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 2013  maggio 20 Lunedì calendario

EPIFANI, IL LEADER RIPESCATO COSTRETTO A FARE IL TAPPABUCHI

Quando pareva già dimen­ticato, Guglielmo Epifa­ni ha messo a segno una tripletta che lo ricolloca al cen­tro della scena. In pensione dal 2010 come sindacalista, l’ex ca­po della Cgil ha scalato negli ul­timi mesi i picchi della politica. Proclamato deputato in marzo (è la sua prima volta), è stato eletto presidente della commis­sione Attività produttive il 7 maggio e segretario del Pd l’11 dello stesso mese. Una messe di cariche in una manciata di settimane da esaltare anche i più sobri. In realtà, la promozione di Epifani ai vertici del Pd ha del patetico. Non solo l’incarico è a tempo, poiché a ottobre dovrà fare posto a un segretario eletto dal congresso. Ma soprattutto a dargli fiducia per questo strac­cio di mesi è stata una minoran­za. Su mille delegati, sono anda­ti alle urne in 593 e solo 458 gli hanno detto «sì». Ergo, degli aventi diritto, la maggioranza -542 - o lo ha ignorato non an­dando a votare o gli ha votato contro. Conclusione: non è sta­to incoronato un leader ma un tappabuchi. A insistere per lui è stato Pier Luigi Bersani che gli aveva promesso il ministero del Lavoro nel governo che spe­rava di fare. Ma c’è stato il noto tracollo e così, prima dell’ad­dio, Pier Luigi lo ha risarcito mettendolo a fare il cocchiere del carrozzone ex comunista. Come capo partito, Guglielmo è una frana. Tutto gli sfugge. Il Pd è al governo con il Pdl ma non passa giorno che non mu­gugni e provochi. Epifani si barcamena, incarnando perfetta­mente il nomignolo di Nesci (dal latino «non so», sottinteso che pesci prendere) che ha da tempo immemorabile. Un gior­no, seguendo i capricci della ba­se, azzanna il Cav. L’altro, ba­dando alle convenienze, getta acqua sul fuoco e, prudente­mente, non si fa vedere al comi­zio romano di piazza San Gio­vanni, monopolizzato dai furio­si della Fiom. Così, a furia di zigzagare, succedono gli incidenti alla Luigi Zanda, il capo dei se­natori Pd che a freddo ha ripro­posto l’ineleggibilità del Cav e sentenziato che la nomina del Berlusca a senatore a vita è in­compatibile con i suoi compor­tamenti privati. Affermazione comica, poiché Zanda- ex Dc di obbedienza cossighiana - non può ignorare che tra gli attuali senatori a vita c’è un arzillo vec­chietto, notabile del suo ex par­tito, che ha una lista di vizietti privati da fare sembrare il Cav una figlia di Maria. Quindi, per tornare a Epifani, impressiona che i topi del Pd ballino come forsennati senza che lui li in­trappoli. Se tanto mi dà tanto, il governo Letta non arriva agli sbandierati cento giorni.
Assodato che Guglielmo è un equivoco passeggero e non con­ta nulla, vediamo per quali vie questo sessantatreenne è ap­prodato fin qui. Sua caratteristi­ca di fondo è avere camminato a ritroso: mentre in tutto l’Occi­dente i comunisti sono diventa­ti socialisti, Epifani, che era socialista, si è riconvertito comu­nista. Nella Cgil, durante la Pri­ma Repubblica, Guglielmo rap­presentava il Psi, partito al qua­le aderì poco più che ventenne. Ai suoi esordi, segretario era Francesco De Martino ed Epifa­ni si schierò con lui, cioè con la sinistra del Psi contigua al Pci. Quando subentrò Bettino Cra­xi, agli antipodi di De Martino, si allineò subito col nuovo venu­to e passò a destra. Questi spo­stamenti, all’interno della Cgil, avevano conseguenze. Infatti, con l’avvento di Craxi, i rappor­ti tra sindacalisti socialisti e quelli comunisti, che erano in maggioranza, divennero tesi. Il più craxiano di tutti era Epifani, mentre Ottaviano Del Turco, socialista pure lui, faceva il pa­ciere. Quando Bettino emanò il decreto di San Valentino che bloccava la scala mobile ed En­rico Berlinguer gli rispose con il referendum, la Cgil rischiò la spaccatura tra le due anime, so­cialista e comunista. Epifani si distinse per zelo filocraxiano tanto che, in difficoltà nel sinda­cato, si preparava a fare fagotto per entrare in politica a fianco di Bettino, il suo eroe. Mentre stava spiccando il volo, arrivò però Tangentopoli che travolse Craxi, costringendolo al rifugio tunisino. Rimasto col cerino in mano, per non bruciarsi, Epifa­ni girò le spalle a Bettino, al Psi e al passato per appitonarsi agli estremisti, giustizialisti, anti­craxiani della Cgil, tanto più prono quanto più doveva farsi perdonare. Si iscrisse ai Ds e portò con sé i socialisti della Cgil della sua stessa pasta versipelle. Tanto si distinse in tra­sformismo che, diventato se­gretario generale, il comunista Sergio Cofferati lo volle suo vi­ce. Fu il suo attendente, senza mai un obiezione. Il Cinese, soprannome di Cofferati per via degli occhi, ne fu tanto soddi­sfatto che nel 2002 lo designò successore per mantenere, suo tramite, le redini nel sindacato. Da allora, al nomignolo di Ne­sci, gli fu affiancato quello di Prestanome.
Dei suoi molti anni come ca­po della Cgil (2002-2010), si ricordano tre episodi. Uno che conferma i suoi tentennamenti. Era una sera del 2007 e a Pa­lazzo Chigi si svolgeva una trattativa sulla Sanità. Gli altri sin­dacati erano d’accordo e pronti a firmare. D’improvviso, Epifa­ni si alzò accigliato, disse di es­sere contrario e se ne andò. Per una notte, non se ne seppe più nulla. Poi, l’indomani, aderì all’accordo, ma attraverso una lettera, senza il coraggio di met­terci la faccia e di spiegare per­ché avesse cambiato idea.
L’altro episodio ne rivela la natura. In occasione di un 25 aprile, Epifani si recò a Milano per festeggiare l’anniversario della Liberazione alla testa del­le truppe sindacali. Si seppe poi, con scandalo, che si era concessa una trasferta da pascià indiano. Una notte aveva dormito all’Hotel Pierre, la seconda al de La Ville, i più lussuo­si cinque stelle meneghini. Il co­sto totale del soggiorno fu di 1.100 euro che non è esattamen­te quello che ci si aspetta da un sindacalista. Ma Epifani - figlio di un ex sindaco dc della rossa Umbria- è anche un signore viziato, con laurea in Filosofia, un amore speciale per la poesia di Baudelaire e casa a Parigi.
La terza storia è quella della sua ingratitudine e pavidità. Quando nel 2007 molti si reca­rono a Hammamet per il setti­mo anniversario della morte di Craxi, Gugliel­mo brillò per assenza. C’erano,inve­ce, i segretari di Cisl e Uil, Bonanni e An­geletti, pur non avendo obblighi personali contra­riamente a lui che con Betti­no aveva pro­sperato. Alla domanda «perché Epifani non c’è?», Angeletti rispose secco: «Io non m’impiccio». Bonanni disse ironico: «Noi lo abbiamo avvertito che saremmo venuti. Forse l’abbiamo preso alla sprovvista». Più impietoso, Maurizio Sacconi, suo ex com­pagno di partito, che fotografò la situazione dicendo: «I comu­nisti non l’hanno lasciato veni­re e lui non è venuto». Perfetto epitaffio dell’opportunismo epifaniano.