Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 21/5/2013, 21 maggio 2013
ITALIANI, IL 30% È DISPERATO
S’è occupato spessissimo di felicità, Enrico Finzi, classe 1946, milanesissimo, presidente di Astra ricerche, guru della sociologia patria. Nel 2008, il suo «Come siamo felici» (Sperling & Kupfer) indagava quale fosse il percorso misterioso che guidava gli italiani a una contentezza maggiore di altri popoli.
Oggi, con il monitor mensile realizzato dai suoi ricercatori, scandaglia le nostre idee collettive sulla realtà e su come noi la percepiamo, registrando che il mood italico peggiori di anno in anno.
Domanda. Finzi, a che punto è la notte in cui ci siamo infilati con questa crisi?
Risposta. È obiettivamente tremenda.Il rilevamento mensile che facciamo, l’ultimo è del 2 maggio scorso, su un campione di italiani dai 18 anni in su ci restituisce riscontri effettivamente preoccupanti.
D. Del tipo?
R. Beh, intanto il 70% dei quelli che abbiamo sentito ci ha detto che la propria condizione è «negativa o pessima». All’interno di quest’area, 30 su cento si dichiarano «disperati», cioè in difficoltà a gestire alcuni bisogni primari ma anche un vulnus improvviso che esce dall’ordinario, come una multa, un tac da fare con urgenza e quindi a pagamento. Insomma, non ce la fanno.
D. Tendenza crescente, immagino...
R. Esatto, solo tre anni fa, l’area cosiddetta della disperazione era solo del 20%. Ma se vuole, il problema non è neppure questo.
D. Addirittura...
R. Certo, la questione chiave non è la difficoltà in se, pur grave, ma l’assenza di speranza, la malattia del futuro, la depressione.
D. Da quali dati ricava questo convincimento?
R.Per esempio, dal fatto che il 56% degli intervistati ci dica di prevedere un ulteriore peggioramento della propria condizione di qui a un anno, oppure che solo 18 italiani su 100, fra quelli campionati da Astra, credano nella cosiddetta recovery, cioè nella ripresa. Oppure che 73 su 100 si dichiari convinto che il default ci sia già stato, magari senza sapere esattamente di cosa si tratti, in termini economici e finanziari. Ora è evidente che siamo dinanzi a un fenomeno psicologico, culturale se vogliamo: nella per percezione di molti siamo usciti dal novero dei paesi avanzati, siamo finiti in Serie B.
D. Disperazione ma anche confusione, si può dire...
R. Infatti il 67% per cento, vale a dire due italiani su tre, non capisce cosa stia succedendo. Per usare un’immagine simbolica: siamo barchette in mezzo ai flutti ma anche nella nebbia.
D. Nocchieri al timone delle nostre vite ma in un passaggio oscuro...
R. Sì perché il 73% ci dice: «Ho perso governo sulla mia vita». La barchetta non pare facilmente timonabile...
D. Bruttissima crisi...
R. Che fosse peggiore dal secondo dopo guerra lo sapevamo. Non immaginavamo quanto fosse profonda, diffusa, ansiogena e incomprensibile. Di come fosse anche prolungata
D. E durerà, secondo lei?
R. Secondo me sì, ma questa è solo un’opinione, non sono un economista.
D. Finzi, però ora ci dia qualche segnale di speranza, se può...
R. Certo che ce ne sono. Questo Paese, per esempio, rivela un’attitudine alla resilienza.
D. Cioè la capacità di certi metalli che, subìta una pressione, non si spezzano e recuperano la forma precedente?
R. Esattamente. L’Italia resiste, secondo linee a mio avviso molto interessanti.
D. Ci dica...
R. Alcune sono banali, altre per niente. Fra le prime sta certamente il fatto che i nostri concittadini, non potendosi dedicare ai grandi piaceri, optino per i piccoli, che sono low cost e low price.
D. È il genio nazionale...
R. Sì c’è un microedonismo, fatto appunto di piccole cose, di piccole soddisfazioni, di corrispondenze minime ma significative che fanno andare avanti.
D. Epicurei in sedicesimo?
R. Non solo, perché, nella crisi, sta emergendo un’attenzione sempre più viva ai valori e agli ideali...
D. Non costano...
R. In parte, ma c’è anche il desiderio di porre una distanza da un’economia solo materiale che, per qualche minoranza, assume un carattere fortemente religioso. Il trionfo Papa Francesco rientra, per esempio, in questo bisogno di autorità di riferimento, positive e amichevoli. Insomma, si rovescia il luogo comune secondo il quale la crisi ci renderebbe tutti chiusi nell’egoismo. E questo ci potrebbe porterebbe a fare una considerazione di tipo più politico.
D. Prego...
R. Se ci fosse un’offerta politica con queste caratteristiche, capace cioè di fare leva su questa domanda, di intercettare questa tensione, potrebbe avere un notevole successo.
D. Il mercato pare un po’ debole al riguardo...
R. Sì anche perché c’è una crisi di leadership gigantesca, non solo istituzionale, di governo e che abbraccia molti ambiti. È abbastanza impressionante: nello sport, nella musica, nel cinema, nell’impresa paiono non esserci più leader.
D. Persino nello sport?
R. Facciamo un’indagine sulla tifoseria calcistica chiedendo quali siano i personaggi più amati e gli interisti sa cosa ci rispondono?
D. Non ho idea, è una squadra un po’ in difficoltà quest’anno...
R. Sì, ma ci dicono Mariolino Corso, Helenio Herrera. I milanisti ci dicono Gianni Rivera, Nils Liedholm. E nella religione...
D. Dicevamo del trionfo di Papa Bergoglio...
R. Sì, ma l’indagine di cui parlo è precedente alla sua elezione. La maggioranza ci indicava Giovanni XXIII e, per il resto, non moltissimi, Papa Woijtila. Non parliamo del cinema poi: i personaggi dichiarati amati sono morti da quel dì. Viaggiamo col collo torto all’indietro, ci mancano leader che sinteticamente rappresentino modelli, tensione progettuale. E la questione non riguarda solo la politica.
D. Sì ma i giovani almeno, ne saranno indenni...
R. Assolutamente no. In un’ importante ricerca su quelli fra 14 e 24 anni, in cui si chiedeva di indicare 10 personaggi amati e attraverso una domanda aperta. Bene: otto erano morti. E uno degli altri due era Nelson Mandela, cioè un signore ottuagenario. Lei capisce, se si continua a indicare Che Guevara e non Lady Gaga, qualcosa vorrà pure dire. C’è bisogno in ogni ambito di figure che esprimano lo spirito del tempo. Magari deluderanno, ma ora la domanda è forte.
D. E allora, per tornare alla politica, sarà per questo che piace così tanto Matteo Renzi, uno dalla leadership molto pronunciata...
R. Sì, infatti il sindaco di Firenze piace in modo trasversale e in misura quasi identica tra giovani, adulti e anziani, dimostrando che la «rottamazione» non ha affatto terrorizzato gli italiani più agées. Supposto che duri, Renzi, anche per una certa indefinitezza delle posizioni, risponde al bisogno di uno stile più innovatore, più leggero e meno burocratico. E poi, appunto, piace a destra e a sinistra, anzi in certe aree della sinistra e del suo partito non piace affatto.
D. E Beppe Grillo risponde alla stessa domanda di avere persone che ci guidino?
R. Il grillismo è un fenomeno simile ad altri che abbiamo conosciuto nella nostra storia politica e, essendo l’ultimo, gode di un vantaggio posizionale. Però, soprattutto negli ultimi giorni di campagna elettorale, ha messo insieme cose molto diverse, all’insegna dello schifo, della ripulsa per tutto. Mi passi un’espressione davvero poco sociologica...
D. Si figuri...
R. All’insegna di un gigantesco vaffa. Ma difficilmente riuscirà a farlo molto a lungo. Perché l’aggressività, che paga in una prima fase, lo fa molto meno a medio e lungo periodo.
D. E perché mai, se l’arrabbiatura permane?
R. Perché la gente è angosciata e la violenza verbale genera ansia. Lo strappo, la tensione non corrispondono al bisogno di una società «soft power» (potere leggero, ndr) e cioè più carezzevole e più vicina.