Jenner Meletti, la Repubblica 21/5/2013, 21 maggio 2013
CONTRORDINE: STIA CON IL PAPÀ SENZA PACE IL BIMBO CONTESO
PADOVA UN BAMBINO non è una pallina da ping pong.
Non è nemmeno un pacco postale. Eppure il bambino di Cittadella – quello strattonato davanti alla scuola, perché un giudice aveva deciso che fosse tolto alla madre e dato al padre – continua a non avere pace. I primi giudici a Venezia non ebbero dubbi.
IL PICCOLO, dicevano, deve vivere in una comunità e vedere la madre solo in incontri protetti I giudici della Cassazione, a Roma, dissero che invece doveva tornare a casa dalla madre. Un’altra Corte, a Brescia, adesso ha deciso che il ragazzino, undici anni compiuti, deve «essere collocato presso il padre». La madre protesta, dice che «un bambino non può essere portato via dalla sua scuola, dai suoi amici». Anche lei sostiene che «un figlio non è un pacco postale» ma non si arrende. «Non può finire così».
Sono passati otto anni dal febbraio 2005, quando la madre farmacista e il padre avvocato decisero la separazione consensuale. Tante persone, soprattutto quelle che hanno pianto guardando il video con quel bimbo disperato, si chiedono: ma proprio non è possibile un accordo? «I rapporti con mio marito stanno migliorando, cerchiamo di essere persone civili. Anche fra mio figlio e il papà le cose vanno meglio… Ma io questa sentenza non posso accettarla. Non so in che modo, mi devo sentire con l’avvocato.
Ma faremo un ricorso: è mio figlio che deve dire dove vuole vivere».
Certo non a caso l’avvocato della donna, Girolamo Andrea Coffari, cita subito Salomone, figlio di Davide. «Quel re saggio minacciò soltanto di dividere a metà, con la spada, un bimbo che due donne si stavano litigando. I giudici di Brescia invece hanno davvero deciso di tagliare a metà la vita di questo bambino». Le prime notizie parlavano di una svolta netta, con l’affidamento al solo padre. E lui aveva subito dichiarato: «Sono contento, spero che adesso su mio figlio si spengano i riflettori. Voglio vederlo crescere in modo equilibrato». Ma la sentenza non dice questo. «La Corte d’appello di Brescia, sezione per i minorenni, conferma l’affidamento al Servizio Sociale di Padova… La Corte colloca il minore presso il padre». Ma per la madre ci sono garanzie scritte. «Consente che il bambino stia presso la madre per otto settimane nei periodi di vacanza, ivi compreso Natale, Pasqua e Capodanno. Nonché due settimane al mese…».
Non è stata usata la spada, ma la bilancia. «Due settimane dal martedì pomeriggio al venerdì mattina e per altre due settimane al mese dal venerdì pomeriggio (uscita da scuola) al lunedì mattina (rientro a scuola)». La madre può parlare con gli insegnanti ed eventualmente con i medici del figlio, può organizzare «attività sportiva, ludica o culturale gradita al figlio». Di più non potevamo fare, sembrano dire i giudici bresciani. «La madre — scrivono infatti — subito dopo la sentenza della Corte di Cassazione ha prelevato il figlio dalla casa paterna, gli ha impedito di frequentare la scuola cui era iscritto, ha disatteso il programma del servizio sociale affidatario, ha impedito al figlio di trascorrere parte dei giorni festivi pasquali con il padre portandolo con sé in vacanza…». Il suo è stato un «comportamento alienante e possessivo».
Adesso il servizio sociale deve preparare un «progetto di sostegno psicologico al bambino e di aiuto alla genitorialità in quanto solo attraverso l’abbassamento del conflitto della coppia si può sperare che il bambino acquisisca sicurezza e serenità ». Il conflitto è però già in agguato. «Con questa sentenza — dice la madre — stravolgono la vita di mio figlio. Lui è sempre andato a scuola a Cittadella, ha gli amici che erano già con lui alla materna. È un fatto devastante, portarlo a Padova, più di venti chilometri, solo perché là abita il padre. Adesso vive con me almeno per l’80% del tempo, i giudici vogliono il 50 e il 50. E poi, lo ripeto, mio figlio ha compiuto undici anni. Voglio che lui possa parlare direttamente con i magistrati, raccontare dove e con chi vuole crescere. È così forte, il mio ragazzo…».
L’avvocato Andrea Girolamo Coffari conferma: «La legge dice che un minore può essere ascoltato quando ha compiuto 12 anni ma anche prima, se ci sono “capacità di discernimento”. La sentenza di Brescia stabilisce il “collocamento presso il padre” ma in realtà siamo di fronte a un collocamento alternato, perché c’è un preciso calendario secondo il quale il ragazzino passa 16 giorni al mese con il papà e 14 con la mamma, ma con lei ci sono anche le 8 settimane di vacanza. Io mi sono impegnato molto, perché dopo la Cassazione il piccolo avesse rapporti con il padre, e dopo una settimana ero riuscito almeno in parte nell’intento. Faremo ricorso, in Cassazione o dal giudice ordinario. È importante il fatto che nella sentenza bresciana non si parli di Pas, la sindrome di alienazione parentale. Questa scienza spazzatura è stata cancellata dalla Cassazione e non è resuscitata». Ci saranno dunque altri giorni duri, per il bambino conteso. «È difficile conquistare l’affetto di un bambino. Ma certo questo affetto non si ottiene con l’autorità di una sentenza».