Vittorio Zucconi, D Repubblica 18/5/2013, 18 maggio 2013
LA STANZA DEI GIOCATTOLI SBAGLIATI
Il mio primo ricordo è il padre che entra nell’appartamento al piano terreno di una villetta a Modena trascinando, un po’ curvo, una biciclettina con le rotelle. Avevo quattro anni. L’età alla quale Kristian ha ricevuto per il compleanno il suo primo, vero fucile e ha ucciso la sorella di due anni, Stephanie. Quando la notizia di questa tragedia è uscita dalle cronache locali della Contea di Cumberland, nel Tennessee più rurale, un brivido di orrore, e poi di sbigottimento, ha percorso il mondo intero. Ne hanno scritto e narrato tutti i media, dal Giappone alla Lituania, facendosi le stesse, eterne, inutili domande che ci facciamo in questi casi. Come è possibile produrre fucili in miniatura disponbili anche in rosa per per femminucce, ma capaci di sparare proiettili veri calibro 22, piccoli, e perfettamente letali nelle brevi distanze? Quale azienda di dementi, quale nazione abbagliata dal culto delle armi possono mettere un attrezzo concepito per nessun altro scopo che sia quello di uccidere, nelle mani di bambini che hanno appena imparato a fare la pipì nel vaso e a portare la forchetta in bocca anziché ficcarla negli occhi (loro o degli altri)?
Ma io non riuscivo a non ripensare alla mia prima bicicletta con le rotelline nella villetta alla periferia di Modena e all’emozione che quel regalo avrebbe impresso per sessant’anni nella mia memoria.
Io pensavo a Kristian che a cinque anni ha ucciso la sorella in cucina, mentre la madre sciacquava i piatti, per sbaglio, per caso, forse per gioco, perché quel fucile chiamato Crickett, un po’ come cricket il grillo, un po’ come Crockett l’eroe del folklore americano, per lui era un giocattolo come la bici per me.
Gli psicologi dell’infanza discutono molto sull’età della memoria e non ci sono certezze assolute. Si legge in varie ricerche e studi che il tempo nel quale un’immagine, un evento, una persona si stampano nei circuiti del ricordi, varia. Che addirittura possa dipendere dalla cultura e dalla società nella quali cresciamo: due psicologi canadesi, nazione nella quale vivono molti immigrati dall’Asia, hanno scritto pochi mesi or sono che i bambini di cultura occidentale abbiano memorie infantili pìù lontane dei bambini di cultura orientale, forse per il diverso rapporto con i genitori, ma sono teorie.
Potrà mai, Kristian del Tennessee, dimenticare quello che ha fatto? Scenderà mai su di lui, bambino innocente trasformato in omicida per gioco, la benedizione dell’amnesia infantile, quella che cancella tanta parte dei nostri primi ricordi belli o brutti, come la spugna sulla lavagna, o come il tasto "canc" del computer se vogliamo essere più tecno?
Certamente, no. Non glielo permetteranno i genitori, i parenti, che forse non subito, ma certamente un giorno, lo porteranno sulla tomba di Stephanie. Resteranno tracce nella sua vita, o nei discorsi di grandi, di quella bambina di due anni che non c’è più. E se anche i conoscenti, le maestre, gli adulti in quella piccola comunità rurale cercassero di tessergli attorno una tela di silenziosa omertà e di bugie, spiegando la scomparsa della sorella più piccola con vaghi accenni a “incidenti”, a “disgrazie”, non mancheranno i compagni più grandi che a scuola diranno di lui: è quello che ha ammazzato la sorella.
Dovrebbe cambiare contea, Stato, essere portato lontano dalla casetta mobile di legno nella quale era nato e aveva sparato alla sorella, ammesso che il padre e le madre trovino di che vivere in un altro pezzo d’America.
Eppure non riesco a immaginare che nell’angolo della sua memoria, in qualche fondo dei suoi sogni e dei suoi pensieri, non dormano quei momenti pronti a risvegliarsi, il ditino che schiaccia il grilletto, il lampo della cordite che spara la pallottola, il rinculo dell’arma, la chiazza di sangue sul linoleum della cucina, le grida della madre, l’arrivo inutile delle sirene. E lui che probabilmente piange, lascia cadere lo schioppetto e dice non volevo, giocavo, giocavo. Due vite di bambini, una nel corpo, l’altra nello spirito, distrutte da un solo, piccolo proiettile calibro 22.
Se soltanto gli avessero regalato una bicicletta, anziché un fucile.