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 2013  maggio 18 Sabato calendario

BURGER BOOM

L’ultima mossa, ispirata da una furba strategia anticrisi, è stata uno sconto di 10 centesimi. Da qualche tempo, infatti, il panino base di McDonald’s (carne bovina, cetriolo, cipolle, senape e ketchup) costa 90 centesimi invece di un euro. Prezzo applicato rigorosamente nei 461 “negozi” (li chiamano così) italiani del gruppo. È il segnale che l’avversa congiuntura economica sta piegando il gigante mondiale del Fast Food? Sbagliato: mentre nel Bel Paese e un po’ in tutta l’Europa del sud i consumi alimentari segnano il passo il mitico panino inventato nel 1948 a San Bernardino, California dai due fratelli Dick e Mac McDonald’s continua a macinare quattrini. Lo conferma la situazione dell’Italia dove nel 2012 le vendite sono cresciute del 2,3% sfiorando 1 miliardo di euro.
«Tutto è prevedibile nel mondo del fast food», osserva Jesùs Rodriguez nell’inchiesta di copertina che El Pais Semanal ha dedicato al fenomeno dell’hamburger. «Tutto funziona come la check list di un pilota prima del decollo. A patto che tu fornisca quello che chiede il cliente: nessuna sorpresa. E cioè mangiare velocemente, a buon mercato, in un posto famigliare anche per il suo odore. Sei euro a testa, wi-fi e un giocattolo per il bambino. Cosa volete di più? È una ricetta perfetta in tempo di crisi». Se avete ancora qualche dubbio bastano poche cifre per fugarli. Le due icone aziendali del settore, vale a dire McDonald’s e Burger King controllano complessivamente 50 mila ristoranti in 120 paesi: 35mila la prima e 15 mila la seconda. Ma non è tutto. L’anno scorso, infatti, la sola McDonald’s ha registrato ben 25 miliardi di clienti (più di tre volte la popolazione mondiale), di cui 7 miliardi in Europa e 470 milioni in Italia.
Dick e Mac McDonald’s un successo così non l’avrebbero mai sognato. Eppure sono stati loro a porre le basi di una piccola rivoluzione perché erano insoddisfatti del vecchio drive-in di San Bernardino frequentato da ragazzi che passavano ore ai tavoli consumando qualche bibita. E così chiudono il locale per tre mesi allo scopo di modernizzare la gestione. Studiano le ricevute degli ultimi anni e scoprono che l’80% dei clienti viene da loro per mangiare hamburger.
A quel punto scoppia la scintilla. L’intuizione, come avrebbero raccontato in seguito, fu «vendere grandissime quantità abbassando i prezzi e facendo in modo che i clienti si servissero da soli». Il passo successivo fu dunque l’adozione del self-service e l’eliminazione dei camerieri. Ma soprattutto i fratelli “industrializzarono” il servizio: cucina a vista, una griglia per gli hamburger di 184 centimetri invece di 92 e un taglio al menù che si limitò a nove tipi di hamburger “preconfezionati”.
I risultati della nuova gestione furono strabilianti: i clienti facevano a gara per sedersi a quella tavola veloce che oltretutto piaceva ai bambini. Se aggiungiamo che in seguito i McDonald’s avrebbero introdotto il franchising e si sarebbero costruiti da soli delle cucine veloci e ultramoderne, possiamo concludere che già allora erano state gettate le basi dell’espansione futura. Lo slogan era semplice: lo stesso hamburger con la stessa qualità in tutte le parti del mondo. Un metodo, per alcuni un ideologia, che avrebbe finito con identificare McDonald’s con il modello di vita americano.
L’espansione fu impetuosa. Nel 1979 McDonald’s sbarcò in Francia, un anno dopo arrivò a Madrid e nel 1986 aprì i battenti in Italia, a Bolzano. Era solo l’inizio: la caduta del comunismo avrebbe schiuso immense praterie per il businness del panino: da Tirana a Mosca fino a Pechino e Shangai. Ancora nel 1991 si contavano 12 mila McDonald’s nel mondo, oggi sono quasi triplicati.
Tutto bene, dunque? Mica tanto. A partire dagli anni ’90 la grande catena comincia a suscitare una diffidenza crescente. Nel 1996 il sociologo George Ritzer pubblica un libro dedicato alla “macdonaldizzazione della società”, una critica severa del sistema occidentale. Due anni dopo è la volta del giornalista Eric Schlosser che scrive su Rolling Stones un reportage titolato Fast Food Nation, che collocava l’industria dell’hamburger allo stesso livello del traffico degli armamenti. Durissimo anche Super size me (2003), il docufilm di Morgan Spurlock che trattava il panino alla carne come un serio pericolo per la salute. A chiudere il cerchio fu José Bovè il contadino-sindacalista francese che il 12 agosto del 1999 è diventato famoso in tutto il mondo per essersi messo alla testa di un manipolo di agricoltori che assaltarano il cantiere di un McDonald’s in costruzione a Millau, nel Sud del paese. Se aggiungiamo la crisi della mucca pazza, che gettò un’ombra cupa su tutta l’industria mondiale della carne, il quadro è completo.
È dunque in questa cornice che il gigante del fast food precipitò nella crisi, anche economica. È passata alla storia l’esortazione che nel 2004 Jim Skinner, numero uno di McDonald’s, fece ai suoi: «Non siamo più credibili, è necessario agire, anche velocemente. Nel giro di poco dobbiamo diventare la catena di ristoranti con la migliore reputazione al mondo». Fra le misure prese in seguito non ci fu solo la decisione di aumentare il budget pubblicitario, ma anche quella di avvicinare il gruppo alla tradizione culinaria dei singoli Paesi. Una mossa che avrebbe avuto un peso sensibile in Europa. Ecco spiegata la scelta di puntare sulle insalate e sulla frutta per variare maggiormente i menù. Ed è proprio in questo campo che l’Italia ha avuto un ruolo di apripista. Il “panino della svolta”, quello che sarebbe stato imitato dai McDonald’s di tutto il vecchio continente, è stato McItaly un sandwich interamente riempito con ingredienti del Bel Paese: Asiago, crema di carciofi, olio extra vergine d’oliva e manzo. Un’operazione di marketing che provocò anche una spaccatura fra destra e sinistra, perché a sponsorizzare l’iniziativa fu l’allora ministro leghista dell’agricoltura, Luca Zaia. Al di là delle polemiche, però, rimasero i fatti. E cioè l’acquisto progressivo da parte di McDonald’s di tonnellate e tonnellate di prodotti made in Italy.
La via tracciata sarebbe poi stata seguita dalle nuove catene di nicchia dedicate al panino “gournet”. Come Ham Holy Burger, il “santo” hamburger che ha debuttato nel 2011 a Milano nella centralissima via Palermo e più recentemente è sbarcato anche a Roma. O come Ham Burger Bar lanciata nel 2006 a Madrid. Senza dimenticare il caso dello chef Daniel Boulud, tre stelle Michelin, che al DB Bistro Moderne di New York e al the Daniel Boulud Brasserie di Las Vegas offre il suo DB Royale Double Truffle Burger a 120 dollari. Ingredienti speciali: tartufo nero, foie gras, carne innaffiata nel vino, cipolla rossa e insalata riccia. Fino al super hamburger da 5mila dollari (manzo di Kobe, fegato d’anatra, tartufi francesi e di rigore una bottiglia di Chateau Petrus) offerti al Fleur de Lys di Las Vegas. Solo a chi ha sbancato il Casinò.
A certificare il momento magico del panino, però, alla fine non sono state tanto le follie dei super ricchi, quanto i redditi in contrazione dei “nuovi poveri”. È la crisi che sta trasformando l’hamburger per le famiglie di tutto il mondo, e per quelle europee in particolare, in un supporto indispensabile per i disoccupati, i cassintegrati e i poveri che non vogliono rinunciare al lusso di una serata al ristorante con tutta la famiglia. Per rendersene conto basta dare un’occhiata ai conti di McDonalds negli ultimi due anni. Ebbene, fra il 2010 e 2012, il fatturato mondiale è aumentato del 14,51% con un balzo da 24 a 27 miliardi di dollari mentre l’utile netto è aumentato del 10%, a poco meno di 5 miliardi e mezzo.