti e dice il contrario: il pm si alza e gli contesta la contraddizione.

D. E il testimone che fa?

R.Nove volte su dieci dice: «Se ho detto così, vorrà dire che sarà così».

D. E la custodia cautelare non pare migliorata.

R. Esatto. Si dice che vi si può ricorrere quando c’è il rischio di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato, di fuga, sì ma in concreto. Bisognerebbe trovare un indagato all’aeroporto col passaporto in mano. Oppure mi spieghi, come fa, poniamo, un imprenditore, sputtanato in tutto il mondo per uno scandalo, a ripetere quella condotta? E capisco pure la necessità di difendere le prove: ma per venti giorni, un mese, non per un anno.

D. Quindi anche il tribunale delle libertà_

R. È il vecchio tribunale del rigetto. Un po’ perché i giudici non hanno tempo, un po’ perché sono diventati, diciamolo, più giustizialisti. E respingono. E un’altra edulcorazione dei termini è quella sull’assoluzione che deve essere «oltre ogni ragionevole dubbio».

D. E invece?

R. Una formula. Prenda il delitto di Garlasco (Pv) (dove un giovane era accusato di aver ucciso la fidanzata, ndr). Dopo due sentenze assolutorie in primo e secondo livello, saremmo andati oltre ogni ragionevole dubbio o no? E invece in Cassazione si ribalta tutto.

D. Avvocato, ma perché non si è fatto niente in tutti questi anni? Le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi quanto hanno pesato?

R. Certo hanno peggiorato la situazione. Ma il problema nasce prima.

D. In che senso?

R. Nasce dagli anni ’70 quando la politica ha delegato alla magistratura ogni soluzione del terrorismo, poi della mafia, poi negli anni ’90 della corruzione politica. Se un potere è incapace di agire e scarica sui giudici dopo è difficile tornare indietro. Hanno chiamato Giancarlo Caselli per il terrorismo, Antonio Di Pietro per la corruzione politica. È cambiato il Dna dei magistrati, capisce? Hanno assunto funzione di bocca della legge, delle élites che sono divenuto poi corporazioni che hanno prodotto nomenclature in grado di di difendere ma anche di promuovere il proprio potere. Da ordinamento, la magistratura è diventata un potere.

D. E la discesa in campo di B_

R. La discesa in campo ha accentuato la conflittualità. Come se il problema della giustizia oggi fosse il falso in bilancio: che me ne frega del falso in bilancio? Ci vogliono uomini, mezzi, provvidenze perché la giustizia non sia lenta e sia effettiva.

D. Giorni fa un suo collega, l’avvocato Maurizio Paniz, notava però che non tutti i tribunali sono uguali, alcuni efficienti altri no.

R. È un problema anche di uomini, chiaro. Ci sono capi di uffici giudiziari che, alle 8,15, sono al lavoro e i loro magistrati arrivano alle 8,30. Ho processi nel Centro Italia in cui c’è voluto un anno e mezzo per l’udienza preliminare e un avvocato ha ottenuto un rinvio di cinque mesi per la morte della sua suocera. Certo, dipende dagli uomini. A Monza non ci sono quasi arretrati, e anche Milano funziona bene il penale, per esempio, ma il civile meno. E ricordiamoci che la mancata efficienza civile incide sul penale: perché è chiaro che, chi non riesce ad avere giustizia, ricorre a mezzi più sbrigativi.

D. Come se ne esce?

R. Una grande convenzione sulla giustizia. Perché non è né di destra né di sinistra, la giustizia. Gente preparata che conosca davvero i tribunali e non per sentito dire. Perché qui c’è da rimediare a un legislatore che nel tempo è stato schizofrenico_

D. Per esempio?

R. Basta un fatto di cronaca a cambiare una norma. Dopo la sentenza di Rugger Junker (il giovane che uccise a Milano la fidanzata, libero dopo 10 anni, avendo patteggiato ndr) hanno tolto il patteggiamento in appello. Prima su otto processi, cinque si concludevano in quel modo. Era uno sfiatatoio e non era automatico: ci doveva essere l’accordo del Procuratore generale e della corte. In questo modo, inevitabilmente, tanti processi vanno verso la prescrizione.

D. In questi casi però si invoca la certezza della pena_

R. Si ma i benefici stanno all’interno di questa certezza. Invece si va nei salotti di Bruno Vespa, si fa parlare lo psicologo e, sull’emozione, si fa una legge. Che resta per 40 anni magari. Ma prenda il reato di usura: escluso dal condono. Vale a dire si possono condonare tre anni a un omicida, ma a uno che ha usurato 5mila euro, no. Idem il palpeggiamento, ovvero il vecchio atto di libidine. E poi quei benefici sono ciò che riescono a evitare il caos nelle prigioni.

D. E cioè?

R. Se i detenuti non avessero la speranza di vedersi ridotti i loro anni di pena per buona condotta, come crede che potrebbero sopportare simili condizioni. Le carceri sarebbero una polveriera. A mantenere l’ordine non è la polizia penitenziaria ma la speranza di uscire.

D. Lei dice che le leggi nascono dall’emotività_

R. Le faccio un esempio: il terribile delitto di Milano, del ghanese picconatore. Ho sentito Angelino Alfano andare in tv, a dire che la pena sarà esemplare. Ingenerando nei parenti delle vittime e nella pubblica opinione l’idea che ci possa essere un ergastolo. Ma se verrà fuori, come è possibile, una perizia psichiatrica che mostrerà come quell’uomo non fosse capace di intendere e di volere, poi cosa andremo a dire a quel povero padre? Da anni si legifera sotto l’impeto delle emotività e non sotto l’imperio della ragione.

D. Ripeto. E Berlusconi? Senza una soluzione politica, lei crede sia possibile? C’è una sentenza imminente.

R. Guardi, se si riferisce il processo Ruby, dalla requisitoria dalla dottoressa Ilda Boccassini, che ho seguito, non mi pare ci siano elementi penalmente rilevanti. Non parlo da un punto di vista morale ovviamente. Ma penalmente, non c’è una minore che abbia confermato i rapporti e se si pensa che un funzionario, per il solo fatto di ricevere una telefonata seppure dal capo del governo, sia pronto a violare la legge... E guardi io, a Berlusconi, da molti anni, non lesino critiche.

D. Quindi lei dice che il governo potrebbe occuparsi anche di giustizia_

R. Pdl e Pd possono farlo, in 18 mesi. C’è da rifare il Codice Penale, ci sono fattispecie di reato nuove da introdurre, Internet per esempio, che è diventata un Far West. C’è il problema di ospitare i folli: tanti, oggi, non possono essere neppure ricoverati e le conseguenze si vedono. Ci vuole la riforma del buonsenso, riacquistare il Dna garantista, ma non del garantismo peloso.

D. E dei magistrati che si può dire?

R. La generazione nuova dei magistrati risente di una cultura giustizialista. Parlo dei gip che spesso non sono terzi nel processo. C’è troppa continuità coi pm. E oggi gip e gup sono il vero motore del giudizio.