Massimo Calandri, la Repubblica 21/5/2013, 21 maggio 2013
LO SCHIANTO DI PASO E JARNO QUEL MALEDETTO GIORNO CHE CAMBIÒ IL MOTOCICLISMO
I piloti che spingono a testa bassa e poi balzano in sella. Il rombo dei motori, l’urlo dei centomila sulle tribune. Un frastuono che è musica, la sinfonia del più grande spettacolo del mondo. Solo che dura tutto pochi secondi. Il tempo di percorrere il rettilineo e impostare la Grande Curva. «All’improvviso è calato un silenzio nero. Il buio». Così ricorda, chi c’era: «È stato come una luce che si spegne. Per sempre». Quel pomeriggio a Monza sembra ieri, invece ieri erano quarant’anni. Venti maggio 1973: Roberto Gallina era in quarta fila, ma stava venendo su molto bene: «Era la mia specialità, la partenza. Mi porto sulla destra per superare il gruppo. Tutto il gas e niente paura, in quel punto ci arrivavi ai 220 all’ora. Però al momento di entrare in curva sento qualcosa di strano al motore. Perde colpi, forse è la candela. Mi rialzo un attimo. L’istinto, non so. Che succede? “Paso” mi passa davanti, sulla destra, si traversa». Renzo “Paso” Pasolini, 35 anni, perde il controllo della sua Aermacchi-Harley Davidson e si schianta contro il guard-rail che cingeva l’asfalto. Resta lì, a terra. La moto rimbalza all’interno. Falcia Jarno Saarinen, 28 anni, finlandese di Turku che guida una Yamaha. Si spegne la luce. Muoiono tutti e due: Pasolini e Saarinen, i più amati dal pubblico. “Paso”, formidabile romagnolo che sulle strade di casa era imbattibile, non aveva mai vinto un mondiale ma dicono fosse più forte di Giacomo Agostini. Un atleta che tirava anche di boxe, gli occhialoni da intellettuale. Un equilibrista, un poeta. Sposato con Anna, due figli. Quel giorno si era già arreso ad “Ago” nella classe 350, maledetta la solita sfortuna: un grippaggio proprio all’ultimo quando era in testa. Anche Jarno era tante cose – un ingegnere, un pilota nato, un impiegato nell’impresa di pompe funebri del padre, un vagabondo, un uomo perdutamente innamorato della bellissima Soila, che viveva con lui nella roulotte – ma soprattutto era un mago: guidava e inventava giochi di prestigio che hanno fatto scuola, come le entrate in derapata e il ginocchio a terra in curva. Lui Agostini lo avrebbe affrontato dopo questa gara delle 250, nella mezzo litro. «Sono passato in mezzo, con Dieter Brown e Mario Lega – continua Gallina -Dopo un po’ di strada abbiamo deciso di fare il giro per capire cos’era accaduto. E quando sono tornato in fondo al rettilineo c’erano le balle di paglia in mezzo alla pista, in fiamme. Il fumo nero, i piloti che scappavano a piedi». Un inferno. C’era anche Claudio Costa, lo storico dottore del motomondiale. «Non c’era niente da fare per “Paso”. Però ho provato a rianimarlo. Ho provato, provato ancora. Con tutte le forze che avevo. Al di là della logica, e della pietà. Poi sono svenuto». Jarno. «Ho abbracciato quello che restava di lui. Aveva un viso dolcissimo, non era più rimasto nulla». Erano caduti in dodici. Il dottore salvò la vita a Walter Villa e Victor Palomo.
«Ma la cosa non mi fece stare meglio », confessa oggi. Dicono che sulla pista c’era dell’olio perso nella gara precedente. Oppure no, che sia stata colpa di un grippaggio del motore di Pasolini. La verità è che quella pista era una trappola, una condanna già scritta. Neppure tre mesi dopo morirono – contro quel guard-rail – in tre: Carlo Chionio, Renzo Colombini e Renato Galtrucco. Anche loro nel “Paradiso dei piloti”, come lo chiama Mario Lega. Due settimane fa le moto ci hanno corso probabilmente per l’ultima volta: nella Superbike ha vinto Marco Melandri, però nelle altre categorie hanno sventolato per tre volte la bandiera rossa. La Dorna ha detto basta. Basta con i silenzi, a Monza.