Thomas Mackinson e Ferruccio Sansa, il Fatto Quotidiano 20/5/2013, 20 maggio 2013
“IL SESSO PUO’ ESSERE MUTATO SENZA BISTURI”
Sì, si può cambiare sesso senza il bisturi. A volte basta un tratto di penna su un fascicolo di tribunale e sulle carte dell’anagrafe. Più del corpo conta la sensibilità. L’anima, se vogliamo chiamarla così.
Arrivati in fondo al viaggio, per quanto tortuoso e impervio, si scopre che alla fine è sempre e solo una questione di anima. I sacri testi del Diritto e della Scienza faticano a recepirlo, ma i loro sacerdoti in terra, giudici e psicologi, lo affermano ormai per tabulas, con perizie e sentenze, quando sono chiamati a decidere il destino di una persona che vuol esser se stessa in un corpo che non sente proprio. Il dilemma si materializza nei tribunali e nei consultori italiani cui è rimessa la valutazione su un centinaio di cittadini che ogni anno decidono di cambiare sesso, gli aspiranti trans.
IL PERCORSO di trasformazione che li attende è scandito da una legge del 1982, straordinariamente avanzata per l’epoca, che mostra però i segni del tempo. Su tutti, l’imposizione di un percorso di mutilazione chirurgica che è spesso accompagnato da immani sofferenze ma necessario per ottenere l’autorizzazione a rettificare nome e sesso nel registro dell’anagrafe civile e acquisire diritti conseguenti, sposarsi e adottare. L’iter prevede che il soggetto sia seguito da medici psicologi per almeno un anno e mezzo: dopo sei mesi arriva il nullaosta alla terapia ormonale, dopo un anno l’operazione e quindi l’udienza che autorizza il cambio delle generalità. È davvero necessario?
Una serie di sentenze, ultima quella del Tribunale di Roma del 2012, ha aperto una breccia su questo fronte: ha stabilito che è possibile - in caso il medico non lo ritenga necessario - raggiungere un equilibrio psicofisico senza bisturi e procedere al cambio dei dati anagrafici. “Un orientamento che la comunità scientifica ha accolto con entusiasmo ma non è stato recepito dal legislatore e viene applicato in pochissimi casi. Nello specifico, era stato dimostrato che il paziente non avrebbe potuto fecondare a causa delle lunghe terapie ormonali”, spiega Pietro Cantafio, psichiatra e socio dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere. Conosce a menadito il problema: da 25 anni si occupa della “disforia di genere” e le sue certificazioni hanno valore peritale al Tribunale di Torino. “Ogni volta che devo prendere una decisione - confessa - mi chiedo cosa significhi vivere la dicotomia tra un corpo di un dato sesso e un’anima di quello opposto, quale sofferenza possa comportare guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Anima non è il termine scientifico, ma non trovo altre parole per spiegare quello cui faccio riferimento quando, in ultima istanza, la legge mi chiede di valutare, assentire o negare”. Il punto non è solo teorico-emozionale ma maledettamente pratico. “È assurdo che per un documento dallo Stato una persona debba sottoporsi a interventi chirurgici di demolizione, dagli esiti spesso deturpanti e infelici, sia sul piano funzionale che estetico”. Anche perché molti pazienti potrebbero raggiungere l’equilibrio che vanno cercando evitando tutto questo. “Per molti trans sarebbe sufficiente cambiare il proprio ruolo per essere in equilibrio col proprio sentire”, giura lo psichiatra. Ma non è solo un problema legislativo. “Molto dipende anche dalla categoria degli psicologi e medici cui la legge attribuisce un potere giudicante con effetti enormi sulla vita degli altri. Molti, purtroppo, lo esercitano quasi fosse un problema di coscienza, assumendo come proprio il compito di stabile quando sia giusto, opportuno e appropriato procedere.
LA VALUTAZIONE medica, per legge, serve invece a escludere che il soggetto abbia disturbi mentali e sostenerlo in caso di reazione depressiva. Sono convinto che non possano essere anteposti ostacoli di ordine morale al dirittto di autodeterminazione”.
Alla stessa conclusione, per vie diverse, sono arrivati alcuni giudici. A Genova da tempo l’orientamento è di rispettare il binario della legge calibrando le decisioni con sensibilità non meccanica. Non a caso è meta di tanti pellegrinaggi trans.
Il giudice Franco Mazzagalanti, noto per aver riformato la sentenza del G8, dal 2003 al 2009 è stato presidente della sezione famiglia: “Ho trattato una trentina di casi e sperimentato pregi e limiti di legge”, spiega. “Mi sono trovato ad autorizzare rettifiche a soggetti che avevano fatto la castrazione ma non un intervento ricostruttivo completo. Sulla carta non sarebbero stati in regola, ma non ci interessava la sessualità meccanica, il soggetto aveva dimostrato a sufficienza la volontà che motivava il suo animo”. E l’anima, fino a prova contraria, non ha un sesso.