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 2013  maggio 21 Martedì calendario

GAS DALLE ROCCE, L’EUROPA CERCA L’INTESA MA INTANTO PRODUCE ENERGIA DAL CARBONE

I CONTI dell’energia, in Europa, non tornano più. A Strasburgo, i parlamentari europei hanno cominciato a discuterne ieri e la questione è all’ordine del giorno anche del summit dei capi di governo domani a Bruxelles. Tema: come è possibile che l’organismo più ambientalista del globo, cioè l’Unione europea, si trovi a produrre elettricità a tassi di inquinamento più alti di prima e, per giunta, a costi più alti degli altri? Probabilmente inutile, tuttavia, attendersi, per ora, una risposta. Quello che la domanda sottintende è, infatti, soprattutto l’atteggiamento da prendere verso lo shale gas, il metano estratto dall’argilla, frantumando con getti d’acqua le rocce. Questa tecnica, il fracking, è, a buon diritto, la protagonista della rivoluzione dell’energia in questo primo scorcio di XXI secolo. Ma, su di essa, fra i diversi Paesi europei corre una linea di frattura, fra molto favorevoli e molto contrari, difficilmente componibile.
I paradossi, intanto, si accumulano. Nelle scorse settimane, una serie di big dell’energia — la Sse in Gran Bretagna, la E. On in Germania e in Slovacchia, la Cez nella Repubblica ceca — hanno annunciato la chiusura o il ridimensionamento o il mancato avvio di centrali elettriche a gas, perché il costo della materia prima, il metano, che, in Europa, è sostanzialmente legato al prezzo del petrolio, è troppo alto. E come intendono produrre, invece, elettricità? Con l’economico, ma ultrainquinante, carbone, capace di generare il doppio di gas serra, rispetto al metano. E’ carbone che viene dagli Usa, dove si vende a prezzi stracciati. Negli ultimi 12 mesi, il prezzo è crollato di quasi il 20 per cento, facendo aumentare del 23 per cento le esportazioni verso l’Europa. Il risultato è che oggi, nella Ue, non si è mai prodotta tanta elettricità con il carbone e tanto poca con il metano. Ma come mai negli Usa il carbone costa
così poco? Perché in America sta avvenendo esattamente il processo inverso, rispetto a quanto accade in Europa. Sempre meno centrali elettriche a carbone, perché conviene passare al gas, che costa meno, un quarto, circa, di quanto costi in Europa. Merito dello shale e del fracking.
Per un continente, come l’Europa, che dipende per il 60 per cento del suo fabbisogno dalle importazioni di gas, diventare come gli Usa che, di gas, stanno per diventare esportatori, è una sorta di miraggio. Lo shale gas c’è anche da questa parte dell’Atlantico. Secondo il governo americano, ce ne sono riserve cospicue in Francia, in Bulgaria, in Polonia e in Ucraina, ma sono sparse un po’ dovunque, Italia esclusa. L’Europa, tuttavia, non è, al contrario degli Usa, una terra da pozzo selvaggio. Il fracking comporta dei rischi sismici e di inquinamento delle falde acquifere che, in paesi ad alta densità urbana, come quelli europei, sono assai più gravi e sentiti. E’ dubbio che si possa trovare facilmente tutta l’acqua necessaria alle operazioni. Finanche le strade europee non sono abbastanza larghe per far passare le trivelle americane. Infine, ci sono gli ostacoli legali: in America, il sottosuolo appartiene al proprietario in superficie, creando dei potenziali beneficiari; in Europa,
allo Stato, facendo, dei cittadini coinvolti, potenziali avversari. L’Europa si è, dunque, divisa. Francia, Olanda, Bulgaria, Repubblica ceca stanno applicando moratorie, più o meno lunghe, al fracking, come anche alcuni Laender tedeschi. Gran Bretagna e Romania hanno cancellato le loro. Polonia e Ucraina non hanno mai smesso di cercare giacimenti.
La Commissione Ue vorrebbe identificare almeno un codice comune di requisiti per il fracking che, per quanto stringente, non sia di completa chiusura. Ma paesi come la Francia non sembrano disposti a concedere scappatoie. I sostenitori dello shale gas sottolineano che ogni ritardo è un’occasione perduta. Tuttavia, neanche lo shale gas è una ricetta-miracolo. I segnali dicono che, con ogni probabilità, l’occasione c’è, ma è meno ghiotta di quanto la presentino i fautori del fracking. Le stime americane sono, forse, ottimiste. Il governo di Varsavia ha ridotto di circa sette volte le riserve previste da Washington per la Polonia. Exxon, Marathon, Talisman hanno tutti rinunciato ai loro accordi di prospezione nel paese. In Ucraina si continua: la Shell ha appena firmato un nuovo accordo di esplorazione, ma, anche qui, i dubbi sulla stima delle riserve si moltiplicano. D’altra parte, dicono gli esperti, se anche lo shale gas c’è, prima di riuscire a portarlo sul mercato in quantità significative occorrono, più o meno, 15 anni. E, in ogni caso, a che prezzo?
I calcoli non sono incoraggianti. Secondo una società di consulenza specializzata, Bloomberg New Energy Finance, tenendo conto di tutti i costi (legali, ambientali, di infrastrutture, autorizzazioni) lo shale gas europeo costerebbe due-tre volte quello americano. Insomma, un prezzo distante, ma non troppo, da quello di oggi. Con la differenza, però, che non ci sarebbe bisogno di chiederlo a Gazprom e a Putin.