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 2013  maggio 18 Sabato calendario

VI PARLO DI SESSO

Naomi Wolf appoggia sul tavolino davanti al divano due tazze di caffè gigantesche. Una quantità di american coffee che lei, una della più note femministe contemporanee, ha appena preparato nella cucina aperta sul soggiorno. Sarà per questo che le tremano un po’ le mani? «Purtroppo ho fatto una brutta caduta e da giorni devo prendere calmanti per un dolore alla schiena», spiega lei per niente offesa dalla domanda invadente su quel tremore. D’altra parte c’è ben poco che non si possa chiedere a una donna che ha scritto 400 pagine sulla vagina. Compresa la propria. È una bellissima giornata di primavera e il sole è quasi abbagliante nell’appartamento dove l’autrice di Vagina, Una storia culturale (che esce in italiano per Mondadori il 21 maggio) vive un po’ con i figli, un po’ col suo compagno. Rosa, di 18 anni e Joseph, di 13 abitano metà con lei, metà col padre, l’ex giornalista del New York Times David Shipley. Il produttore cinematografico Avram Ludwig, con cui la scrittrice fa coppia fissa dopo il divorzio, mantiene un’abitazione separata, ma è spesso con lei qui o nella sua casa di campagna un paio d’ore a nord di New York. L’unico con cui la Wolf condivide a tempo pieno l’appartamento nel Greenwich Village è Mushroom, un affettuosissimo terrier più interessato alle coccole che ai dettagli sull’attività di mamma Naomi.
«Il mio lavoro quotidiano non è fare la femminista. Io sono una scrittrice di saggistica e una giornalista investigativa», precisa la cinquantenne Wolf, mentre Mushroom si riversa a pancia in su sul divano aspettando carezze. E intanto lei racconta della complessa tesi che sta scrivendo per completare il dottorato a Oxford.
«Sono tornata studentessa dopo 23 anni e ho avuto la fortuna di venire riammessa a Oxford», racconta la scrittrice che nel 1983, dopo essersi laureata a Yale, contava di ottenere una seconda laurea alla prestigiosa università inglese. Andò diversamente perchè la sua tesi prese una svolta inaspettata. «L’idea era di approfondire il desiderio sessuale come tema nella letteratura vittoriana quando le donne incominciarono a scrivere sul desiderio, tema ancora oggi difficile per una donna perché nella narrativa la seduzione avviene quasi sempre da parte dell’uomo». Una parte cruciale era l’esame accademico degli standard di bellezza imposti alle donne e la loro permanenza nonostante i passi avanti nella società e nelle sfere del potere.

Ed è lì che la tesi era felicemente deragliata, assumendo toni di denuncia appassionata, poco adatta al rigore imparziale preteso da una ricerca universitaria oxfordiana allergica all’attivismo ideologico. La “pasionaria” Naomi decise di trasformare la sua ricerca nel libro divulgativo Il mito della bellezza, che fu istantaneamente un best seller.
Da un momento all’altro, a 27 anni, la Wolf diventò uno degli autori americani internazionalmente più conosciuti e un nome di punta fra le intellettuali femministe del momento. «Questo libro è un chiaro segnale di una ripresa della coscienza femminista», scrisse Betty Friedan. «È un libro intelligente, acuto e rabbioso», giudicò Gloria Steinem invitando tutte le donne a leggerlo. «La più importante pubblicazione femminista da L’eunuco Femmina in poi», sentenziò Germaine Greer.
Non mancarono i detrattori. Camille Paglia accusò la Wolf di avere commesso errori nella sua ricerca storica e analitica. Una critica ricorrente riguardava i dati relativi ai casi di anoressia, disordine alimentare che per l’autrice è dovuto alle enormi pressioni sulle donne perché aderiscano a standard di bellezza irraggiungibili, con il conseguente perenne senso di inferiorità. Le opinioni polarizzate su Il mito della bellezza ebbero comunque l’effetto di alimentare la sua immagine di scrittrice controversa e provocatoria.
«Questa volta a Oxford mi sono imposta di attenermi a quello che devo fare per il dottorato», assicura la Wolf. La tesi esaminerà le leggi sull’oscenità nell’Inghilterra del Diciannovesimo Secolo e l’impatto che ebbero sulla rappresentazione dell’omosessualità nella letteratura. «Per il prossimo anno e mezzo mi dedicherò a questo progetto e il caso vuole che il mio relatore sia italiano, Stefano Maria Evangelista, professore al Trinity College, specialista di estetica vittoriana e studioso di Oscar Wilde. Solo successivamente trasformerò lo studio in un testo divulgativo, come ho fatto con i libri precedenti».
Nei ventun’anni fra Il mito della bellezza e Vagina Naomi Wolf ha pubblicato altri sei titoli, che hanno tutti fatto molto discutere. Nel 1993 uscì Fire with Fire, sottotitolo “Il nuovo potere delle donne, e come cambierà il Ventunesimo Secolo”. «In quel libro cercai di creare una distinzione fra femminista vittima e femminista che realizza il suo potenziale. Una distinzione da cui speravo scaturisse anche un nuovo termine con cui identificare il tipo di femminista nel quale mi riconosco. Ma quella differenza non prese piede. Ed eccoci qui tanti anni dopo, ancora a corto di un modo diverso con cui chiamare le donne come me, che si identificano nel femminismo dei diritti civili e della parità dei sessi. Una corrente che sta emergendo più nei paesi in via di sviluppo che nel mondo occidentale».
Quattro anni dopo fu pubblicato Promiscuities, un esame della trasformazione della sessualità negli adolescenti e un’analisi della scoperta del desiderio che nasceva dalla sua esperienza personale. «Martin ed io eravamo una coppia perfetta che rifletteva l’ideale liberal di sessualità adolescenziale responsabile», scriveva nel libro la Wolf riferendosi al ragazzo con cui perse la verginità a 15 anni. Passarono altri quattro anni e la scrittrice completò Misconceptions, che scardinò l’idea che la maternità sia esclusivamente un’esperienza felice. «I miei libri spesso nascono dall’osservazione della vita quotidiana. Dopo la nascita di mio figlio provai la depressione post parto e osservai su altre giovani mamme come la loro depressione cozzava con l’immagine dominante, che racconta le neo-mamme sempre felici e sorridenti».
Poi fu la volta di The Treehouse, un libro che tuttora le è molto caro in quanto è un omaggio al padre Leonard, un intellettuale ebreo di origini rumene, poeta e studioso di letteratura gotica (la madre era invece antropologa) che più di chiunque altro l’ha ispirata come donna, autrice e intellettuale: «Mi ha insegnato molto nella vita. Non soltanto come essere una brava scrittrice, ma anche come pensare in modo autonomo e non seguire mai regole arbitrarie».
È in quegli anni che la sua produzione letteraria accelera. In The End of America, del 2007, sottotitolo “Lettera di avvertimento a un giovane patriota”, analizza i «dieci passi» che vanno dal fascismo alla distruzione della democrazia (da agitare lo spettro di un nemico interno alla sospensione delle garanzie legali), e “l’avvertimento” è rivolto agli Usa nel sesto anno della lotta al terrorismo scatenato da Bin Laden: «Lo spunto venne da conversazioni con un’amica, figlia di ebrei sopravvissuti all’Olocausto. Mentre seguiva i fatti di cronaca politica continuava a ripetere che erano le stesse cose che i nazionalsocialisti avevano fatto in Germania: l’uso di strumenti legali per cominciare a sopprimere le libertà in una democrazia parlamentare moderna come quella tedesca negli anni Trenta.
Mi pareva che esagerasse, ma mi diede molti libri da leggere e cominciai a vedere inquietanti paralleli». Quasi un seguito, nel 2009, è Give Me Liberty, un esame storico delle lotte combattute a difesa della libertà che si offriva come un “Manuale del giovane rivoluzionario”. «Ci è stato fatto il lavaggio del cervello per farci credere in una falsa democrazia e in un falso patriottismo. E questo libro era un campanello d’allarme davanti a una situazione d’emergenza. Gran parte del libro dava consigli pratici per rimboccarsi le maniche e darsi da fare prima d’essere fuori tempo massimo».
Passano altri due anni, e con Vagina Naomi Wolf torna sul tema degli stereotipi sulla sessualità e sui generi sessuali da cui era partita. «Ho impiegato tre anni e mezzo a scriverlo perché ho condotto un’approfondita ricerca storica su questa parte del corpo umano, partendo dal presupposto che non è affatto scontato considerare la vagina come qualcosa di cui vergognarsi», racconta la scrittrice mentre Mushroom lascia il divano e si sistema sulla sua poltrona preferita, accanto al suo computer e alla pila di libri che Naomi Wolf sta leggendo: oltre a quelli per la tesi, un libro sul declino dell’impero britannico, una nuova biografia di Emma Goldman («un libro fantastico, eccellente») e il memoir Perché essere felice quando puoi essere normale? di Jeanette Winterson.
«Anche occupandomi della vagina ho seguito lo stesso metodo utilizzato nei miei libri precedenti. Tendo a fare analisi di temi e ideologie che vengono dati per scontati e uso una rigorosa ricerca storica mescolata a esperienze personali per esaminare idee e proporre un modo alternativo di vederle».
Per completare Vagina, ha letto tutto quello che ha trovato sull’argomento - riviste scientifiche, documenti storici, testi letterari - e ha fatto ricerca originale intervistando scienziati, medici, psicologi e anche molte donne. «Ogni giorno ricevo email da persone che hanno letto il mio libro. Esprimono riconoscenza, mi dicono che le loro relazioni intime sono migliorate dopo avermi letto. Oppure mi scrivono di avere abbandonato le loro relazioni perché si sono rese conto che non sarebbero mai state soddisfatte», prosegue la Wolf precisando che anche molti uomini hanno letto Vagina e le scrivono per ringraziarla. «Parecchi lettori mi contattano facendo riferimento al capitolo sulla pornografia. Mi dicono di avere fatto leggere il libro anche ai loro figli, per confrontarsi con l’assuefazione alla pornografia e al senso di vergogna che provano. E mi hanno scritto uomini impegnati in relazioni durature con donne, dicendo che prima non sapevano che cosa mancasse nel loro rapporto», conclude la Wolf prima di mettere Mushroom al guinzaglio per portarlo a spasso nel Village. «La soddisfazione maggiore però viene dalle lettrici che dicono di avere fatto leggere al marito o al fidanzato il capitolo su come si venera una donna: alcune stavano per separarsi, ma ora ricevono dal partner l’attenzione di cui hanno bisogno. Sono piccole cose che fanno molta differenza».