Elena Dusi, la Repubblica 21/5/2013, 21 maggio 2013
IL BISTURI DEL DESTINO
UOMO, ma vuoi davvero conoscere te stesso? Il Dna ci ha mostrato l’alfabeto in cui è scritta la nostra natura. Messe insieme, però, quelle lettere rivelano un messaggio ancora simile al responso della Sibilla. Il sogno della genetica di spiegare e risolvere ogni malattia corre parallelo a quello delle cellule staminali, con la loro speranza di creare organi di ricambio per sostituire quelli usurati. Ma quel che la medicina oggi riesce a intravedere, non può ancora toccarlo con mano.
Un futuro in cui riusciremo a prevedere le malattie prima che compaiano? In cui potremo gettare nel cestino organi sani ma imperfetti dal punto di vista dei geni, sostituendoli con pezzi di ricambio ottenuti in laboratorio? Nel lasso di tempo che corre tra una promessa troppo bella per essere vera e la sua realizzazione si è trovata intrappolata — e come lei migliaia di altre donne nel mondo — Angelina Jolie.
Da un lato: la notizia di un probabile cancro al seno per via della mutazione di Brca, uno dei 20 mila geni che formano il nostro Dna. Dall’altro: una medicina che non sa ancora offrire certezza di guarigione. Lei ha deciso così di sradicare la paura insieme a un organo ancora sano.
«Viviamo una fase complicata» conferma Pier Paolo Di Fiore della Statale di Milano e del campus di ricerca Ifom-Ieo, uno dei massimi esperti dei legami fra geni e cancro. «La nostra capacità di prevedere e diagnosticare malattie aumenta in maniera esponenziale. Ma non altrettanto si può dire della capacità di trovare terapie risolutive».
Ecco allora l’“effetto Jolie” fare il giro del mondo. A Salt Lake City un’azienda fondata nel 1991 “per chiarire il ruolo dei geni nelle malattie umane” registra il boom delle azioni: più 11% dall’annuncio di Angelina. Si tratta della Myriad Genetics, che detiene negli Usa il brevetto dei test per le mutazioni dei geni Brca1 e Brca2 (colpevoli di far aumentare il rischio di cancro del seno e delle ovaie) e ha raggiunto a Wall Street un valore che non toccava dal 2009. Due giorni fa un inglese di 53 anni — anche lui presentava la mutazione di Brca2 - ha insistito per farsi asportare la prostata: primo caso al mondo. La Gran Bretagna ha annunciato che da giugno renderà meno rigidi i limiti per sottoporsi al test genetico a spese del settore pubblico. Due ospedali di Tokyo, primi in Giappone, offriranno la mastectomia preventiva alle donne portatrici della mutazione di Brca, come la Jolie. L’attrice statunitense intanto ha annunciato che l’anno prossimo girerà un film, prodotto dal marito Brad Pitt, in cui interpreterà il ruolo della madre, morta di cancro all’ovaio a 56 anni.
Il nodo dei brevetti sui geni umani, nel frattempo, è finito all’esame della Corte suprema americana. A fare opposizione alla Myriad sono state diverse associazioni scientifiche negli Usa, insieme al premio Nobel James Watson. «La conoscenza non può essere brevettata. La Myriad non dovrebbe possedere i geni del tumore al seno» ha dichiarato lo scienziato che nel 1953 scoprì la struttura a doppia elica del Dna (e che, al momento della lettura del proprio Dna, chiese di essere tenuto all’oscuro del rischio di ammalarsi di Alzheimer). L’European Patent Office ha respinto le richieste di brevetto della Myriad nel 2005, con la motivazione che un gene non è un’invenzione umana.
Il diritto di proprietà riconosciuto all’azienda di Salt Lake City è uno dei motivi per cui il costo del test di Angelina Jolie non scende al di sotto dei tremila dollari. In Italia, in alcune regioni e nelle famiglie particolarmente colpite dal cancro (dove quindi si può supporre una componente ereditaria della malattia) il test è coperto dal sistema sanitario nazionale o da alcuni centri di ricerca. «Ma nei casi in cui non ci sono indizi su una componente dei tumori non c’è alcun bisogno di sottoporsi al test» spiega Franco Berrino, del dipartimento di medicina predittiva e per la prevenzione dell’Istituto Tumori di Milano.
Sempre sull’onda dell’“effetto Jolie”, la Gran Bretagna ha annunciato ieri un programma di screening da 4 milioni di dollari per scoprire nuovi geni legati al rischio cancro. «Siamo tutti imperfetti a livello del Dna» fa notare Bruno Dallapiccola, genetista e direttore scientifico dell’ospedale Bambin Gesù a Roma. «Abbiamo migliaia di mutazioni che ci rendono suscettibili a qualche malattia. Ma spesso il loro effetto è molto più sfumato rispetto a Brca». I difetti del nostro genoma associati a un tumore (ma solo quelli a noi noti) sono un centinaio. Mentre l’aumento del rischio provocato da Brca è molto alto, altri geni hanno una portata più sfumata.
Orientarsi fra l’intervento chirurgico o la scelta di convivere con la paura diventa a quel punto ancora più arduo. «La nostra strategia di fronte ai pazienti è usare tutta l’onestà possibile» spiega Bernardo Bonanni, direttore della Prevenzione e genetica oncologica all’Istituto europeo di oncologia. «Chiariamo il confine tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. Spieghiamo che un aumento del rischio non corrisponde a una certezza. Facciamo sempre capire che il Dna non è un destino. Stili di vita, farmaci e diagnosi precoci ci vengono in aiuto. In generale, sono le persone che hanno visto soffrire i propri parenti a scegliere le opzioni più radicali. La chirurgia. In alcuni casi dobbiamo decidere se sottoporre a test genetici anche i figli». Se già il caso della Jolie o dell’uomo inglese è stato sofferto, cosa fare nel caso di geni che predispongono al tumore del colon, un organo che non può essere rimosso come mammella o prostata? Che «il Dna non è un destino » è convinzione anche di Berrino. «Lo stesso Brca fa ammalare poco più di una donna su due. Cosa fa la differenza? Ce la stiamo mettendo tutta per capirlo. Nel nostro istituto cerchiamo di chiarire l’effetto delle pillole anticoncezionali o di alcuni alimenti. Il latte ad esempio fa aumentare i livelli del fattore di crescita Igf-1. Tendiamo a sconsigliarlo alle persone a rischio ».
La complessità della sfida fa però tremare le ginocchia. Dieci anni fa abbiamo letto il nostro Dna e suoi 20 mila geni. Contando poi le proteine che compongono il nostro organismo, siamo arrivati alla cifra di 100 mila. Non bastava: studiando meglio i 20 mila geni ci siamo accorti che ad accenderli e spegnerli contribuisce ben un milione di interruttori. E solo ora ci stiamo affacciando sul mondo dei 100 trilioni di batteri che vivono dentro di noi, e che sono dieci volte più numerosi delle nostre cellule. La complessità dell’uomo sembra un pozzo senza fondo. Il sogno “conosci e ripara te stesso” resta una stella lontana.