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 2013  maggio 21 Martedì calendario

CALCIO, I CLUB RIVEDONO LE PRIORITÀ

Il calcio della passione, quello di cui discutono sempre presidenti e manager, è molto semplicemente Carletto Muraro, attaccante esterno dell’Inter anni 80, e Giovanni Lodetti, tignoso centrocampista del Milan anni 60, che scherzano a pacche sulle spalle con sua maestà Luisito Suarez, regista della Grande Inter di Helenio Herrera.

I tre erano tra gli invitati al convegno «Il calcio che vogliamo», organizzato da Gazzetta dello Sport e Tim ieri a Milano.

E il calcio cui ambiscono i principali club italiani è fatto di squadre con stadi di proprietà, di minori oneri contributivi sui calciatori, di maggiori ricavi dalla vendita dei diritti tv all’estero. Da mettere nel cassetto, invece, la mitizzazione dei settori giovanili e del modello spagnolo, che si è rivelato una bolla di sapone. Respinte al mittente pure le analisi circa un calcio italiano in crisi: ha fatturati in crescita, nonostante la Penisola, da sette trimestri consecutivi, presenti un pil in calo.

Le 20 società di calcio in serie A hanno fatturato 1,640 miliardi di euro nell’esercizio 2011-2012, con una crescita sotto l’1% sull’esercizio precedente, accumulando perdite complessive per 290 milioni di euro e un debito oltre gli 1,5 mld. Solo otto società hanno chiuso con bilanci in utile. Tuttavia, spiega Giovanni Malagò, presidente del Coni, «il calcio è uno dei pochi settori che può dare sviluppo e occupazione».

Luigi Abete, presidente della Figc. «Il calcio italiano è in credito nei confronti del paese.

Ogni anno versa circa un miliardo di euro al fisco e riceve solo 62 milioni di euro dal Coni. Siamo sempre al quinto posto al mondo per spettatori allo stadio, nonostante le strutture fatiscenti. Magari fossimo in quella posizione come ricchezza paese, libertà di stampa, creazione di imprese ecc.».

Maurizio Beretta, presidente della Lega Serie A. «Noi intermediamo oltre un miliardo di euro all’anno (diritti televisivi), ovvero circa il 70% dei ricavi del calcio italiano. Il valore dei diritti del calcio è cresciuto, sempre, anche in anni in cui il pil italiano è arretrato. Il calcio, quindi, crea valore, produce ricchezza. Certo, si deve lavorare sugli stadi, ma bisogna ricordare che, per esempio, il modello inglese nasce da una legge che per otto anni destinava alla costruzione di nuovi stadi una parte cospicua presa tassando il mondo delle scommesse. La costruzione degli stadi non si può lasciare solo sulle spalle delle singole società. E con gli stadi di proprietà si sviluppa anche il merchandising».

Giampaolo Pozzo, patron dell’Udinese. «Da quattro anni consecutivi abbiamo un utile di bilancio. Non siamo, tuttavia, un esempio da seguire per tutti: le grandi società devono operare diversamente. Il Real Madrid, per esempio, aveva ricavi per 200 milioni. Poi ha deciso di investire 100 milioni su Christiano Ronaldo, e il fatturato è cresciuto a 500 milioni di euro.

Ci sono modi differenti per sviluppare il business. L’Udinese deve fare l’artigiano. Nulla di spettacolare, gestiamo la società in modo corretto, con una contabilità sana, la ricerca di uno staff all’altezza. Fatturiamo 40 milioni di euro, una goccia nel mare del calcio italiano che ne vale 1,7 mld. In tanti parlano del settore giovanile come della soluzione a tutti i problemi. Non è così. Sono patron dell’Udinese da 27 anni. Abbiamo sempre curato il settore giovanile. E in Friuli sono usciti solo due onesti giocatori, Donati e Padoin. Poca roba. Avessi investito sul settore giovanile, e quando si fa seriamente costa almeno 10 milioni di euro all’anno, avrei speso 270 milioni di euro in 27 anni per tirare fuori Donati e Padoin. È questione di stimoli, che in Cile e Colombia i ragazzi hanno, in Italia molto meno. I giovani, da noi, stanno bene, hanno altri interessi. Per lo stadio l’Udinese ha risolto i problemi, con un investimento di 30 milioni di euro di cui 20 ce li presta il credito sportivo. Quanto, invece, alle necessità di fare crescere i giovani, una soluzione sarebbe la possibilità di avere altre squadre in Italia, per fare giocare i nostri calciatori. Invece è vietato, e noi siamo stati costretti ad acquisire partecipazioni all’estero, nel Granada in Spagna e nel Watford in Inghilterra, per dare visibilità ai nostri 120 calciatori. Infine, sento spesso parlare a vanvera del modello spagnolo: i giocatori, là, si comprano ancora con le cambiali, le società non pagano né gli stipendi, né i contributi, falliscono, ma continuano a giocare. C’è poco da copiare, insomma».

Andrea Agnelli, presidente della Juventus. «Sui diritti tv si può fare qualcosa. La Premier league inglese incassa dalle tv circa un miliardo di euro per i diritti nazionali, un po’ come la Serie A italiana. Per i diritti internazionali, però, la Premier riceve 1,5 mld, mentre le squadre italiane appena 100 milioni. Molto poco. Peccato, poi, che in Italia non siano ammesse le squadre B, come in Spagna, sarebbero molto utili».

James Pallotta, presidente As Roma (e nel consiglio dei Boston Celtics). «Gli stadi fanno crescere molto i ricavi. I Dallas Cowboys, per esempio, incassano 10 milioni di dollari all’anno solo dalle visite di turisti allo stadio. Con lo stadio di proprietà si sviluppa anche il merchandising, c’è più sicurezza (con il controllo facciale), si hanno spettatori paganti anche durante gli allenamenti della squadra allo stadio».

Adriano Galliani, vicepresidente e a.d. Milan. «Il Milan ha chiuso l’ultimo esercizio con 6,8 milioni di perdite e 7,2 milioni pagati in Irap, quella che io chiamo la Imposta rapina. Senza questa, saremmo stati in utile. Nell’anno solare 2012 abbiamo avuto 276 milioni di ricavi e 53 milioni di plusvalenze (compravendita calciatori). Ormai siamo in pareggio strutturale, anche nel 2013. Per averlo una società deve riuscire a contenere i costi di stipendi e di ammortamento giocatori al 70% dei ricavi. E con questa ricetta si va in pareggio di sicuro. Sono felice per la qualificazione del Milan in Champions: c’è una differenza enorme tra Champions league, che ha un fatturato di 1,450 mld di euro, e l’Europa league, che invece vale solo 240 milioni di euro».

Marco Fassone, direttore generale dell’Inter. «Siamo molto indietro sul nuovo stadio. Servono 250-300 milioni di euro. Prima dobbiamo trovare le coperture, e ci vorrà almeno tutto il 2013 per recuperare i soldi. Solo dopo si partirà con la fase progettuale».

Claudio Lotito, presidente della Lazio. «Mah, sulla faccenda degli stadi di proprietà sono scettico. La Juve, ok, ha triplicato i ricavi dello stadio grazie allo Juventus stadium. Ma parliamo sempre di cifre piccole, 15 milioni di euro, una goccia nel mare. Credo che si risolvano più problemi con il salary cup e una moralizzazione complessiva del nostro mondo».

Marco Patuano, amministratore delegato di Tim. «Noi investiamo alcune decine di milioni di euro sul calcio italiano ogni anno. E lo facciamo da 15 anni. Un periodo molto lungo. Tuttavia per noi questo progetto continua ad avere un senso: non solo per la visibilità, ma soprattutto per l’engagement, la relazione col pubblico allo stadio e sui campi minori, all’oratorio, in tutti i luoghi dove si gioca per divertirsi».