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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

ROMA SCAPOCCIA

Roma. Il sindaco uscente non si vede. Di settimana in settimana, è slittato il suo comizio elettorale con Berlusconi a Tor Bella Monaca. C’è da capirlo, Gianni Alemanno: nel 2008 l’irrequieto VIII Municipio gli aveva consegnato il 59 per cento dei voti, ma alle politiche di febbraio Torbella e dintorni hanno più che dimezzato i consensi del Pdl, mentre i Cinque stelle sfiorano il 35 per cento e Ignazio Marino guadagna terreno. La rabbia rende mutevoli gli umori della città, soprattutto in borgata. Viene atteso inutilmente anche a un convegno organizzato da certi suoi amici che minacciano di risolvere il disagio giovanile con il coaching, metodo americano che libera le potenzialità individuali e fa la differenza. Anche in questo caso c’è da capirlo, Alemanno: con tutti i guai di Roma, il coaching serve poco.
Ma eccolo finalmente al cinema Aquila del Pigneto, dove incontra i rappresentanti delle aree ex abusive di Roma in attesa di un recupero urbanistico. Arriva un po’ in ritardo e mica saluta. Dice: «Allora?». Brusco e cameratesco. Nel completo scuro da sposino sulla torta, sembra più giovane dei suoi 55 anni: non molto alto, scattante, scontroso. E mastica, forse una gomma. Ascolta un po’ distratto gli interventi: un paio di sbadigli, nessun picco emotivo da capopopolo in tournée. Il presidente della Commissione urbanistica Marco Di Cosimo, sembra più popolare, qualcuno fa la battuta: gli darà il voto, ma disgiunto. Il sindaco ridacchia, ma sempre con quell’aria incazzosa. Comunicativa zero, altro che 2.0 come il suo blog. Fa un discorso sulla partecipazione, il rapporto con la ggente. E addio.
Nonostante le buche per strada e il traffico surreale, l’emergenza rifiuti e le discariche a cielo aperto, l’incuria, gli abusi edilizi e i manifesti elettorali con delle facce spaventose, Roma, in primavera, è bellissima. E, in periferia, ancora più selvaggia del solito. L’erba alta e le frasche assediano le strade, che in poche decine di metri diventano viottoli e si infiltrano nella terra di nessuno fra un quartiere e l’altro, dove la metropoli diventa una trama slabbrata di cemento, pozzanghere, ipermercati e ruderi meravigliosi dell’Agro romano.
Tor Bella Monaca, appunto. Borgata difficile. Negli Ottanta, le hanno riversato addosso torri da quindici piani e lunghi palazzoni per dare un tetto a chi non ce l’aveva. Uno degli ultimi esempi di edilizia popolare, neanche mal concepito. Ma gestito malissimo, a partire dall’attribuzione degli appartementi, che in barba alle graduatorie sono stati in buona parte occupati. Non è stato neanche pagato l’esproprio alla famiglia dei conti Vaselli. Un debito da 75,8 milioni di euro, 22 dei quali pagati nel 2007 dalla giunta Veltroni. Ne restano 55: questo è il problema. Da risolvere facendo cassa con l’ulteriore cementificazione del quartiere che, sebbene remoto e degradato, diventa appetibile grazie al futuro arrivo della metropolitana e alle opere viarie che lo collegheranno all’università di Tor Vergata e al nuovo policlinico.
Così il 12 agosto 2010, nella mondana cornice di Cortina Incontra, Alemanno ha annunciato i suoi progetti neroniani di radere al suolo le torri e riedificare Torbella più bella e più grande che pria. Molto più grande che pria: al Comitato di quartiere, Francesco Montillo, che ha fatto la tesi di laurea sui progetti di riqualificazione della zona, mi spiega che per ogni appartamento abbattutto ne verrebbero costruiti tre: uno per i vecchi inquilini e due messi sul mercato. Mi dice anche che solo nella prima area interessata del progetto gli abitanti passerebbero da 2500 a 7500 e che lo sviluppo edilizio non più in verticale ma in orizzontale si mangerebbe altri 170 ettari di area agricola, sempre dei Vaselli.
Luciano Iallongo, sindacalista delle Associazioni inquilini e abitanti mi dice invece che il concetto di partecipazione popolare predicato da Alemanno è un po’ strano: «Ha raccolto 500 firme suonando a casa delle vecchiette e chiedendo loro se volevano una casa più bella: quelle chiaramente hanno risposto di sì. Così poi ha dichiarato che il novanta per cento degli abitanti, che sono circa 28 mila, è favorevole alla riqualificazione. Noi di firme contro il masterplan ne abbiamo raccolte 1500». La contrarietà popolare e anche del Consiglio comunale, che ha bocciato la delibera, è venuta fuori denunciando qualche incongurenza. Per esempio, Alemanno profetizza il crollo delle torri per fatiscenza, ma l’Ufficio stabili pericolanti del Comune non è dello stesso avviso: solo due edifici, l’R3 e 1TR15 hanno bisogno di risanamento, ma chissà perché il piano prevede di abbattere prima di tutto l’R 8, che non ha seri problemi se non quello di essere più vicino alla futura stazione della metropolitana.
La domanda è ingenua: chi comprerebbe un appartamento a prezzo di mercato in un quartere comunque lontanissimo che, seppure riedificato, dovrà sempre fare i conti con il disagio, lo spaccio, la criminalità? Montillo, autore di un progetto di sviluppo alternativo che prevede una fattoria sociale invece di nuove palazzine, dice che la questione non va più posta così: «Ormai non si costruisce per vendere, ma per avere capitale immobile che consente di chiedere prestiti alle banche. Il mercato è fermo, ma se non si continua a cementare salta tutto. L’immobiliarista Roberto Carlino, quello che non vende sogni ma solide realtà, già presidente della Commissione ambiente in Regione, ha costruito cinque palazzine a Rocca Cencia, davanti a uno stabilimento della Nettezza urbana. Per via della puzza non le voleva nessuno, così le ha vendute al Comune a 2600 euro al metro quadro, quando in zona il prezzo di mercato si aggirava tra i 2000 e i 2400. Un po’ cara, come ediliza popolare».
Faccio un giro con Sandro Medici presidente del X Municipio dal 2001, ovvero dai tempi di Veltroni. Oggi si candida sindaco con Repubblica Romana, compagine di sinistra da Rifondazione ai Pirati. A Medici, Alemanno ha appena scippato il suo vicepresidente Pd Massimo Perifano, infilandolo nelle sue liste. C’è rimasto male.
Andiamo prima a vedere un insediamento di 150 Sinti, italiani, sgomberati nel 2008 dall’ex mattatoio di Testaccio: sono posteggiati con i loro camper scintillanti lungo uno stradone alle spalle di un centro commerciale. Il deserto: unico intervento urbanistico, una recinzione di spartitraffico incemento. «Con tutti i soldi della recinzione ci costruivi una casa» commenta Medici. Sui manifesti Alemanno si compiace del suo piano nomadi. Beh, insomma. Sulla via di Ciampino, il campo modello la Barbuta è annunciato da una distesa di rifiuti: «Eh, prima o poi li leveranno» prevedono i guardiani di Risorse per Roma, società in house, si dice così, del Comune che ha assorbito le guardie giurate dell’Associazione nazionale combattenti: rischiavano la disoccupazione ed erano andati a protestare sul Colosseo. Lo sguardo dei guardiani sui Rom è quello che è: «Ha visto che belle casette? Pare un villaggio turistico. Io a casa mica ce l’ho l’aria condizionata, il guaio è che questi nun se integrano». Il villaggio turistico di 160 prefabbricati sembra un campo di lavoro, è costato 10 milioni di euro e verrà giù molto prima di Tor Bella Monaca. Medici ripete: «A chi conviene impiantare i campi invece di dare le case?».
Va bene. Parentopoli. I picchiatori in Comune. La nevicata dello scandalo. Gli allagamenti. La carenza di asili nido. Certe idee balzane come le bighe al Circo Massimo, la Formula 1 all’Eur e le Olimpiadi, o il divieto di comprare cornetti la notte, di vestirsi da prostitute, di manifestare, se non il sabato. Il razzismo e l’omofobia repressi meno dell’accattonaggio, i proclami altisonanti e le marce indietro da cui il soprannome Retromanno. La colpa di ogni insuccesso attribuita all’ostruzionismo dell’opposizione. Insomma, Gianni Alemanno ha fatto qualcosa di buono? Medici, che non è tenero neanche con il piacionismo e la supponenza di Veltroni, sospira: «Beh, si è occupato dei padri separati».
Per il resto? «Ha sprecato un’occasione strepitosa per la destra. Poteva dimostrare che non erano improvvisati, ma hanno subito chiarito di non avere alcuno spirito istituzionale: clientelismo peggiore di quello della vecchia Dc e brutalità nelle repressioni più gratuite. Quel che rimane della giunta Alemanno è l’incapacità: come minimo, un sindaco deve occuparsi dei tombini intasati dalle foglie, degli alberi da potare e delle scuole pericolanti». E poi, da presidente di Municipio, Medici condanna la sordità di Alemanno al territorio, il pregiudizio ideologico nei confronti dei minisindaci di diverso colore politico, l’aver brandito come una clava il debito comunale, ma anche il sentimento di insicurezza, che è stato il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale. «Ha rinunciato alla pedagogia sociale, primo impegno di un buon amministratore. Ha gridato contro i Rom e non si è accorto che si ricostituiva la banda della Magliana».
A Roma non si governa senza il favore della curia e dei costruttori. Ma né la Chiesa né i palazzinari devono essere tanto soddisfatti se 50 mila persone sono iscritte nelle liste d’attesa per un alloggio popolare, e se ne sono stati consegnati meno di duecento. E sul fronte degli indignati, l’insoddisfazione diventa rabbia davanti alle 51 mila nuove case invendute e ai 140 mila appartamenti cronicamente vuoti che, secondo Medici, il sindaco può requisire per legge, concordando un giusto affitto. Sono andata in un’occupazione organizzata dai Blocchi precari metropolitani in un residence nuovo e bruttissimo sulla Tiburtina. Un occupante sui trent’anni dice che è la prima volta che dorme da solo con la moglie. Un ragazzo mi porta a visitare la stanza dove vive con la sua giovanissima compagna e il bambino che hanno appena avuto. Sono stati sfrattati prima del parto. La camera ha un letto enorme, un armadio, un tavolino e una poltrona. C’è anche il bagno e un minuscolo angolo cottura. Anche qui, come in un villaggio turistico.